la Repubblica, 21 aprile 2023
Essere il nipote di Oscar Wilde
Il nipote dello scrittore del “Ritratto di Dorian Gray”, intervistato sul nuovo numero di Robinson, ricorda la figura di suo padre, tra scandali e segreti di famigliaAvevo otto anni quando Essere figlio di Oscar Wildefu pubblicato per la prima volta nell’autunno del 1954. Tuttavia, fu solo all’età di quindici anni che mio padre me ne diede una copia con una commovente dedica risalente al giorno della pubblicazione, sette anni prima: «Per Merlin, con amore profondo, dal suo papà». Fino ad allora Wilde, per me, era stato semplicemente l’autore diL’importanza di chiamarsi Ernesto e di un libro di favole, maEssere figlio di Oscar Wilde mi ha portato a leggere altri libri su mio nonno, che ora mi appare in una nuova luce non del tutto lusinghiera, ma più umana, che in qualche modo me lo fa sentire più vicino. Ho iniziato a realizzare quale sforzo emotivo sia stato per mio padre aver dovuto rivivere quei giorni della sua infanzia, quando era ancora un ragazzo, ma già orfano. Aveva, per così dire, lasciato dormire in sé l’amara memoria di quei primi anni con l’effetto catartico di poterne dare in seguito testimonianza per i posteri.In merito alla pubblicazione, i critici sono stati unanimi nell’elogiare il libro. Parole come “toccante”, “delicato”, “senza amarezza”, “fiero” e “intenso” apparivano ripetutamente in tutte le recensioni e, rileggendole oggi, è rilevante quante poche persone sapessero che nel 1954 Oscar Wilde fosse stato sposato e avesse avuto due figli. Mio padre fu quasi sopraffatto dal responso del pubblico. (…) Peraltro, mio padre aveva davanti a sé una vita movimentata. Nel 1912 fu chiamato all’Ordine degli avvocati e praticò per un breve periodo come avvocato, ma quando la Germania invase il Belgio, nel 1914, si arruolò volontario quasi immediatamente e servì il Paese per la maggior parte della guerra in Francia e nelle Fiandre con la Royal Field Artillery. Suo fratello, mio zio Cyril, fu ucciso in battaglia nel 1915, mentre mio padre sopravvisse. Fu ferito una volta, menzionato quattro volte nei dispacci e premiato con l’Obe (l’onorificenza di Ufficiale dell’Ordine dell’Impero Britannico) nel 1919. Tra le due guerre, viaggiò a lungo in Europa facendo una vita modesta e creandosi una buona reputazione come traduttorefrancese. Nel 1940, avendo cinquantaquattro anni ed essendo troppo vecchio per il servizio attivo, gli fu chiesto di unirsi al servizio francese della Bbc, dove restò fino al 1948. Da allora, fino alla sua morte nel 1967, continuò la sua carriera come autore e traduttore. Nei suoi ultimi anni ha trovato un modo decisamente nuovo per mettere a frutto i suoi talenti: con la sua immensa conoscenza della storia del costume e dell’antiquariato, è diventato un consulente storico per l’industria dei film.L’agosto del 1961 a Londra è stato molto caldo. Mio padre era solito svegliarsi presto per scrivere. Una mattina mi svegliò con la proposta di andare a fare una passeggiata ad Hyde Park: la quiete della città sotto la pallida luce solare fu un’esperienza nuova per me. Non c’erano autobus, le auto erano poche e potevamo conversare con il solo brusio dell’alba come sottofondo. Le nostre passeggiate mattutine divennero un’abitudine quotidiana e qualche volta, per variare, facevamo un giro per le strade deserte di Chelsea. Mio padre si abbandonava ai ricordi della sua vita tra le guerre, spesso rievocati passando davanti alla casa dove era stato ospite abituale. Mi mostrò casa Wilde a Tite Street e i giardini dell’Ospedale Reale, dove lui e Cyril andavano a giocare da bambini, e non c’era dolore in quei ricordi, o la necessità di rimuoverli. Io rappresentavo una nuova generazione che doveva conoscerli ed esserne orgogliosa. Fu poco dopo che mi diede la sua copia di Essere figlio di Oscar Wilde.Data la nostra differenza di età – lui aveva settantacinque anni e io ne avevo quindici – avrebbe potuto essere difficile per lui rapportarsi a un figlio così giovane, ma non fu così. Aveva un vivace senso dell’umorismo, una mente brillante ed era una fonte inesauribile di aneddoti, di cui non mi stancavo mai. Era amorevole e paziente e aveva quella gentilezza che aveva imparato da suo padre tanti anni prima, ma di cui aveva goduto per un tempo troppo breve.Quando morì, all’età di ottant’anni, le ferite della prima infanzia erano in gran parte guarite e nel 1966 fu in grado di scrivere: «Quindi, data la mia buona salute, una bella casa piena di libri, la sicurezza di un buon pasto con la mia famiglia o con i miei amici, con chi mi cambierei? Quando mi sento depresso, conto le mie benedizioni una ad una e sento di essere un uomo felice, di non avere nulla da rimproverare al destino, che a volte mi ha quasi schiacciato, ma che alla fine mi ha lasciato, per così dire, spiaggiato sulle rive del tempo nella calda luce del sole». (Time Remembered, 1966)