In uno dei libri più riusciti di Vittorio Lingiardi, titolato Mindscapes. Psiche nel paesaggio (Cortina 2017), troviamo una confessione che motiva il suo profondo rapporto con l’arte della poesia: "ho scritto la mia prima poesia all’inizio degli anni Ottanta, nella sala d’aspetto dell’Istituto dei tumori di Milano, ho preso un foglio e ho scritto alcuni versi. Poi ho capito che era un modo per dare forma al dolore, di contenerlo e anche poterlo guardare attraverso una lingua speciale, per me nuova ma al tempo stesso nota".
Questo riferimento alla poesia come sforzo di traduzione di un dolore indicibile e impensabile non deve stupire. Diventerà piuttosto la cifra destinata ad orientare tutto il suo lavoro teorico e di scrittura: stringere insieme il rigore della speculazione concettuale con la testimonianza autobiografica, con la passione per le immagini e per il racconto.
Di qui scaturisce l’idea lingiardiana dell’inconscio non come un’organizzazione topica - come una geografia dei sottosuoli - , ma come potenza narrativa. Ed è proprio questa visione dell’inconscio che ritroviamo anche al cuore del segreto del sogno, ovvero di quello strano "oggetto" composto di pensiero e poesia, al quale Lingiardi dedica questo ultimo suo bel libro titolato L’ombelico del sogno (Einaudi). Il lettore vi troverà un racconto che spazia dalla concezione profetica del sogno propria dell’antichità classica e biblica, sino alle più recenti indagini scientifiche sull’attività onirica come prodotto dalla facoltà sinaptica-neuronale del nostro cervello.
Sappiamo che il grande e sovversivo merito di Freud è consistito nel restituire senso al sogno in un tempo dove la psicologia scientifica lo considerava un fenomeno neurofisiologico del tutto insignificante. Tuttavia, nella sua visione il sogno non è altro che l’appagamento allucinatorio di un desiderio infantile rimosso.
Diversamente, la svolta che si consuma con Jung e con Bion, come Lingiardi mostra efficacemente, spalanca il sogno sull’avvenire; esso non è più il ritorno del passato, ma una potenza immaginativa e creatrice (Jung), l’espressione delle capacità di simbolizzazione del pensiero di ciò che resterebbe altrimenti senza voce (Bion).
Per questo il sogno apre alla possibilità dell’inaudito, come quando si dice di "avere il sogno di una vita diversa". Più che una mascheratura esso assomiglia ad un laboratorio di idee che offre al soggetto una opportunità supplementare rispetto a quella garantita dal potere deliberativo dell’Io. Dunque, in contrasto con quello che pensava Freud, il sogno, riletto lungo la direttrice Jung-Bion, non si limita a manifestare ciò che del nostro passato è rimasto sepolto o sospeso, ma anche ciò di cui la nostra vita ha necessità per mantenersi viva e generativa. È ciò su cui insiste anche Ogden: il sogno ci aiuta a pensare ciò che sembra essere impensabile, a dare espressione a ciò che parrebbe inesprimibile. La stranezza labirintica dei nostri sogni mostra l’attività di un vero e proprio pensiero creativo.
È quella che Hilman definisce come la "base poetica della mente". In gioco nel sogno non è solo, come riteneva Freud, l’azione di una censura che deformerebbe i nostri desideri inconsci al fine di consentire la loro realizzazione allucinatoria, ma un funzionamento immaginativo del pensiero per pensare ciò che non riusciamo a pensare. In questo senso, come scrive Jung, ricordato da Lingiardi, il "sogno guarda "dentro", ma contemporaneamente "lontano"".
Più che uno smascheramento del desiderio inconscio, l’interpretazione di un sogno dovrebbe riconoscere il movimento espansivo dell’inconscio che grazie all’attività onirica trasforma incessantemente emozioni e vissuti che nella vita diurna resterebbero inesprimibili. Non si tratta allora di rendere conscio l’inconscio ma, come direbbe Ogden, di immergere la nostra vita cosciente nel processo trasformativo dell’attività onirica. Non a caso i sogni di soggetti psicotici o traumatizzati tendono verso l’incubo, ovvero verso una attività priva di pensiero trasformativo. È ciò che denunciava già Agostino nelle sue Confessioni quando, esposto alle immagini perturbanti dei suoi sogni, si chiedeva quanta responsabilità il proprio Io avesse nel generarle. È la stessa responsabilità che ha spinto Freud a non indietreggiare di fronte all’ignoto del sogno.
Si tratta, come la descrive Jung, di una discesa agli inferi: incontrare la nostra alterità più radicale, quella che è, al tempo stesso, potenza di generazione e potenza di morte. È proprio "nei sogni - scrive Lingiardi al termine del suo viaggio - che cominciano le responsabilità perché i loro segreti evanescenti ci espongono al mistero di una interiorità di cui dobbiamo imparare a prenderci cura...".