Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2023  aprile 21 Venerdì calendario

Intervista a Mattarella


Signor presidente, si apre un biennio nel quale l’Italia sta avendo un ruolo da protagonista nella cultura europea. «Paese Ospite d’Onore» al Festival du Livre di Parigi, omaggio che si ripeterà nel 2024 alla Buchmesse di Francoforte, e ciò conferma l’interesse verso la nostra narrativa, poesia, filosofia e saggistica… Saranno presentati autori contemporanei e della tradizione, che ci legano all’identità dell’Europa. Possono essere anche eventi come questi gli «antidoti» di cui l’Ue ha bisogno per superare fragilità e riscoprirsi unita? Con una cultura certo plurale, ma su valori comuni?
«La partecipazione dell’Italia in veste d’ospite d’onore a due tra le più prestigiose occasioni culturali europee, oltre a riconoscere il contributo recato dalla civiltà italica al sentire globale, rappresenta una grande occasione per proseguire sulla strada di una osmosi che consolidi sempre più la piattaforma comune di valori sui quali si fonda la Casa europea.
L’incontro e il dialogo tra culture offre l’opportunità di conoscersi al di fuori di consolidati stereotipi e crea, nel confronto, le condizioni per superare la fragilità di una interpretazione dell’identità basata sulla chiusura e il rifiuto dell’altro. Il rispecchiarsi in uno spazio largo è ciò che ha consentito il crescere delle civiltà. Il sapere si è affermato come un valore democratico, anzi come condizione della stessa vita democratica. Non a caso l’accesso all’istruzione è divenuto uno dei diritti contemporanei. Un bagaglio di studi limitato è una barriera che, oltre a creare divari, genera incomprensioni e, dunque, conflittualità e, soprattutto, ci impedisce di progettare il futuro con chiavi interpretative adeguate a comprendere la complessità del nostro vivere contemporaneo.
Il libro, come ogni altra modalità di espressione della creatività umana, rappresenta uno strumento di condivisione della conoscenza.
Leggere è essenziale. Bisognerebbe leggere di più e, forse, la lettura del Milione di Marco Polo potrebbe aiutarci a comprendere lo spirito con cui va guardato il mondo.
Lo scambio apre le menti, tanto più per una cultura solida e ammirata come quella italiana. Consente di rimuovere pregiudizi e nozioni artefatte che ostacolano la conoscenza, ricacciandoci in recinti neo-tribali. Il progresso del mondo è avvenuto anche, se non soprattutto, grazie agli scambi con le culture “altre”.
Le trasformazioni repentine dei modelli di convivenza indotte dalle innovazioni tecnologiche, gli effetti dei cambiamenti climatici e della stessa crisi pandemica, i conflitti in atto, ci interrogano oggi profondamente nella nostra personalità. La cultura ci sorregge nella nostra capacità di immaginare fin d’ora il tempo nuovo, offrendoci criteri divenuti universali. La sfida è caratterizzata anche dal saper far migrare e incarnare i valori dei patti fondativi delle società contemporanee nelle architetture informatiche, che disegnano e influenzano in modo determinante le nostre società».
Come definirebbe, in concreto, l’identità europea? Su quali cardini poggia? E quale peso vi ha la cultura italiana?
«Dalle grandi città ai piccoli borghi, in ogni latitudine del nostro continente le comunità sono riconoscibili dalle loro piazze, i loro edifici di culto, i loro municipi, i loro palazzi e i loro mercati, i loro paesaggi. Con la loro cultura materiale sedimentata nei secoli. Ognuno di questi segni indica, identifica l’Europa. La dimensione europea è ciò che condividiamo quale frutto del deposito lasciato da culture plurali, recate dai popoli che si sono succeduti nell’insediamento sui territori, in continua sequenza tra loro. Si pensi alle migrazioni degli artisti e degli architetti, dei clerici vagantes. Guardiamo al Rinascimento. Nell’immaginario collettivo, che corrisponde alla realtà, il Rinascimento è il prodotto dell’ingegno italiano in uno stato di grazia particolare. L’innesco dell’esperienza è partito, certo, nel Quattro e Cinquecento dalle città italiane per diffondersi però, poi, nelle corti europee. Tuttavia il Rinascimento belga, per esempio, ha una sua specificità che ha regalato al mondo le meraviglie dell’arte fiamminga; così come il Rinascimento inglese, che vede giganti della letteratura come Edmund Spenser, Philip Sydney e lo stesso John Milton, per non parlare del più grande di tutti, Shakespeare. Né si può trascurare di apprezzare la lungimiranza dei regnanti francesi che ospitarono sommi artisti italiani, come Leonardo, Rosso Fiorentino, Benvenuto Cellini, per consentire ai propri artisti di confrontarsi con il Rinascimento italiano, con la fondazione di scuole come quella di Fontainebleau. Come ignorare il contributo degli enciclopedisti? Come non condividere in un patrimonio comune il pensiero di Kant o la musica di Beethoven e di Brahms; o l’armonia di Mozart o di Donizetti? È dalle reciproche influenze che prende corpo una dimensione di cultura artistica e architettonica europea, riflesso di una matrice umanista emersa nei secoli. Il sentimento di appartenenza era, dunque, a una grande cultura, che non separava est e ovest europeo ma permeava ogni ambiente intellettuale.
Spes contra spem, mi piacerebbe pensare a un nuovo rinascimento europeo, aperto al mondo intero».
C’è chi sostiene che il futuro passi attraverso la costruzione di una «fraternità europea». È questo lo sforzo da fare?
«La fraternità europea, se derivato della triade illuminista – insieme con uguaglianza e libertà —, va intesa come consapevolezza di comune destino e va oltre la solidarietà. Se i valori espressi dalle singole comunità erettesi in Stato sono comuni, è naturale e soprattutto autentico parlare di “fraternità europea”. I padri costituenti della nostra Repubblica si misurarono con questo pensiero e, in una prima stesura dell’articolo 3 della nostra Costituzione, scrissero un inciso di rara bellezza espressiva: le norme, secondo questa primigenia versione del testo, risultavano poste “al fine di assicurare l’autonomia e la dignità della persona umana e di promuovere a un tempo la necessaria solidarietà sociale, economica e spirituale, in cui le persone debbono completarsi a vicenda”. Trovo che quell’espressione “completarsi a vicenda” tra persone, tra esseri umani, tra cittadini europei, rappresenti quanto di più significativo si possa immaginare per l’Europa “unione delle diversità”, ispirata da una visione che sappia guardare lontano, senza il rischio della lusinga dell’inciampo in limes, in barriere artificiosamente create».
Il tema dell’identità dell’Europa si incrocia con le crisi in atto, che determinano anche ondate inattese di immigrazione. Dall’essere spontaneamente cosmopoliti si passa alla paura verso la diversità, vista come una minaccia piuttosto che come opportunità e prova di civiltà.
«In questo senso potremmo parlare di “fraternità europea” come acquisizione di consapevolezze più autentiche, che abbiano la meglio anche su narrazioni correnti di crisi di convivenza con gli immigrati che giungono sulle nostre coste o agli altri confini d’Europa, fuggendo da guerre, carestie, sconvolgimenti climatici. Buoni esempi di “fraternità europea” non mancano: le porte aperte ai profughi ucraini e la generosità ad essi mostrata da Paesi come la Polonia parlano da soli. Tuttavia i principi sono tali se non ammettono declinazioni di comodo. La fraternità sarebbe più forte se fosse sempre ugualmente riservata a chi fugge da altre guerre, da altra fame, da altre catastrofi, lungo la linea del Mediterraneo, per esempio. Al centro deve essere la persona e i suoi diritti, senza distinzione, come recita l’articolo 3 della Costituzione “di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”. L’Europa è anche il mare che l’Italia abita, fendendolo nel mezzo fino a sfiorare le coste africane. Ce lo ricorda, con lo straordinario Fernand Braudel, Predrag Matvejevic: “Sul Mediterraneo è stata concepita l’intera Europa”. Il Mediterraneo è il nostro banco di prova come capacità di affermazione dei valori europei e come capacità di dispiegare politiche di cooperazione per fronteggiare, governandoli, fenomeni complessi».
La letteratura, come tutte le arti, rappresenta lo spirito del tempo ed è l’autobiografia di un popolo. Lei ha più volte osservato che la Costituzione resta la «cassetta degli attrezzi» cui dovremmo ispirarci, ma quali altri testi, quali figure possono essere considerate fondamentali per rafforzare il senso di cittadinanza europea?
Marco Polo insegna a guardare l’altro. Dante nel Purgatorio lancia un messaggio utile nella babele comunicati-va di oggi: lo vorrei consegnare ai giovani
«L’autobiografia culturale di un Paese è la sua cultura per intero, quella alta e quella popolare, per ricordare il pensiero di un grande italiano transnazionale, Umberto Eco, in grado di parlare a tutte le espressioni culturali. Per l’Italia cito, ancora una volta, innanzitutto la sua Costituzione, che esprime le ragioni dell’identità di un popolo, e nasce scritta in un italiano perfetto.
Ciascun Paese può mettere in campi propri campioni che hanno contribuito al formarsi di un demos europeo e qualsiasi elenco apparirebbe riduttivo.
La nostra autobiografia trova in Dante Alighieri l’uomo che ha portato a compimento il passaggio tra latino e volgare, riconoscendo alla lingua parlata, quella che oggi definiamo lingua italiana – e fu una rivoluzione – la dignità letteraria e la superiorità comunicativa. Potremmo dire la prevalenza dell’idioma dei più rispetto alla lingua ufficiale, senza tuttavia concessione alcuna alla ignoranza, alla sciatteria ma con il riscatto del parlare comune e delle forme del suo pensiero.
Era forte in Dante il richiamo alla conoscenza. Lo ritroviamo nella sua opera massima, nell’Inferno, canto XXVI. “Considerate la vostra semenza:/ fatti non foste a viver come bruti,/ ma per seguir virtute e canoscenza”, ammonisce. Mentre, in versi meno noti, nel XXII canto del Purgatorio, lancia un messaggio forse utile anche nella babele comunicativa del nostro tempo: “Veramente più volte appaion cose/ che danno a dubitar falsa matera/ per le vere ragion che son nascose”. Lo vorrei consegnare ai più giovani, ai quali le istituzione europee riservano da oltre trent’anni il progetto Erasmus, che richiama il celebre umanista olandese Erasmo da Rotterdam.
Per restare all’Italia pensiamo a san Benedetto da Norcia, immenso costruttore di una visione europea. Federico II di Svevia, un Hohenstaufen, seppe concepire l’idea d’Europa. Un’Europa inclusiva e tollerante, un’Europa incontro fra culture fuse in una visione nuova che superava quelle originarie. Un uomo espressione del Nord Europa nato a Jesi, nel centro dell’Italia medievale e che si consacrò al Sud e fu re di Sicilia. Ci sono straordinari personalità e giacimenti culturali dai quali attingere per dirci europei del XXI secolo».
La guerra scatenata da Mosca in Ucraina ha provocato, tra l’altro, la tentazione di «cancellare» opere russe dalle programmazioni di mostre, concerti, dibattiti. Eppure la letteratura e l’arte russa sono nell’alveo della cultura europea. È giusto abolire dalla nostra memoria quella lunga storia?
«C’è un celeberrimo aforisma di Terenzio, tratto dalla commedia latina Il punitore di sé stesso che dice: “Homo sum, humani nihil a me alienum puto” (tutto ciò che è umano a me non è estraneo). L’atteggiamento di fronte alle culture prodotte dall’uomo, dai più diversi intellettuali e artisti, non può che essere l’apertura, la curiosità, la conoscenza, il confronto. Il progresso nasce da questo. Non dal rifiuto, non dalla cancellazione. Il contesto culturale è il prodotto di una continua trasformazione, contraddittoria, dialettica, con andamento non lineare.
La cancel culture nei confronti della letteratura e dell’arte russe appare come un gesto sbagliato che vorrebbe colpevolizzare a ritroso i prodotti di secoli di storia europea, di cui quella cultura fa parte a pieno titolo. Gli intellettuali più avvertiti non hanno mancato di stigmatizzare questa visione. La cultura è tale se rifiuta le catalogazioni di comodo e aspira ad offrirsi come visione a confronto con il mondo. E ogni visione coesiste con le altre, si fonde, evolve. A uccidere la cultura è l’omologazione, il conformismo, anche quello cui sottostiamo inconsciamente o colpevolmente per pigrizia mentale, per opportunismo. Dante, Manzoni, Pirandello, Calvino, Eco, hanno illustrato, con diseguale ambizione naturalmente, la nostra cultura e hanno tutti diritto di cittadinanza. È la “multipolarità delle esperienze culturali” a tessere il tessuto connettivo in cui ritrovarsi».
La nostra presenza agli eventi di Parigi e Francoforte ci ricolloca nel cuore della geografia culturale, oltre che politica, dell’Ue.
«È bello pensare che l’Italia non è solo il suo passato ma uno scrigno permanentemente arricchito. L’industria culturale italiana è una forza trainante del nostro modello produttivo che permette di mettere in valore le creazioni dell’ingegno. L’esperienza di “Passioni Italiane”, che unisce teatro, cinema, fotografia, editoria, mi pare significativa. Mi piace pensare che Parigi e Francoforte significhino anche un riconoscimento all’impegno e all’attività della nostra industria dell’editoria che, lo dimostra questa duplice presenza, è affatto provinciale bensì proiettata a pieno titolo nel dialogo della cultura internazionale.
Il libro è un veicolo straordinario che richiama l’attenzione sul Bel Paese.
L’Italia è il luogo in cui ogni cittadino del mondo, almeno una volta nella vita, pensa di recarsi per trovare l’occasione di un’esperienza unica di immersione totale nel bello. Un’esperienza estetica, ma anche sensoriale, concettuale. L’Italia gode all’estero di una reputazione altissima, che investe il suo passato ma, come ho osservato, anche il suo presente. L’Italia affascina per le sue città d’arte, la sua storia, i suoi musei, ma anche per il suo design, il suo cinema, la sua musica, il suo cibo, i suoi scienziati, le sue astronaute, la sua alta moda. La sua gente, insomma. E affascina per il suo spirito pubblico, il senso della comunità, la sua vocazione alla pace che si traduce in una straordinaria capacità diplomatica sul terreno della cultura, della scienza, della economia, della politica.
Il modello di vita italiano fa sì che, dopo più di un secolo e mezzo di migrazioni nelle Americhe, in Australia e nell’Europa del Nord, accanto agli italiani di quarta e quinta generazione che rivestono ruoli significativi nei Paesi di approdo, si facciano strada tanti, tantissimi “aspiranti italiani”, che apprezzano la nostra cultura. “Italici”, appunto, che alimentano quel soft power di cui c’è tanto bisogno in tempi di resipiscenza di violenze e aggressioni che riportano al secolo scorso.
Di certo l’italianità appare di per sé un valore. E non va dissipato».
Lei ha accolto al Quirinale opere di pittori, scultori e designer italiani del Novecento. È stato un gesto di sua sensibilità culturale? O un modo di offrire loro una vetrina, considerando gli ospiti stranieri che di continuo vi approdano?
«La sede della presidenza della Repubblica è la Casa degli italiani. L’Italia è il Paese dove bellezza e cultura hanno trovato massima espressione. Trovo naturale che il Palazzo del Quirinale si offra come spazio per raccontare l’eccellenza artistica italiana. L’arte italiana non si è fermata ai primi del Novecento ma continua a produrre con costante vivacità e valore. Continueremo, pertanto, a ospitare opere di artisti, privilegiando l’arte contemporanea in dialogo con la bellezza austera di un luogo straordinario. All’altezza della magnificenza del patrimonio culturale del nostro Paese e degli italiani».