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 2023  aprile 22 Sabato calendario

Essere il nipote di Oscar Wilde

Sulla roccia di un angolo del parco Merrion Square, di fronte alla porta numero 2 della piazza dove nacque, c’è la sua statua: liscia, cromatica, una porcellana gravida di libertà. È il tributo di Dublino a Oscar Wilde che turisti, pellegrini e studenti del vicino Trinity College omaggiano ogni giorno ma che un altro gigante della letteratura come John Banville esecra: «Questa è l’Irlanda: una statua bruttissima per Wilde, e quattro navi della Marina battezzate con i nomi di Joyce, Beckett, Yeats e Shaw». Stessa venerazione al Père Lachaise di Parigi, dove la leggenda un po’ dandy della letteratura venne sepolto dopo la persecuzione inglese e la morte del 30 novembre 1900 a 46 anni. Da decenni, cade un’incessante pioggia di baci rossi sulla sua tomba.
Born to be Wilde. Chi non vorrebbe chiamarsi Wilde oggi? Non suo nipote, Merlin Holland: «Io sono figlio di mio padre Vyvyan, non di mio nonno Oscar Wilde», ci dice al telefono il 77enne biografo e scrittore inglese dalla Dordogna francese dove si è stabilito qualche anno fa. «Avrei potuto rivendicare il vecchio cognome della mia famiglia. Sarebbe stato meraviglioso, sai che notizia! Ma ho preferito non farlo per rispetto di quanto ha sofferto mio padre. Per lui portare il nome Wilde sarebbe stato un fardello ancora più intollerabile». Non fraintendetelo, Merlin Holland: «È stata una crudele ironia che Oscar Wilde sia stato scelto dal destino per soffrire al posto di tutti gli innumerevoli artisti che hanno condiviso la sua fragilità», scrive nella postfazione di Essere figlio di Oscar Wilde di suo padre Vyvyan Holland, avvocato, militare, poi autore della Bbc e traduttore. Un tomo a cura proprio di Merlin, e ora ripubblicato da La Lepre con quattro racconti di Wilde inediti in Italia, anzipoemi in prosa: Il poeta, L’attrice, Simone di Cirene eJezebel: «Sono opere importanti, perché ci fanno capire i lati nascosti di Oscar Wilde, come le lettere inedite spuntate nel 1962: da allora si capì che mio nonno non era solo un uomo giocoso e divertente, ma celava tormenti e lati oscuri anche prima di essere imprigionato per “indecenza”».
Essere figlio di Oscar Wilde è il diario malinconico e romantico di Vyvyan Holland, che esordisce con una spietata autocensura: rinunciare al nome del padre e la fuga in Svizzera, Germania, Italia, come a Nervi. Tutti perdono il nome Wilde: lui, il fratello Cyril che morirà nella Prima guerra mondiale e che papà Oscar cita esplicitamente nelle sue lettere a differenza di Vyvyan, e poi anche mamma Speranza, moglie di Oscar. La paura è di essere perseguitati come l’autore de Il ritratto di Dorian Gray.Uno specchio nero.
E dunque, Merlin Holland, che cosa significa oggi essere un Wilde?
«Come un vino rosso di Barolo: ricco, scuro, intenso, sensuale, alcolico, che ti ubriaca. Questo era Oscar. Ma ne resta un po’ in fondo al bicchiere, mio padre lo annacqua e ne lascia un altro po’. Poi arrivo io. Ogni volta, ogni nostra generazione, un vino sempre più blando. Spero che, quando arriverà a mio figlio, il vino non sappia più di nulla. Ne sarei molto felice».
Perché?
«Perché per me ripercorrere la vita di Oscar Wilde è sempre stata una necessità, più che un’ossessione. Le persone mi hanno chiesto sempre, ogni volta, di mio nonno, persino se avesse mai letto Nietzsche. Mio padre, tutta la mia famiglia, siamo stati marchiati per sempre dal terrore e dalle sofferenze di Oscar, papà ha rotto le barriere solo grazie alla sua seconda moglie e mia madre Thelma Besant. Per questo hodedicato buona parte della mia vita a mio nonno».
E non prova felicità od orgoglio a essere comunque un Wilde?
«Sto scrivendo un altro libro, su quanto accaduto dopo la morte di mio nonno, con tutti i casi giudiziari che hanno coinvolto amici e nemici dopo di lui. È impossibile non provare una rabbia enorme per quanto ha subito la mia famiglia. Mio padre, nel 1954, voleva pubblicare una bellissima foto di me e lui insieme, nel retro del libro, ma poi lo hanno dissuaso perché altrimenti avrebbe condannato anche me alla gogna. Eppure avevo solo 8 anni, ma allora in Inghilterra infuriava l’omofobia, il grande attore John Gielgud (anche a teatro neL’importanza di chiamarsi Ernesto, ndr) o politici come Lord Montagu vennero arrestati. Nella prima edizione di
Essere figlio di Oscar Wilde la parola omosessualità neanche viene citata. Senza contare il disprezzo che provo anche per l’Inghilterra di oggi».
Come mai?
«Se prima era estremamente puritana, oggi è l’esatto opposto, di grande corruzione morale: la brama di soldi e i modi degli americani hanno conquistato tutto. Tempo fa in Inghilterra hanno approvato la Legge Turing affinché le vittime delle crudeli persecuzioni omofobe nel passato potessero chiedere l’amnistia per loro o i propri cari: ma io non chiedo un bel nulla, significherebbe riconoscere di essere nel torto e legittimare l’establishment britannico.
In ogni modo, voglio incanalare questa rabbia in energia positiva per raccontare ancora meglio che cosa rappresenta ancora oggi Oscar Wilde».
Secondo lei perché suo nonno ancora oggi non solo è letto ma amatissimo, anche dai giovani che gli baciano la tomba?
«Integrità, ribellione e sensualità. Era un ribelle, pronto ad andare in prigione. Ha promosso un’ideasentimentale della vita, il lato femminile di ognuno di noi, ma soprattutto l’idea della sensualità, un’elegia dei sensi. Tutte queste cose piacciono ai giovani. E poi quel senso di giocare con il fuoco, di dover schivare sempre il pericolo, come nel De Profundis per il suo amante Lord Alfred Douglas: “Era come fare festa in mezzo alle pantere e questo era già mezzo divertimento”».
E forse anche la sua cortesia e gentilezza fino all’ultimo respiro, nonostante le ingiustizie subite?
«Certo. In alcune lettere, la sua rabbia è evidente, ma mio nonno non era un uomo cattivo e non ha mai aggredito nessuno. In questo senso era molto irlandese. Mostrava questo stesso lato del carattere quando discuteva con altri, non monopolizzava mai la conversazione. Era una persona inclusiva, che voleva far sentire tutti a proprio agio. Questo è evidente anche nel libro di mio padre».
Chissà che cosa direbbe Wilde oggi di fronte alla riscrittura o censura parziale di opere di grandi autori del passato come Roald Dahl o Agatha Christie.
«Io credo sia sbagliato censurare o riscrivere senza l’ok dell’autore, e i casi di Dahl e Christie ne sono la prova.
Anche inDorian Gray, c’è il protagonista che chiama Mr Isaacs “quell’orrido ebreo”, per esempio. Anche gli epiteti offensivi in Dahl verso i bambini grassi sono da condannare. Ma secondo me oggi è meglio contestualizzare, e non cancellare, per spiegare come mai allora fosse accettabile e oggi no».
Oscar Wilde verrebbe censurato anche oggi?
«Non credo, ma potrebbe capitare. Tuttavia, anche mio nonno a volte si autocensurò: in una edizione diDorian Gray in Inghilterra cancellò la dichiarazione di amore gay del pittore Basil Hallward per il protagonista.
Magari anche oggi Oscar Wilde reprimerebbe così se stesso per farsi pubblicare? Chissà».