La Stampa, 22 aprile 2023
Intervista a Carlo Rovelli
Una grande stella che muore collassa nel buio, irresistibilmente attratta verso la singolarità dalla gravità colossale della propria massa. È un buco nero, è stato fotografato, ne esistono a miliardi di miliardi nell’universo, sì, ma dopo che l’astro è precipitato su sé stesso che cosa succede? Finisce tutto? No, simile a un pallone da basket rimbalzerebbe, all’indietro nel tempo, e quel che restasse dell’implosione apocalittica prenderebbe la via dell’uscita. È un buco bianco. Carlo Rovelli, ordinario di fisica teorica all’Università di Aix-Marseille, è sulle sue tracce da anni, in una visione che affianca la fisica quantistica alla relatività di Einstein: dove non arriva la seconda soccorre la prima, a voler volgarizzare l’estrema complessità di una materia che studia da tempo. Nel suo libro Buchi bianchi (Adelphi) lo stile fa la sua parte, come in Sette brevi lezioni di fisica e nei lavori precedenti.I Buchi bianchi ha guidato la classifica dei libri in Italia, come si spiega questo successo in un Paese tradizionalmente refrattario agli argomenti scientifici?«Forse anche in Italia c’è curiosità per la scienza. L’attenzione a divulgatori come Piero e Alberto Angela, l’affetto e l’ammirazione che hanno circondato personaggi come Margherita Hack o grandi scienziati come Rita Levi Montalcini lo mostrano. La poca dimestichezza con la scienza forse è confinata più che altro nei media e nella politica che non nelle simpatie di tanti italiani».Pensa sia anche questione di stile? Ha forse trovato la chiave per spiegare concetti astrusi o spiegati male?«Penso ci siano insegnanti che parlano di scienza con chiarezza, senza nulla di astruso, e che per tutte le discipline sanno mostrare la bellezza e il fascino del sapere. Credo che i miei libri siano letti perché presentano la scienza come qualcosa che ci riguarda: fa parte della nostra vita, dello sforzo di tutti noi di formarci un’immagine del mondo, capire cosa siamo. Non mi interessano tanto gli aspetti tecnici dell’indagine scientifica; mi interessa lo sguardo sul mondo che offre la scienza; riflettere su come questo sapere si integri e possa essere coerente con il resto della nostra cultura, la nostra vita, le nostre preoccupazioni, le nostre emozioni».Passando all’oggetto dei suoi studi: fino a pochi anni fa anche l’esistenza dei buchi neri era messa in discussione, poi sono stati fotografati. Cosa le fa pensare che la storia si ripeta con i buchi bianchi e che in futuro la loro esistenza sia dimostrabile?«Ci sono questioni aperte, irrisolte, nella fisica dei buchi neri. Me ne sono occupato per diversi anni, e sono giunto alla conclusione che l’esistenza dei buchi bianchi risolva queste questioni. In sintesi, non sappiamo come muoiano i buchi neri alla fine della loro vita, e mi sono convinto che la possibilità più plausibile sia che si mutino in buchi bianchi, che possono poi dissolversi lentamente. A lungo i buchi neri sono stati considerati solo una predizione improbabile della teoria di Einstein, poi oggi ci siamo convinti che esistono nel cielo. Penso che lo stesso accadrà con i buchi banchi. Potrei sbagliarmi...».Quando dice che un buco bianco è un effetto rimbalzo della caduta di una stella su sé stessa propone un’immagine suggestiva, ma è quel che vedremmo se ipoteticamente potessimo assistervi?«Si, esattamente».Nessuno è mai sceso lì in fondo, come può esserne così certo?«Non sono certo di nulla! Cerchiamo di comprendere, di studiare le possibilità che sembrano più ragionevoli».Dove non arriva la relatività soccorre la fisica dei quanti, una visione armonica dell’universo è impossibile?«Perché non dovrebbe essere possibile? Fino ad ora, abbiamo sempre saputo trovare modi coerenti per comprendere quello che avevamo osservato o avevamo capito parzialmente. Cercare coerenza nella comprensione del mondo è sempre stato un modo per capire meglio».Su un altro piano: le sembra ci siano abbastanza discussione e consapevolezza sulle questioni sollevate dall’intelligenza artificiale e dalle sue applicazioni?«Mi sembra che l’allarme sia opportuno, ma un po’ eccessivo. Vista da vicino l’intelligenza artificiale è ancora esageratamente meno intelligente di come la si dipinge. Ha provato a usare Chat Gpt, la tanto decantata nuova frontiera dell’intelligenza artificiale? La quantità di scempiaggini che produce è ridicola».Di recente lei è intervenuto pubblicamente sulla guerra in Ucraina, trova ci sia troppa uniformità di vedute sulla necessità di un intervento armato?«Penso non ci sia per nulla uniformità di vedute fra la maggioranza degli italiani. Anzi, la maggioranza degli italiani si chiede perché l’Italia non faccia come l’Irlanda, l’Austria, la Svizzera, o la stragrande maggioranza dei paesi del mondo, che condannano tutte le invasioni, ma non per questo gettano benzina sul fuoco di una nascente terza guerra mondiale».I nostri neolaureati in fisica sono sempre costretti a emigrare per riuscire a essere valorizzati e a fare ricerca. Qual è lo stato delle cose in Italia?«Sì, è vero che molti dei migliori giovani scienziati italiani sono all’estero. Nel mio settore per esempio ci sono tanti italiani che brillano nella ricerca mondiale, e nessuno di questi è in Italia. Ma attenzione, il problema non è il fatto che i giovani italiano vadano all’estero. Perché non dovrebbero? Il mondo è grande, pieno di cose da scoprire, perché mai restare in un posto solo? Il problema è nel fatto che l’Italia investe pochissimo nella sua Università e nella sua ricerca fondamentale, e non attira i migliori, siano questi stranieri o italiani. I paesi lungimiranti che meglio profittano della scienza non trattengono i loro giovani: attirano i giovani migliori dal mondo intero. L’Italia potrebbe farlo facilmente perché tutti nel mondo vogliono venire a vivere in Italia: l’Italia è vista da tanti come un paese ideale dove vivere. Sprechiamo questa opportunità: per grettezza, soprattutto, credo». —