Tuttolibri, 22 aprile 2023
Adriana Zarri bambina
Frugando tra i primi ricordi della mia infanzia non trovo fatti ordinati, inquadrati nel tempo, collegati tra di loro, ma episodi isolati, affiorati qua e là dalla grigia nebbia del passato.Non furono i miei primi anni lieti e spensierati, non ebbi giochi e trastulli come tutti i bambini, ma vissi triste e inerte. Non avevo compagni con cui correre come avrei desiderato, in più ero debole e gracile e ricordo che quando la mamma mi esortava a uscire per giocare io mi sedevo tristemente dicendo: sono stanca.Non giocavo neppure con le bambole, forse perché le mie tendenze, allora un po’ maschie, mi impedivano di interessarmi a un passatempo prettamente femminile, nemmeno gli altri balocchi mi divertivano, e se li prendevo qualche volta dagli armadi dove dormivano polverosi, subito li deponevo stanca ed essi riprendevano il sonno interrotto. Tuttavia qualche volta mi trovavo con una bambina della mia età, e allora mi divertivo e le mie labbra infantili si aprivano al sorriso per cui erano fatte.Ricordo confusamente che quando la mamma scendeva in giardino era per me una festa e facevo con lei delle specie di commedie, immaginando di essere un certo Antonio di cui la mamma era l’ipotetica moglie Marianna. Qualche volta il babbo mi portava sulla groppa di una bella cavalla bianca e questa era per me una grande gioia, avevo una grande passione per i cavalli. Spesso saltavo a cavalcioni di un bastone figurandomi di essere su un focoso destriero e quando, dopo aver staccato la cavalla, il barroccino era lasciato momentaneamente nel cortile, io legavo le redini alle stanghe e guidavo l’immaginario cavallo; se qualche volta poi potevo guidare sotto la sorveglianza del babbo un cavallo vero ero al colmo della gioia. Anche ora, benché sia tanto cambiata, ho conservato questa passione per i cavalli e questo gusto, mi piace ancora guidarli purché siano focosi: a domare una bestia imbizzarrita e furiosa provo quella soddisfazione che provavo allora a regolare con le mie mani infantili il trotto di un tranquillo animale su una strada facile e piana.Un’altra passione che mi è rimasta di quel tempo lontano è quella del tiro, al quale mi iniziò mio fratello Adriano in un piccolo bersaglio di una fiera. Queste sono le cose più importanti, se si può riferir loro questo aggettivo, della mia infanzia, ma poi quanti ricordi tenui e confusi s’intrecciano nella mia memoria avvolti in una luce d’oro! Essi mi sono cari, perché? – mi sono chiesta più volte. Può parere strano chiedersi il perché di un sentimento che tutti provano, ma non lo è, innanzitutto perché io mi trovo in condizioni speciali e poi perché dall’essere comunissimo non ne segue che un sentimento sia facile a spiegarsi e che noi ne conosciamo le cause.Ho detto di essere in condizioni speciali, e lo sono infatti poiché la più bella età non ha avuto per me quell’incanto dorato di gioia spensierata, di illusioni e di sogni che generalmente ha e il cui ricordo la fa rimpiangere tanto amaramente. Il periodo più lieto della mia infanzia e adolescenza è stato questo in cui non avevo né illusioni né sogni ma vivevo come tutti i bimbi alla giornata, senza occuparmi del domani, e la giornata non mi offriva grandi gioie; si potrebbe obiettare che se non gioivo nemmeno soffrivo, ma come non rimpiango il tempo in cui non ero così, non rimpiango il tempo in cui rimanevo in attesa di vivere con tutte le mie facoltà. Se anche la mia infanzia fosse stata lieta non la rimpiangerei. Non è una viltà rimpiangere quel tempo di inazione in cui non si era ancora cominciata la lotta della vita? Dal momento che questa lotta è dolorosa eppure necessaria noi non vogliamo indugiare ma vogliamo subito affrontarla e vincerla; perché rimpiangere quel tempo in cui nessun bene potevamo fare né per noi né per gli altri, in cui a nessuno eravamo utili?È un periodo necessario, è vero, come è necessaria la preparazione materiale e morale di una guerra, ma non si deve desiderare che finisca al più presto? Non è viltà desiderare di rimanere a lungo inutili nella culla dorata dell’infanzia piuttosto che entrare nella vita, faticare, lottare, soffrire con la possibilità di meritare per sé e per gli altri? È vero che noi siamo fatti per la felicità ma non dobbiamo desiderare la gioia che precede la lotta, bensì quella che la segue quando non avremo più bisogno di meritare e avremo già vinto la nostra battaglia.Meno vile è rimpiangere l’adolescenza e la giovinezza con le loro illusioni e i loro sogni dorati poiché esse ci impongono già la lotta e ci risparmiano solo la crudele coscienza di tante tristezze, tuttavia mi sembra pure una debolezza rimpiangere l’errore quando si è in possesso della verità. Tornando all’infanzia, mi pare dunque che si possano rimpiangere molte cose come l’assenza quasi totale della sofferenza, la pace interiore, la tranquillità che essa elargisce ma che non si debba desiderare quest’età in sé con l’inazione e l’inutilità e le altre debolezze che necessariamente comporta. Tuttavia noi tutti amiamo i nostri ricordi d’infanzia. Perché? Mi torno a chiedere (i perché e il bisogno di chiedermi sempre le cause e le ragioni di tutto sono una delle mie tante debolezze: ci vorrà pazienza, fortunatamente poche saranno le persone che la dovranno esercitare).Forse perché noi amiamo non il ricordo dell’infanzia (a meno che non avessimo la debolezza di amare anche quello) ma i vari ricordi raccolti qua e là quasi tutti lieti (poiché i tristi non si amano) che si riferiscono a questa età e della quale, presi così isolatamente, ci mostrano solo il lato bello. Non so se così sia per tutti: così è per me. Io non amo il ricordo dell’infanzia, ma quei ricordi lieti di essa che mi dipingono sana, serena e gioiosa e che, abbelliti inoltre da quel fascino particolare che emana dal passato, divengono ancora più dolci e più cari.In questo senso io pure li amo e frugando nella memoria vedo sorgere, un po’ impalliditi dal tempo ma pur tanto cari, altri ricordi che si susseguono e si avvicendano quasi senza fine; vedo passarmi davanti scene e fantasmi del tempo passato che sfilano senza posa facendo pulsare il mio cuore che risponde con un battito a ogni immagine: mattinate passate in riva al fiume, profumate raccolte di viole mammole, serate trascorse accanto al fuoco, lieti stridii di rondini che osservavo nell’ora del crepuscolo mentre portavano l’imbeccata ai loro piccoli, tiepide giornate di primavera in cui me ne stavo con la mamma seduta nel piccolo prato che si estendeva dietro al giardino, nidi pieni di uova che era mio incarico raccogliere ogni sera, giochi con la neve, ansiose attese della Befana… passano tutti i miei ricordi, passa la mia infanzia, e insieme a queste scene liete mi ritornano alla mente quei dolori che ora mi fanno sorridere ma che allora erano piccole tragedie: qualche rara punizione della mamma, per la quale io mi disperavo, non già per il male fatto e per il dispiacere dato, ma per la pena materiale inflittami per castigo, e qualche baruffa con mio fratello Adriano.In quel tempo io vissi molto sola, forse perché mi piaceva, specialmente quando divenni più grande, assorbirmi nei miei pensieri e nelle mie fantasticherie, poi perché i miei famigliari non avevano tempo per trattenersi con me, e forse la solitudine favorì la mia naturale inclinazione a pensare e meditare, che più tardi insieme al dolore mi portò a una precoce maturità. —