Robinson, 22 aprile 2023
Intervista a Jim Jarmusch
In occasione di un nuovo album realizzato insieme al musicista Carter Logan, il regista di film come “Daunbailò” e “Mistery Train” parla dell’America di oggi, di ferocia delle corporazioni e di... Benigni
Cate Blanchett chiede a sua cugina (sempre interpretata da sé stessa in un surreale dialogo con il suo doppio): «Come si chiama la band del tuo fidanzato?». E lei: «SQÜRL».
Blanchett: «Scoiattoli (“squirrels”)?» «No, SQÜRL». Il nome della band di Jim Jarmusch e Carter Logan viene da lontano. Era il 2003 quando appariva sullo schermo Coffee and Cigarettes, un film composto da 11 cortometraggi con tema comune, come dice il titolo, il caffè e le sigarette. Tra i protagonisti alcuni personaggi icona di Jarmusch: Bill Murray, Tom Waits, Iggy Pop, Steve Buscemi e, ovviamente, Roberto Benigni. «Ci siamo conosciuti quando facevamo i giurati al Festival di Salsomaggiore, mi sembra fosse il 1985, ci trovavamo sempre fuori dalla sala a fumare. Fu una folgorazione: scrissiDaunbailò pensando a lui», racconta. Gli SQÜRL dopo diversi EP, il 5 maggio pubblicheranno il loro primo album intitolato Silver Haze.
Musica dilatata, panorami distopici, poesia: una delle fissazioni di Jarmusch sublimata nel filmPaterson (2016) in cui Adam Driver è un autista di autobus che scrive poesie ispirato da Dante di cui tiene un’immagine nella borsa. Il mondo di Jarmusch è pieno di riferimenti sorprendenti, di citazioni nascoste.
Nell’ultimo film,I morti non muoiono,l’agente Ronnie (Adam Driver) dice al commissario Cliff (Bill Murray) mentre sono circondati da zombie, che sa che il film finirà male perché «Jim mi ha dato la sceneggiatura».
Anche la musica degli SQÜRL è così: un viaggio fuori e dentro sé stessi e il mondo, piena di suggestioni e riferimenti poetici da approfondire.
Perché un album solo ora?
Jim Jarmusch: «Non c’è mai stato il tempo prima tra film e altre cose tra cui i concerti per sonorizzare i film diMan Ray. Stavolta abbiamo avuto la possibilità di lavorare con Randall Dunn che è un produttore fantastico che ha lavorato con Boris, Sunn O))), Earth: band d’ispirazione per noi. A quel punto era arrivato il momento».
La copertina è surreale.
J.J.:«L’ha fatta Tom Jarmusch, mio fratello. Usa vecchie macchine fotografiche e pellicole scadute. Io le chiamo “foto danneggiate”».
Il disco si apre con “Berlin ’87”: quando vivevi a Berlino. Le immagini del video sono tue?
J.J.:«No, le ha girate Jem Cohen, un regista che amiamo molto, ma in effetti evocano quel periodo».
C’è qualche connessione con “Ilcielo sopra Berlino”, il film di Wenders uscito lo stesso anno?
J.J.:«Non dirette, anche se quando ero a Berlino ci frequentavamo con lui, Nick Cave e Solveig Dommartin, l’attrice protagonista del film che al tempo era fidanzata di Wim e aveva un fantastico maggiolone. Mi diceva sempre: “Oh Jim, prendi pure la mia macchina per andare in giro” (ride)».
Com’era vivere a Berlino?
J.J.:«Era tutto piuttosto cupo ma c’erano persone e musica molto interessanti dai Bad Seeds agli Einstuerzende Neubauten, ai Malaria e i Die Haut. E un senso di decadenza che mi ricordava New York».
Ami la musica da sempre: come mai hai iniziato facendo cinema?
J.J.:«In realtà facevo entrambi: avevo una band già alla fine degli anni ’70 mentre mi laureavo in cinema alla New York University. Il mio primo film,Permanent Vacation, è del 1979».
Come è avvenuta la scelta?
J.J.:«Le cose accadono. Amavo il cinema, ma non avevo un soldo: ho fatto la richiesta per la NYU, ma pensavo che non sarei stato ammesso e invece ho ricevuto una borsa di studio. Così si è aperta una porta».
Nel disco, ci sono diversi ospiti...
Carter Logan: «Marc Ribot in due brani, Anika inShe Don’t Wanna Talk About Ite Charlotte Gainsbourg inJohn Ashbery Takes A Walk».
La poesia per voi è importante.
J.J.:«È interessante che tu dica questo perché in effetti abbiamo pensato a un progetto, che forse non realizzeremo mai: amiamo molto la New York School of Poets (un gruppo di artisti attivi a Manhattan negli anni ’50-’60,ndr)che per noi sono stati una vera ispirazione così pensavamo che sarebbe stato bello fare un disco di brani strumentali e poi chiedere ad altre persone che conosciamo, come Iggy o Tom o Patti Smith, di leggerci sopra alcune poesie. Per ora c’è il pezzo che dicevi in cui Charlotte recita meravigliosamente due delle prime poesie di John Ashbery, Le Livre est sur la Table eSome Trees».
C.L.:«È come se le canzoni ci avessero parlato e noi abbiamo iniziato a sentire le loro voci, e considererei anche la chitarra di Mark come una voce. Jim ha ragione: vedremo se questa idea nel futuro troverà un ulteriore sviluppo…».
Il secondo pezzo del disco si intitola “The End of the World”: si sentono sirene e l’atmosfera è oscura e apocalittica. Quando l’avete registrata era già iniziata la guerra in Ucraina?
J.J.:«Sì, la guerra era iniziata e sicuramente è entrata nel testo che ho scritto anche se non me ne sono accorto: non sono molto analitico nelle cose che faccio. Anche la crisiclimatica e l’idea del futuro ne fanno parte. Parla di adolescenti che cercano di sopravvivere: sono molto interessato alla loro cultura. Li considero una guida per il futuro, che si tratti di musica, vestiti, linguaggio.
Tutto arriva prima dagli adolescenti.
E comunque non c’è solo l’Ucraina oggi, ma anche lo Yemen, la Siria, l’Etiopia. È la crisi, il collasso di quello che ci sta intorno. È spaventoso».
E l’America di oggi? È popolata di zombie come nel tuo ultimo film, “I morti non muoiono”?
J.J.:«Beh, ci sono un sacco di zombie che sono controllati dai media corporativi e un sacco di cose che gli vengono propinate. Tuttavia la bugia più grossa che viene continuamente ribadita è che l’America è divisa o che metà della popolazione americana sta l’estrema destra, con Donald Trump. Questo è totalmente falso. Il 70% degli americani sostiene il diritto delle donne all’aborto. E forse è per i matrimoni gay o comunque non solo per le relazioni eterosessuali. Ma se trasmetti un’idea di divisione controlli meglio le cose perché le fai sembrare plausibili. Quindi, sì, ci sono molti zombie in America che seguono semplicemente ciò che viene loro detto. Ovviamente le cose sono molto diverse. Non voglio iniziare a parlare troppo dei social media o di come le persone si informano in questi giorni, ma la realtà è diversa da come viene rappresentata, e questo mi disturba.
Quindi sì, ci sono molti zombi, ma la maggior parte dell’America non è come Trump. Questa America non supporta Trump e non sostiene le persone di estrema destra».
C.L.:«Veniamo infettati sempre dallo stesso tipo di malattia, che è la paura. Usano la paura per farci sentire malati, impauriti e indeboliti. E poi provano a venderci la cura. Ecco, prendi questa pillola, mangia questo cibo, bevi questo, compra questo. Ti farà meno paura. Ma la soluzione alla fine è non accettare le loro tattichespaventose fin dall’inizio. I fascisti predano in modo più aggressivo le persone impaurite».
J.J.:«Anche i nostri sistemi politici sono decrepiti, non funzionano più.
In America l’attuale sistema bipartitico è assurdo. È ridicolo. Non rappresenta le persone. È un modo per proteggere gli interessi aziendali, il profitto e il capitalismo. Non si tratta più di rappresentare o aiutare le persone, ma di salvaguardare chi ha più soldi e più potere. Lo vediamo in Italia, in America e ovunque.
Questo è semplicemente il modo in cui funziona il capitalismo».
Non posso non chiedere se ti senti ancora con Roberto Benigni...
J.J.:«Beh sì, certo: con Roberto ci sentiamo almeno una volta al mese.
Gli ho parlato domenica scorsa. Di solito parliamo sempre di domenica.
È una delle persone più straordinarie che abbia mai incontrato, lo amo così tanto! Non lo vedo da un po’, ma ci teniamo sempre in contatto per telefono, assolutamente».
E di cosa parlate?
J.J.:«Oh, parliamo delle nostre vite.
Ad esempio, l’ultima volta che ho parlato con lui, io e Carter con la nostra band avevamo appena suonato a New Orleans. E così parlavo con Roberto dei nostri ricordi, di quando era con me: eravamo tutti insieme a New Orleans per fareDaunbailò. Quindi stavamo parlandodi questo e lui mi chiedeva come fossero oggi alcune parti della città. E poi si è messo a cantare! Cantava quella canzone di Fats Domino: “I’m walking to New Orleans, I have my suitcase in my hand” (imita il modo assai assertivo di cantare di Benigni).
Insomma una conversazione molto divertente tra amici su New Orleans, il tempo a Roma, cose così (ride)».
Benigni ha fatto un bellissimo discorso sulla libertà durante un importante evento televisivo, il Festival di Sanremo…
J.J.:«Roberto è sempre stato davvero fantastico per ciò che rappresenta e per come parla di queste cose. Mi ha anche raccontato di una lettura che ha fatto di recente su San Francesco.
E poi di quando si è incontrato con Papa Francesco: è una cosa che mi faceva molto ridere pensare a Roberto che si incontra con il Papa».
So che tra l’altro avete in comune l’amore per Dante e la poesia.
J.J.:«Sì, è vero amo moltissimo Dante ed è fantastico sentirlo recitare in italiano da Roberto».
L’ultima curiosità: è vero che Nicholas Ray, il regista di “Gioventù bruciata” e “I bassifondi di San Francisco” che era stato il tuo maestro ti disse: “Non andare mai a Hollywood. Ti distruggeranno”?
J.J.:«È vero, l’ha fatto (ride)! Ha detto: “Ora fammi una promessa. Non andare a Hollywood. Non andarci nemmeno a visitarla. E invece, naturalmente, io sono andato a visitarla. Ci ho anche lavorato, ma non ho mai fatto parte del sistema hollywoodiano. E molto di questo è avvenuto grazie ai consigli di Nick Ray. Ecco dunque, anche se sono stato a Los Angeles, mi piace come città, ho molti amici, ci ho lavorato e ho persino girato lì, non sono mai stato coinvolto nel tipo di sistema cinematografico hollywoodiano. E sì, ho preso molto seriamente le parole di Nick fino ad oggi. Semplicemente, Hollywood non è il mio posto».