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 2023  aprile 22 Sabato calendario

Intervista a Michel Simonet

Un po’ Marcovaldo, un po’ Piccolo Principe, lo si incontra nella sua salopette arancio con carretto scopa e una rosa su e giù per le strade di Friburgo, città medievale dell’omonimo cantone svizzero; percorre e pulisce a regola d’arte le lunghe scale in pietra e i portici bassi del centro o i sentieri boscosi sulle colline del fiume. Michel Simonet qui lo conoscono tutti, è lo spazzino-scrittore e cantore della cattedrale che nel 2015 ha scritto un libro di successo sulla sua vita di balayeur per scelta, che dopo gli studi commerciali in collegio e poi di filosofia e teologia ha lasciato il lavoro da contabile per diventare operaio della nettezza urbana. Oggi son 37 anni che lavora in strada, ha sette figli e otto nipoti e la sua storia ha venduto quasi centomila copie e conquistato Parigi dove l’Accademia Goncourt lo ha inserito nella lista delle cose da leggere d’estate. Ha poi vinto un premio che gli ha permesso di scrivere un secondo libro sulla sua famiglia numerosa e, finalmente, il suo Une rose et un balai esce anche in Italia tradotto come Lo spazzino e la rosa.
È soprattutto la fede, dice, ad averlo portato dov’è, la fede del Semplice non del sempliciotto, che ha perfettamente chiaro che il mondo va in una direzione opposta ma lui ha scelto quella giusta per sé.
Chi sono Fleur André e Hertig Fleurs cui dedica il libro?
«I due fiorai che mi offrono ogni giorno la rosa che è sul mio carretto».
Perché questa rosa?
«Il mio carretto è pieno di spazzatura, volevo fare un’antitesi tra sporcizia e purezza, bruttezza e bellezza».
Si sente più spazzino scrittore o scrittore spazzino ?
«Spazzino-scrittore perché sono scrittore da 8 anni e spazzino da 37, e poi scrivo se posso ma preferisco il lavoro che è davvero il mio».
Si è diplomato, sposato, ha lavorato come contabile studiando filosofia e teologia per due anni, poi ha deciso di fare lo spazzino. Perché?
«Come altri studenti andavo a a sostituire gli spazzini in ferie e mi è piaciuto; ero felice di essere all’aria aperta, di fare un lavoro semplice e un servizio pubblico, trovavo bello il rapporto coi passanti, e non volevo più tornare in ufficio. Così ho fatto domanda, ma non è stato facile».
Ha inviato un curriculum con lettera di motivazioni al capo della nettezza urbana ma lui diffidava…
«Non capiva se fossi un depresso, un deluso dalla società o uno che voleva una vita tranquilla, e concluse che il lavoro duro mi avrebbe fatto cambiare idea in sei mesi».
Non era solo il capo della nettezza urbana a non capire, racconta che incontrava ex compagni di scuola che imbarazzati le chiedevano “Avevi buoni voti, come sei finito spazzino?"
«E io rispondevo, “non sono finito, ho appena cominciato!” Ma li capivo, mi vedevano fare questo lavoro quando avrei potuto fare altro, ma per me era davvero l’inizio di una nuova vita, di una nuova ambizione – diversa – ma pur sempre un’ambizione».
Lei parla di vocazione in senso religioso. È più vicino allo spirito benedettino dell’ora et labora, a quello francescano o della santificazione della vita ordinaria?
«Oh, un po’ tutti e tre insieme. La povertà del francescanesimo un poco c’è, ma in Svizzera il mio salario non alto rispetto ad altri mi ha comunque permesso di mantenere una famiglia numerosa e una moglie rimasta volontariamente a casa. Soprattutto c’è l’ora et labora nel senso di un mestiere regolare e ripetitivo, con orari monastici e sveglia alle 4.40. Quando studiavo teologia poi ho frequentato la Fraternità dei Piccoli Fratelli di Charles de Foucault; portano avanti un’evangelizzazione non aggressiva, sono in mezzo alla gente e testimoniano con la loro vita. Questa santificazione di una vita personale semplice si avvicina al mio ideale cristiano».
Lei è cattolico praticante, a Friburgo la maggioranza è cattolica o protestante?
«Cattolica. Mia mamma era protestante e parlava francese, papà cattolico e parlava tedesco, ho preso la lingua materna e la religione paterna».
Ha sette figli, scrive che lei ne voleva 3 e sua moglie 4…
«Sì, non volevamo subito una famiglia così numerosa, ma i figli arrivavano e noi in effetti non abbiamo mai fatto nulla perché non succedesse».
Dei sette figli qualcuno ha disprezzato il suo lavoro?
«No, mai in maniera frontale, sempre stati aperti e rispettosi della mia scelta, anche se forse durante l’adolescenza posso pensare che non fosse facile vedere il loro papà col carretto fuori da scuola, ma devo dire che nella mia città ho sempre avuto una sorta di “aura” e può essere che fosse più facile dire che avevano un padre spazzino perché era uno spazzino conosciuto positivamente».
Vivete nel mondo, vedete la tv, sapete che i modelli sono diversi. Come si fa a vivere così controcorrente?
«Siamo controcorrente senza esserlo troppo, abbiamo una casa una macchina, viviamo come gli altri ma con più figli e in Svizzera ci sono ancora molte donne a casa. Le mie figlie invece lavorano e portano i bambini all’asilo».
Che cosa sono la dignità e l’autostima per lei?
«Dignità è aver scelto un mestiere che può servire al benessere di altri, e vedere la strada pulita dietro di me mi dà una profonda stima sul piano professionale, oltre il pensiero di essere un buon cristiano che cerca di fare il bene».
Si è mai sentito umiliato?
«Raramente. Se si ha questa vocazione a voler essere piccoli e semplici non si può essere degradati molto, umiliazione e umano hanno la stessa radice, quindi non mi tocca se qualcuno intende disprezzare il mio lavoro».
Dev’essere un po’ diverso fare lo spazzino in Svizzera; ha visto Roma con i cinghiali fra i cassonetti?
«Sì, e ho visto altre grandi città come Parigi sulle rive della Senna all’indomani di una bella serata. Ho scritto che gli svizzeri forse hanno il “gene” della pulizia, ma forse 50 anni fa di più».
Che cosa hanno detto i suoi colleghi del suo successo?
«Si sono complimentati ma gli spazzini non sono dei gran lettori, non hanletto tutti il libro, del resto non hanno bisogno di leggere quello che ho scritto perché già lo vivono».
Quando scrive?
«Il primo libro l’ho scritto in ogni momento libero; il secondo ho avuto la fortuna di scriverlo quando ho vinto un premio letterario che mi ha permesso di lavorare part time per sei mesi. Per il terzo aspetto la pensione, mancano tre anni».
E quando legge?
«Sono un grande lettore, ho sempre portato un libro con me per poter leggere almeno qualche pagina in pausa, in treno, sul bus, e così mi sono costruito una buona cultura»
Scrive che con gli straordinari della raccolta differenziata è riuscito a farsi una bella biblioteca della Pléiade, comprando un libro al mese.
«Ho letto centinaia di Pléiades, ne ho circa 400 a casa, ci sono anche alcuni autori svizzeri».
Che cosa sta leggendo ora?
«L’Historia augusta, gli ultimi scrittori dell’Impero Romano; mi ha sempre interessato questo periodo di passaggio tra mondo pagano e cristiano».
Lei fa citazioni in latino e greco, dove ha imparato?
«Il latino l’ho studiato in collegio, il greco dopo perché volevo leggere il Nuovo Testamento in lingua originale e anche per poter cantare il bizantino, un canto pre-gregoriano; avevo amici che insegnavano all’università e così ho seguito dei corsi grazie a loro».
Ha letto “Marcovaldo” di Italo Calvino? È un operaio capace di vedere la natura nel grigio cittadino.
«Sì l’ho letto ed è magnifico, me lo ha fatto scoprire Jean Steinauer, giornalista e storico che ha creduto nel mio libro e nella prefazione ha scritto che gli ho ricordato Marcovaldo. Altri mi hanno avvicinato, per il coté operaio, a Erri De Luca, io sono meno politico ma ho molta ammirazione per lui».
Di che parlerà il terzo libro della pensione?
«Credo sarà un libro più spirituale; il primo era sul mio lavoro, il secondo sulla famiglia, il prossimo su quello che c’è sotto e che mi ha mosso, una testimonianza più forte della mia vita cristiana».
Nel suo lavoro ci sono aspetti sgradevoli, ma i suoi nemici peggiori sono le cene aziendali, i fast food e il “littering”.
«Le cene aziendali sono offerte quindi la gente beve molto mangia molto e poi vomita molto; quanto ai fast-food producono un sacco di rifiuti che finivano in cestini della spazzatura troppo piccoli, da cui fuoriusciva di tutto, ora sono più grandi ma il littering, l’abbandono di mozziconi, bottiglie, lattine, mascherine e altri rifiuti di piccole dimensioni è quello che ci dà più da fare».
Nel capitolo sul littering fa una analogia con gli esseri umani “rifiuti della società”; è la cultura dello scarto contro cui tuona papa Francesco.
«Sì, è una grande fortuna avere questo Papa, è arrivato e ha aperto la finestra… prego molto per lui e mi hanno detto che gli manderanno il mio libro».
Lei cita le beatitudini, ma oggi l’umiltà non è più una virtù; lei non è per l’ascensore ma per il “discensore” sociale, un neologismo…
«Non tutti devono necessariamente fare i mestieri più semplici, ci vogliono anche dei capi, ma sempre con uno spirito di servizio, e se ogni tanto delle persone sono testimoni di una vita felice, piena, riuscita, completa – anche in fondo alla scala sociale – be’, vuol dire che è possibile ed è bene mostrarlo».
Nel libro lei parla molto di odori, per lo più cattivi…
«Non sono mai stato molto sensibile agli odori, non sento nemmeno il mio, e questa è una fortuna per il mio lavoro».
Vista la sua storia, è in odore di santità ?
«Ahah non credo, se chiedete a mia moglie vi dirà che sono pieno di difetti». —