ItaliaOggi, 22 aprile 2023
Orsi & Tori
Luigi Lovaglio è un uomo minuto, con baffetti brizzolati e l’espressione degli occhi permanentemente sorridente. È stato proclamato Banchiere dell’anno nella recente serata degli Award che da 20 anni MF-Milano Finanza dedica al mondo bancario e finanziario italiano. Scommetto che più di un lettore si sarà sorpreso della scelta di Lovaglio come banchiere italiano dell’anno. Ma la sorpresa può essere giustificata solo dal fatto che Lovaglio ha risanato il Monte dei Paschi di Siena in assoluto silenzio, senza un’intervista, senza una dichiarazione opportunistica. Ma con la convinzione, fin da quando è stato scelto, nel febbraio del 2022, dal governo di Mario Draghi, che una banca con 550 anni di storia non potesse fallire. E nello scetticismo generale ha lanciato un importante aumento di capitale, interamente sottoscritto non solo dal Tesoro, ma da larga parte del mercato.
Non erano in molti a conoscere Lovaglio perché ha fatto gran parte della sua carriera per Unicredit all’estero, sino a gestire e rafforzare la principale banca polacca, Pekao, 15 mila dipendenti e prima società della Polonia per capitalizzazione (10 miliardi di euro). Ed è rimasto ceo della banca anche quando Unicredit l’ha vendita allo stato polacco.
Qual è stato il segreto con cui Lovaglio ha salvato il Monte dei Paschi di Siena? Appunto la convinzione che una banca che aveva prosperato per la maggior parte dei suoi 550 anni di vita, avesse le risorse in sé per rimediare al clamoroso errore di quando le fu fatta comprare dagli enti locali senesi, per una cifra folle, la Banca Antonveneta, avendo, gli stessi organismi senesi (Comune) che la controllavano, rifiutato la fusione con la Bnl che era voluta dall’allora governatore Antonio Fazio, consapevole che fosse iniziata la stagione dei consolidamenti bancari. Il guaio fu non solo il dire no alla Banca d’Italia per la Bnl, ma anche dare sfogo all’orgoglio senese, interpretando in maniera errata l’essere la banca più antica in vita e quindi di voler fare aggregazione in proprio. Ma appunto strapagando una banca che era stata confezionata ad arte dall’ex collaboratore di Michele Sindona, il pur bravo Silvano Pontello, che le aveva viste tutte quand’era nello staff del bancarottiere siciliano: era stato infatti Pontello a portare i 3 miliardi in contanti al segretario amministrativo della Dc, Filippo Micheli, con cui il partito cattolico finanziò la campagna (persa) contro il divorzio. Quei 3 miliardi cash erano il prezzo perché la Dc di Amintore Fanfani comandasse al Banco di Roma di finanziare Sindona, già sull’orlo del tracollo, con 100 milioni di dollari.
PUBBLICITÀCi voleva quindi la forza professionale e il temperamento di Lovaglio per purgare Mps da quelle tremende tossine e riprendere slancio con la valorizzazione di professionalità abbondanti nella banca, a cominciare dal chief commercial officer imprese e private, Maurizio Bai. «Mps è una banca straordinaria sia per la qualità dei correntisti che dei clienti imprese», dice Lovaglio. Una banca così non poteva che rinascere, anche se ci sono voluti molti anni e la pazienza del Tesoro.
La banca di Siena è essenziale non soltanto nell’Italia centrale, ma in tutt’Italia per i privati e per le pmi che abbondano non solo nel centro Italia. Per questo non è facile trovare con chi sposarla. E se posso azzardare una percezione, il ceo Lovaglio è convinto che il Monte possa farcela da solo. Auguri e complimenti, a Lovaglio e a tutti gli altri banchieri e finanzieri che sono stati premiati a cominciare dal premio per il maggior dividendo di una banca popolare assegnato a una banca del Sud, la Banca Popolare agricola di Ragusa. Anch’essa una storia straordinaria, in cui quando in un territorio c’è una banca efficiente, tutto il territorio ne beneficia, staccandosi completamente dal resto della regione. Siena e Ragusa, due città con un numero limitato di abitanti, ma ciascuna con una banca molto efficiente che fa la fortuna del territorio.
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Chi sa come le banche saranno trasformate dall’intelligenza generativa?
La trasformazione era già iniziata in banca prima che la AI diventasse generativa. Basta ricordare che cosa è riuscito a fare un allievo del professor Mario Rasetti per conto di JP Morgan. Il giovane scienziato ha realizzato un software capace di sostituire 30 giorni di lavoro uomo per l’acquisizione di un nuovo cliente, in un processo gestito dall’intelligenza artificiale che sotto forma di questionario in pochi secondi individua il programma di investimento migliore per un risparmiatore. Ma l’eccezionale non è solo il tempo che occorreva per aprire un conto e che ora si riduce a non più di 3 minuti per rispondere da parte del cliente alle domande del software, il quale poi elabora il portafoglio ideale per ogni cliente. In questo caso il bello della tecnologia è che operando attraverso il questionario digitale, il rendimento degli investimenti effettuati è sempre migliore di qualsiasi portafoglio elaborato e realizzato con il normale dialogo fra banker e cliente. Con prontezza il ceo di Intesa Sanpaolo, Carlo Messina, ha costituito una società dove la maggioranza è degli scienziati.
Ma questo filone, se vogliamo, non appartiene in principio all’intelligenza generativa, che ha messo in fibrillazione il mondo intero, al punto che gli stessi promotori e realizzatori di OpenAI, da Elon Musk a Sam Altman, stanno chiedendo che le autorità intervengano per emanare una regolamentazione che almeno riduca i rischi che la nuova evoluzione di AI fa già vedere. C’è un titolo azzeccato che dice: «Come l’intelligenza artificiale generativa può cambiare l’informatica, la cultura e il corso della storia». E naturalmente le banche e la loro attività non saranno esenti da profonde rivoluzioni. Chi segue l’evoluzione di AI generativa sostiene che c’è da aspettarsi un cambiamento radicale del modo in cui le persone accedono alla conoscenza, al modo in cui si realizzano con la conoscenza e al modo in cui pensano a se stesse.
L’effetto maggiore che AI generativa può produrre in particolare nel settore bancario è la perdita di migliaia e migliaia di posti di lavoro. Non è per caso che anticipando saggiamente i tempi, Intesa Sanpaolo ha proposto ai sindacati che il lavoro avvenga in quattro giorni la settimana e non più in cinque. Ma questo effetto di AI generativa che sostituisce l’uomo non riguarda ovviamente solo le banche. Proprio uno studio di OpenAI ha esaminato il potenziale di automazione in 1.016 tipi di occupazione. E Goldman Sachs ha lanciato il messaggio secondo cui la nuova intelligenza artificiale potrà rendere superflui fino a 300 milioni di posti di lavoro a livello mondiale.
Uno studio di professori americani, pubblicato il 1° marzo ha avvisato che i settori più a rischio di forti scossoni sono saranno i servizi legali, e varie aree del settore finanziario e assicurativo.
Ragionando al di fuori del settore bancario e finanziario, in termini specifici sarà il settore del telemarketing a diventare per prima una attività non più a gestione umana. Tempi duri vengono previsti anche per gli insegnanti di lingue, letteratura e storia.
E ciò che differenzia il passato, in cui il machine learning colpiva soprattutto posti di lavoro di medio livello, ora, secondo vari analisti, con AI generativa sono i lavori qualificati e ben retribuiti a essere più a rischio. Con un risvolto molto positivo, secondo uno studio sempre di Goldman Sachs pubblicato il 5 aprile, che afferma come la AI generativa potrebbe far crescere il pil globale addirittura del 7% nei prossimi 10 anni.
Per questo, per cercare di capire meglio e prevenire, Gary Marcus e Anka Reuel, due stimatissimi esperti di intelligenza artificiale, sostengono che il mondo ha bisogno immediatamente di un’Agenzia internazionale per l’intelligenza artificiale. Lo giustificano anche con una serie di analisi fatte da esperti in vari campi. Per esempio Europol, che ha sede all’Aia e ha la missione di sostenere gli stati membri nella lotta alla criminalità, ha avvertito che potrebbe aumentare, o meglio aumenterà notevolmente la criminalità informatica. Altri esperti sono preoccupati perché potrebbe ingigantirsi il fenomeno, già grave, della disinformazione, con una minaccia imminente per le elezioni presidenziali americane del 2024, ma più in generale per la democrazia stessa in tutti i paesi avanzati. E alcuni giungono addirittura a temere un vero rischio per l’umanità.
La ragione è nel fatto che i sistemi di intelligenza artificiale sono scatole nere nelle quali non si può guardare dentro. E per giustificare questo allarme viene citato il caso in cui ChatGPT avrebbe accusato un professore di diritto di essere coinvolto in molestie sessuali. È risultata una informazione falsa, formatasi per il collegamento fra parti di testo che in realtà non dovevano unirsi.
È in particolare nelle fasi elettorali che abusi deliberati possono essere compiuti deformando le dichiarazioni dei candidati, per arrivare poi più in generale alla disinformazione mediatica. E sono molti altri i casi nei quali si ravvisa la pericolosità che può avere l’intelligenza artificiale generativa, al punto che anche il ceo di Google, Sundar Pichai, certamente colpito dalla concorrenza di ChatGPT (anche se il grande motore di ricerca dispone esso stesso di un sistema di AI generativa) ha dichiarato il 16 aprile che l’istituzione di una Agenzia internazionale di controllo è indispensabile.
Che cosa aspettano, quindi i governi e soprattutto i parlamenti nazionali e internazionali ad affrontare il tema?
Evidentemente non basta quanto meritevolmente ha fatto in Italia il Garante della privacy bloccando per alcuni giorni l’operatività di ChatGPT, giunta alla release 4. Il provvedimento ha riguardato la tutela dei dati personali degli utilizzatori, obbiettivo per il quale la piattaforma si è messa rapidamente in regola.
Il problema centrale è che l’AI generativa rende obsoleti, in un certo senso, i provvedimenti che il parlamento europeo aveva preso riguardo al rispetto del copyright, per il quale AgCom ha appena varato il regolamento. Questo tema riguarda i soldi che Google e gli altri motori di ricerca dovrebbero versare al titolari dei contenuti che loro usano. È un problema essenziale per l’andamento economico dell’informazione, ma Google si è proposto e ha proposto, non senza sfacciataggine, di pagare 1 miliardo diviso in tre anni, per tutto il mondo. Quello che sembrava un tema fondamentale per gli editori, e in effetti lo è, ora viene superato dall’avanzare dell’intelligenza generativa, che pone in termini ancora più profondi il tema dell’uso diretto dei contenuti elaborati da altri, mentre Google si fermava all’indicazione dei siti dove meglio trovare le informazioni ricercate. Dire che l’intelligenza generativa stia colpendo qualsiasi settore della vita in una rivoluzione di cui è difficile individuare i confini, è perfino pleonastico.
Per questo ha molto senso il paragone che ha fatto il professor Mario Rasetti con il raggiungimento della fusione nucleare. In essa era facile individuare il grande progresso ma anche la convivenza drammatica del bene e del male con la prima bomba atomica creata da Robert Oppenheimer. Sembra il destino inevitabile degli abitanti della terrà: ogni grade scoperta, ogni grande avanzamento scientifico, difficilmente contiene solo valori ed effetti positivi. Per questo la regolamentazione, la nascita dell’Agenzia mondiale per la AI generativa e più in generale tutta l’AI, è urgente almeno quanto la fine della guerra in Ucraina.
Ma se il problema del mondo occidentale e in particolare degli Usa, che per troppo tempo hanno lasciato campo libero agli Ott fino a diventarne succubi le sue stesse istituzioni, non è difficile immaginare che potrà avere problemi anche la Cina. Infatti, Baidu, Huawei, Sense Time e Alibaba hanno già disponibile, con nomi variati, sistemi simili a ChatGPT. Quello di Alibaba si chiama Tongyi Qianwen, che tradotto vuol dire più o meno «verità da mille domande». Come farà il presidente Xi Jinping a controllare le mille verità?
Quand’era presidente, Bill Clinton, per dire che internet sarebbe stato incontrollabile per il governo cinese, disse che a Pechino avrebbero dovuto riuscire a «Inchiodare la gelatina al muro», qual era a suo avviso internet. In realtà il governo cinese, sia pure in maniera inevitabilmente imperativa, è riuscito a stabilire regole anche sane per l’uso di internet: per esempio limitando per legge il tempo d’uso del cellulare ai bambini, come dire il pio desiderio di educatori e genitori per evitare deviazioni dei ragazzi. Sarà quindi interessante anche per l’Occidente capire quali regole il governo cinese imporrà per l’AI generativa. Chissà che gli Stati Uniti e l’Occidente non possano trarre ispirazione dalla Cina per varare regole che gli stessi creatori e gestori di AI generativa invocano fin da prima della sua introduzione con il creatore Altman e il finanziatore Musk. Questa volta non si può scherzare. (riproduzione riservata)