Corriere della Sera, 21 aprile 2023
Mohammed VI, il re che sparisce
Alla corte di Rabat, al centro delle preoccupazioni dei funzionari non c’è l’alto tasso di disoccupazione, i danni che la pandemia ha causato al turismo o l’aumento dell’inflazione dopo l’inizio dell’invasione in Ucraina. A tenere banco sono le frequentazioni del re, Mohammed VI.
«Non è interessato al potere. Tutto quello che vuole condurre è la sua vita», dicono a palazzo. Nel suo stile di vita, oltre alle feste, i completi di cachemire a quadri in stile francese, è compresa la frequentazione di Abu Azaitar, 32 anni, veterano delle prigioni tedesche nonché campione di arti marziali miste. Abu e i suoi fratelli Ottman e Omar – gli stessi frequentati dal calciatore portoghese Cristiano Ronaldo – sono diventati una potenza a corte. A tal punto che, secondo alcuni funzionari interpellati dall’Economist, si permettono di trattare i dignitari regionali come se fossero «i loro autisti privati». E non solo. Da quando li ha conosciuti, il re è stato più all’estero che in Marocco. E l’anno scorso si è assentato per 200 giorni. Troppo indisposto per partecipare al funerale della regina a Londra, o al vertice della Lega araba in Algeria, o alle partite del Marocco ai Mondiali, quando il primo ministro spagnolo è arrivato a Rabat all’inizio dell’anno dopo una crisi diplomatica sul Sahara occidentale, lui era altrove.
Al di là del gossip, la questione è politica. Il Marocco è una monarchia costituzionale e il re è molto di più di una figura di rappresentanza. Ha l’ultima parola su ogni questione importante e, senza la sua regia, le fazioni politiche del Paese tendono a spaccarsi. «Siamo un aereo senza pilota», dicono ancora i funzionari. Per la parte più conservatrice della società marocchina e per il makhzen (il potere economico e politico) vedere le immagini del re col kickboxer invece che a fianco della moglie – Lalla Salma ormai è stata ribattezzata la «principessa fantasma» – sta diventando un problema. Quando nel 1999 Mohammed sale al trono dopo la morte dell’odiato padre ultraconservatore – in una biografia di due giornalisti francesi si legge che Hassan fece addirittura frustrare il figlio – Mohammed sembra destinato a diventare un re energico e moderno. Licenzia i funzionari a lui ostili, nomina una commissione per l’equità e la riconciliazione per esaminare i casi di violazioni dei diritti umani avvenuti all’epoca di suo padre. Riforma il moudawana, il codice legale islamico, rendendo più facile per le donne divorziare dai mariti. Costruisce una rete di autostrade e ferrovie. Per la stampa è l’uomo che traghetterà il Paese fuori dall’era feudale.
I cambiamenti e la modernizzazione, però, non piacciono a tutti. Il restauratore ha il volto di Abdellatif Hammouchi. Diventato capo dei servizi nel 2007 e della polizia nel 2015, Hammouchi scala i ranghi dell’establishment marocchino. Poi mette sotto processo accademici indipendenti, giornalisti, uomini d’affari e avvocati. Fa finire in carcere decine di attivisti per i diritti umani. Addirittura c’è chi parla di telefoni spiati a corte, compresi quelli dei fratelli Azaitar.
A rendere l’aria ancora più pesante per il re, i malumori dei «sudditi». I Pandora Papers hanno messo in luce la corruzione economica, gli investimenti off shore dell’élite marocchina e la disparità sociale del Paese sono le ragioni per cui i tifosi del Raja Casablanca, la squadra di calcio più popolare del regno, hanno iniziato a cantare sugli spalti: «Ladri, state rubando la ricchezza del Paese».
Pochi marocchini osano pronunciare la parola «abdicazione». Si parla di «modello spagnolo» e di Juan Carlos di Spagna, convinto a cedere la corona al figlio dopo una serie di scandali. Ma Mohammed ha un vantaggio su Juan Carlos. In Marocco, il monarca, non il parlamento, è sovrano. Se il makhzen rivuole il suo re deve accettare le sue condizioni. Una su tutte: Abu Azaitar e i suoi fratelli.