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 2023  aprile 21 Venerdì calendario

Intervista ad Alessandra De Stefano


È già al lavoro a Parigi. Come corrispondente. Alessandra De Stefano, 57 anni, primo direttore donna di Rai Sport, è fresca di dimissioni. Il suo viaggio da pioniera è durato poco. «Ne me quittes pas» all’incontrario.
Si è dimessa dopo 18 mesi, il suo mandato scadeva nel 2024.
«Credo di essere la prima. Un motivo su tutti: la difficoltà ad accettare che qualcosa non si possa cambiare. In Rai se provi a fare una scelta diversa diventi subito un nemico. A me tentare piace, credo che ogni tanto non sia male percorrere un’altra strada.
Può essere sbagliato o giusta, ma è un tentativo. Il problema è che ci sono colleghi che ancora ti dicono: ho fatto uno share. No, non l’hai fatto tu l’ascolto, ma l’evento a cui hai partecipato. E se provi a cambiare un volto c’è chi si sente esiliato, tutti si avvertono fondamentali, la parola ricambio non esiste».
L’imbarazzo di dover reintegrare Enrico Varriale?
«Anche quello ha contato. Da donna non me la sentivo. Preciso: c’è un processo in corso per stalking e lesioni personali, una presunzione di innocenza per le accuse e una signora che è finita in ospedale. Varriale è stato sospeso, ma non dallo stipendio e dai benefit. Lui voleva tornare a condurre e si è rivolto a un giudice del lavoro, è una questione delicata, io per la mia posizione avrei dovuto rispondere del danno erariale. Sarei diventata il direttore donna che lo rimetteva in video, in attesa della sentenza del tribunale. Non era solo una mia sensazionale personale, c’era disagio anche in azienda e tra chi avrebbe dovuto lavorare con lui».
È scesa in guerra sui social.
«Sono stata aggredita perché ero senza voce. Mi attacchi sulla salute? Mi insulti perché sto male?
E io rispondo, mi difendo. Ero stanca e nervosa, ho fatto un tweet rabbioso che non ho cancellato. La verità? Avevo un blocco del diaframma, causato dallo stress».
In un anno si è rotta braccio e gamba, senza fare sport.
«Vero. Camminavo. Ma stavo al telefono a risolvere problemi: c’era stato un intervento dell’Agcom, e poi avevo la mia segretaria in lacrime per l’insistenza di qualcuno che pretendeva un turno festivo. Ero distratta, colpa mia, ma il corpo è sincero».
Voleva raccontare cosa c’è dietro lo sport.
«Ma nel calcio è improponibile.
Con l’Italia assente ai Mondali ancora più difficile, ma abbiamo fatto buoni ascolti anche senza materia prima. Ringrazio comunque la Rai per la scelta di tenere i diritti. Detto questo abbiamo un problema di formazione, ho provato a fidelizzare i telecronisti su vari sport, ma gli accessi agli atleti sono difficili, e se non li conosci, se non hai passato del tempo con loro in maniera informale, non potrai maidire quella cosa in più. Un conto è acquisire informazioni, un altro è averle vissute. Mancano anche i maestri, Paolo Frajese di un mio servizio disse: buono perché ho tolto l’audio e dalle immagini ho capito lo stesso di cosa si trattasse.Dove trovi più uno che perda tempo con te?».
Si aspettava meno veleni?
«Chi oggi mi augura buona Parigi è una persona falsa. Io credo che un direttore abbia il diritto di rinnovare, anche se oggi dominal’ossessione degli ascolti, c’è molta più concorrenza, è cambiata la fruizione della tv e la parola Rai non apre più le porte come una volta. Sono un’interna, vengo dal ciclismo, ci sta che qualcuno si sia sentito scavalcato, meno il noncapire che la rotazione non significano esclusione».
La Ds non apre più con il campionato di calcio, di cui non ha più i diritti.
«Una scelta diversa, si chiama Domenica Sportiva. Abbiamo aperto con pallavolo, nuoto, ciclismo, atletica, basket, ginnastica, con grandi avvenimenti. E ad aiutarci negli approfondimenti Lia Capizzi, la miglior giornalista dei vari. Credo in una tv autoriale, ma la domenica c’è molta attualità, bisogna fare connessioni in fretta, creare una narrazione, ci vogliono autori bravi che però vanno pagati e magari cinque anni di tempo per una nuova mentalità. Abbiamo provato a destrutturare il calcio».
Forse il calcio non voleva.
«Quando per la Nazionale ho proposto lo studio virtuale, già usato nel ciclismo, con la realtà aumentata, la federazione ha fatto opposizione. Ho insistito e si sono convinti, non sarà il metaverso, ma è un’innovazione. Ogni volta una battaglia: tutte le sigle sindacali tra Roma e Milano mi hanno dichiarato guerra perché il virtuale taglia l’occupazione. E un politico ha protestato perché la sua presenza in tribuna alla partita non era stata citata in telecronaca».
E da parte sua nessun errore?
«Sì. Ho agito come un’inviata, come una abituata a portare avanti il progetto da sola, pensavo che più fossi stata presente e meglio avrebbe funzionato. Ho lasciato Saxa Rubra dopo 32 anni. Mi sono portata via in una scatola la sagoma di Muhammad Ali, una lettera di Gianni Mura, una foto di Pantani a Madonna di Campiglio, una di Senna e una con Eddy Merckx che in un’intervista mi chiese di mio padre Amedeo, si ricordava il suo nome. Sarei un’aliena se non confessassi il dispiacere».
Lei come direttore donna era un segnale: si sente sconfitta?
«Non la vivo così. Lo sport della Rai offre più di altre reti pubbliche in Europa. Sono stata scelta per cambiare, quando mi sono accorta che dovevo cambiare io, e questo mi causava sofferenza anche fisica, ho preferito deviare ed evitare il burrone. Oggi fa notizia che per la prima volta in Italia un club di calcio, la Roma, abbia un Ceo donna, e non della famiglia proprietaria. Io chiedo: ci vogliamo ancora meravigliare? Non aspiravo ad essere una statistica, non è un gioco che mi interessa. Se credi in qualcuno devi metterlo in condizione di lavorare, a prescindere dal genere. Se ogni giorno per cucinare ti danno patate puoi variare ma siamo sempre lì».
Cosa vede da Parigi?
«Una città già densa di Olimpiadi, un posto che amo e conosco, non è un segreto che sia sposata con un collega francese. Ci venivo per l’arrivo del Tour, ora sarà la mia ripartenza».