La Lettura, 22 aprile 2023
Anche Calvino da piccolo giocava
Chissà se Walter Benjamin e Italo Calvino si sono incontrati realmente a Sanremo tra il 1935 e il 1936. E se lo scrittore ligure – allora ragazzino – abbia davvero inseguito il pallone che si perdeva tra i carruggi fino ad attraversare i binari: il confine estremo di un territorio che invece lo studente non poteva varcare. Eppure è in questo terreno – tutto ligure e tutto letterario – che si squaderna Il bambino e le isole (Un sogno di Calvino) (66thand2nd), romanzo di Marino Magliani. L’idea di mischiare elementi reali – nel centenario della nascita dell’intellettuale italiano – per amalgamarli con quelli narrativi è lo spunto di partenza: Benjamin, un bagaglio di libri tra le mani, spinge Calvino piccolo a scrivere di un ragazzino che cerca di recuperare proprio quella sfera.
La magia dell’arte come recupero del gioco e come ricerca personale diventa un’ossessione per Calvino mentre quello che gli aveva chiesto Benjamin accade davvero: un bambino insegue un pallone e non torna più indietro, percorre i binari delle ferrovie, attraversa la Liguria, ne sonda tutta la sua verticalità, diventa un camminatore, si ripara sotto le gallerie, in inverno si infila al caldo delle librerie e scopre leggendo i giornali che Calvino vorrebbe scrivere una storia come questa. La storia di un bambino che ha mollato tutto per inseguire un pallone.
La sua diventa un’«esistenza ferroviaria», che corre parallela ai treni, anche quando il viaggio sembra interrompersi improvvisamente e sembra terminare: «Non binari morti, erano solo tronchi, perché un binario tronco continuava a conservare un’immagine di infinito, e la poesia degli infiniti tronchi».
Il bambino nel frattempo diventa uomo e inizia a leggere i libri di Calvino, incontra anche Carlo Levi che poi ne parlerà allo scrittore di Sanremo: il cercatore di pallone e l’autore che voleva scriverne la sua storia diventano un’ossessione perfetta nella storia di Magliani, scrittore di razza che qua gioca su più piani. Non ultimo il paesaggio che l’autore nato a Dolcedo (Imperia) porta in questa storia come uno dei protagonisti e lo fa con una scrittura piena di stupore, novecentesca, evocativa e quasi misteriosa: il libro procede a quadri, quasi una sorta di diario che segna le tappe degli incontri e del viaggio. In questo gioco di incontri e appuntamenti mancati, Magliani – lo fa come omaggio intimo – tesse la vita di un uomo talmente alle prese con sé stesso da diventare – per paradosso – il personaggio del racconto che Italo Calvino non ha mai scritto. Il bambino e le isole (Un sogno di Calvino) è un romanzo atipico nella produzione artistica di Magliani, uno scrittore che è in grado di passare dal giallo de La tana degli Alberi belli (Longanesi) alle poesie di All’ombra delle palme tagliate (Amos edizioni) per poi raccontare – come ha fatto lo scorso anno, finendo nella dozzina dello Strega – la storia di un gruppo di fuggiaschi ne Il cannocchiale del tenente Dumont (L’orma). Un romanzo che, a ben vedere, parla moltissimo delle ossessioni di Magliani stesso: la Liguria, la scrittura, il viaggio errabondo, la natura.