La Stampa, 22 aprile 2023
La Leonardo di Cingolani
Per capire le ragioni che hanno spinto Giorgia Meloni a scegliere Roberto Cingolani come nuovo capo di Leonardo, occorre partire dalla cronaca della guerra in Ucraina. È il 21 marzo di un anno fa. Un attacco informatico russo buca i server militari del nemico che si trivano negli Stati Uniti. I vertici militari di Kiev lo definiscono «catastrofico», e in effetti tale si rivela: fra le molte vittime dell’attacco ci sono decine di clienti di Viasat in Italia, Germania e Polonia e molti gestori di impianti di turbine eoliche. Il conflitto fra Russia e Ucraina è un mix inestricabile di antico e moderno, di polvere da sparo e tecnologie avanzatissime: dai sistemi antimissilistici Patriot ai droni telecomandati, dalle stazioni Starlink di Elon Musk ai carri armati Leopard.
Contro ogni previsione, la premier ha imposto alla guida della multinazionale italiana della Difesa il nanotecnologo che per poco più di un anno aveva guidato la divisione ricerca. Guido Crosetto, ministro competente e tessera numero due di Fratelli d’Italia, gli avrebbe preferito Lorenzo Mariani, fin qui a capo del consorzio missilistico europeo Mbda. In nome di un compromesso fra i due, quest’ultimo potrebbe diventare direttore generale dell’azienda. Se ne saprà di più a maggio, dopo il consiglio di amministrazione che confermerà la scelta dei nuovi vertici, ma si tratta di un dettaglio per addetti ai lavori. La domanda da farsi è un’altra: come cambierà Leonardo sotto la guida di un cocciuto professore universitario che deve l’ascesa a due esperienze diversissime fra loro. Prima direttore dell’Istituto italiano di tecnologia, poi ministro tecnico della Transizione ecologica nei mesi in cui l’Italia, in piena emergenza bellica, rinuncia alla dipendenza dal gas russo.
In molti, e non solo nei palazzi della politica, si sono chiesti il perché di tanta determinazione. C’è chi dice Meloni abbia voluto tenere fede a un impegno preso con Cingolani nei giorni complessi del passaggio di consegne con Mario Draghi. Il professore accettò di fare da consulente a titolo gratuito del nuovo esecutivo, e ciò sarebbe bastato per la piena riconoscenza della premier. C’è chi sostiene tutto nasca da una promessa fata all’ex banchiere centrale e a Sergio Mattarella, entrambi grati a Cingolani e Claudio Descalzi (confermato alla guida dell’Eni) per aver messo l’Italia al riparo dal rischio geopolitico causato dalla guerra in Ucraina. E c’è chi sostiene la ragione ultima sia stata una scelta politica: nessuno meglio di Cingolani può far cambiare passo ad un’azienda che gestisce un business poco apprezzato presso l’opinione pubblica: quello della guerra.
Leonardo ha quarantasettemila dipendenti, almeno un quarto dei quali ingegneri. Controlla aziende in quindici Paesi, è organizzata in sette divisioni: elicotteri, aerei, sistemi avionici e spaziali, elettronica per la difesa terrestre e navale, sistemi per la sicurezza e le informazioni. Di tutte le grandi aziende a partecipazione pubblica, è quella con i rapporti più stretti con i servizi segreti e i vertici dell’Alleanza atlantica. Il presidente uscente di Leonardo è Luciano Carta, già capo dei Servizi segreti esterni. Il presidente dell’era Cingolani sarà Stefano Pontecorvo, ex ambasciatore in Pakistan, consigliere diplomatico del ministro della Difesa e soprattutto l’ultimo rappresentante civile della Nato in Afghanistan. Fu lui, nell’agosto del 2021, a gestire il più grande ponte aereo umanitario della storia e l’uscita dal Paese delle truppe occidentali dopo vent’anni di occupazione militare. Leonardo partecipa a molte joint venture internazionali: Drs Technologies, Telespazio, Thales Alenia Space, Atr e Mbda. Come è per Eni, chi guida Leonardo ha in mano un pezzo di politica estera del Paese, i rapporti con pezzi di establishment francese, tedesco, inglese e del Pentagono americano. Non è ancora chiaro quali saranno le priorità strategiche di Cingolani. A chi in questi giorni ha potuto parlarci, l’ex ministro ha fatto capire di voler studiare, capire, e di non poter dire: la concorrenza è forte e le azienda alleate sono spesso in competizione per accaparrarsi le commesse, soprattutto nei Paesi terzi.
Secondo alcuni Cingolani, carattere ruvido e poco incline ai compromessi, non sarebbe adatto al ruolo. L’opposizione lamenta il mancato rispetto della norma che impedirebbe a un ex ministro un ruolo del genere prima di un anno, ma dal Tesoro hanno risposto che la Difesa e l’Ambiente non sono settori affini. La reazione del titolo in Borsa per Cingolani non è stata pessima. Dal 12 aprile, il giorno in cui il governo ha ufficializzato le scelte, Leonardo non ha subito scossoni. Ed è vero che non si tratta della prima volta in cui la politica sceglie un capoazienda che non viene dal settore: era già accaduto con il ferroviere Mauro Moretti e il banchiere Alessandro Profumo. Una cosa è certa: la guerra in Ucraina, con il suo carico di lutti e tragedie, darà a Cingolani un’opportunità negata ad altri. Tutte le potenze occidentali hanno aumentato i budget pubblici della Difesa, permettendo in alcuni casi di raggiungere la soglia del due per cento fin qui consigliata senza successo dalla Nato ai partner. —