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 2023  aprile 20 Giovedì calendario

Intervista a Paola Capriolo

Paola Capriolo è seduta nella veranda, in un pomeriggio di aprile pieno di sole, con la vista sulle guglie del Duomo e sulla Madonnina, e i due gatti – uno rosso e uno argentato – nei paraggi. Stessi colori di Lady Rowena e Sir Galahad, i due felini protagonisti del suo Irina Nikolaevna o l’arte del romanzo (Bompiani, pagg. 254, euro 17), una storia ambientata nella Sanremo della Belle Époque, tra il finire dell’Ottocento e l’inizio del Novecento. Nata a Milano nel 1962, autrice di racconti e romanzi molto premiati (da La grande Eulalia a Mi ricordo), Paola Capriolo è anche traduttrice, soprattutto di classici tedeschi: Thomas Mann, Kafka, Kleist, Goethe... Un’arte «di famiglia», perché il padre Ettore era un celebre traduttore. Nel 1991 fu accoltellato per avere tradotto I versi satanici e, la scorsa estate, quando Rushdie è stato a sua volta accoltellato, lei ha rivissuto il passato: «È stato un grande choc». Di Irina Nikolaevna Paola Capriolo parlerà a Sanremo dopodomani, 22 aprile, al Forte Santa Tecla (ore 17). Come è nato il romanzo? «È nato proprio dalla suggestione del luogo. Sono stata a Sanremo verso l’inizio di ottobre, un paio di anni fa. È un luogo che porta le tracce, meravigliose e visibili, della cosiddetta Belle Époque: ne sono rimasta fortemente affascinata. È una città cosmopolita per storia: un relitto di quella che era l’Europa nella sua stagione di massimo splendore. C’erano russi, inglesi, principi, artisti, filosofi...». Però tutto questo splendore porta verso l’abisso. «Sì, sotto sotto matura già la crisi di questo mondo, che esplode nel ’900 con le guerre mondiali: rendo la sensazione di una pace che cova già i germi del conflitto». Nessuno ne è consapevole? «Vivono in un mondo che sembra durare per sempre: è la grande illusione dei secoli passati, che esista questo progresso umano che nulla può fermare e che porterà a un futuro di pace; ed è simile alla nostra illusione, nutrita per tanti anni nel dopoguerra, e che ora vediamo naufragare...». È una metafora del nostro mondo? «In un certo senso sì. Il nostro mondo non ha l’eleganza di quello, però questo credersi al riparo da tutte le forze oscure della Storia e della Natura è comune alla nostra mentalità». Chi è la misteriosa protagonista, Irina Nikolaevna? «Mi avvalgo della facoltà di non rispondere. Ci sono parecchi indizi per capire chi non è...». Ufficialmente? «Si presenta da questa gentildonna inglese, vedova, Lady Brown, per prendere servizio come dama di compagnia, dicendo soltanto nome e patronimico e rifiutandosi di dire il cognome perché, sostiene, è la figlia illegittima di un alto personaggio della corte russa. E mostra a Lady Brown un neo sul braccio, che caratterizza tutti i membri di questa antichissima stirpe aristocratica». Perché è lì? «Come figlia illegittima di un conte russo, aveva vissuto con lui a Sanremo, tra i fasti della corte della zarina Maria Aleksandrovna. Poi il padre era tornato in Russia e lei era rimasta lì, in condizione di bisogno: per cui è in cerca di un impiego». Ovvero... conversare? «Sì, Irina Nikolaevna racconta degli splendori della corte, del caviale beluga trasportato fin lì in treno, dei diamanti donati alle feste come cotillon... E affascina Lady Brown, che è un po’ provincialotta; ma in realtà conquista un po’ tutti, anche i vicini, personaggi storici come Madame Ormond e Alfred Nobel, perché è una donna di grande intelligenza e fascino». E Lady Brown chi è? «È la prima e privilegiata spettatrice di questo spettacolo grandioso che Irina inscena, a beneficio suo e dei vicini». È la lettrice? «È la lettrice, però è anche lei stessa a costruire questa trama di romanzo intorno alla figura di Irina, immaginandola di volta in volta spia, sovversiva, terrorista... È una coautrice, come ogni buon lettore». Che cos’è «l’arte del romanzo» del sottotitolo? «Per Irina, la letteratura è ciò che le permette di vivere più vite: è nutrita di letteratura». Quale letteratura? «Penso al grande romanzo dell’800: Tolstoj e Dostoevskij, gli inglesi e i francesi. Il libro vuole essere un omaggio a questa tradizione letteraria». Anche la grande tradizione tedesca, che lei ha tradotto, ha contribuito a creare certe atmosfere del libro? «Uno dei miei autori prediletti è Mann: le sue atmosfere si ritrovano molto, il fascino della Belle Époque, e questa vita che ottunde il senso del tempo, che è uno dei temi della Montagna incantata...». Fra Lady Brown e Irina si svolge «una conversazione lunga vent’anni». Oggi sarebbe possibile? «Non credo. La loro è una civiltà in cui la conversazione è il fondamento dello stare al mondo. Ed è un mondo di persone mai di fretta. Sono affascinata da quel mondo perché è l’opposto del nostro, sotto molti aspetti: è un mondo garbato, in cui le forme della vita sociale hanno una importanza estrema; mentre, nel nostro, la mancanza di queste forme prende l’aspetto di una cafonaggine diffusa, a tutti i livelli». I suoi romanzi sono molto diversi dal mainstream. Come lo spiega? «Forse perché ho letto più letteratura europea che italiana o americana. Penso di essere una romanziera che si ispira a una tradizione classica, però con la consapevolezza che quella lezione appartiene a un’epoca che non esiste più e che, nel mezzo, c’è il Novecento». In che cosa si traduce? «In un atteggiamento più problematico nei confronti del mondo che, qui, significa ironico: c’è un tono da commedia». Senza svelare troppo, diciamo che alla fine Irina Nikolaevna «non confessa». «È il suo trionfo: l’affermazione della sua libertà rispetto a qualunque realtà. Ed è il trionfo dell’arte del romanzo: conta più la fantasia di Lady Brown della realtà testimoniata dai fatti... Ma il romanzo se lo può permettere».