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 2023  aprile 20 Giovedì calendario

La dinastia dei Nattino

Milano è ancora la capitale della finanza italiana? Lo pensavamo fino a non molto tempo fa, ma ora le cose sono cambiate. Una tecnologia in rapida evoluzione, capitali che passano da un continente all’altro in un istante, la rottura dei confini resa dirompente dal dilagare del digitale, hanno ormai cancellato il concetto di finanza territoriale. Così è più facile scoprire che la finanza c’è laddove ci sono patrimoni da gestire e da investire. La finanza c’è dove c’è ricchezza da produrre, dove i talenti non si seminano in giardino, ma si fanno fruttare. La finanza c’è dove ci sono professionisti che sanno trasformare il risparmio in crescita economica. Così anche Roma può a buon diritto definirsi capitale della finanza italiana, da più di un secolo. Non solo perché dall’Unità vi risiedono i centri nevralgici dell’economia nazionale; ma anche perché vi operano professionisti che hanno contribuito concretamente alle grandi trasformazioni del Paese. Come i Nattino, una famiglia di banchieri che da quattro generazioni è punto di riferimento ineludibile per chi nella Capitale ha patrimoni da investire o intenda realizzare progetti che chiedono la mobilitazione di ingenti risorse.
TENACIA E UMILTÀ
«Ma la finanza non basta. Ci vogliono anche altri ingredienti. Prendiamo il Pnrr: per avere successo dovrebbe contare sullo spirito di iniziativa che ho visto dopo la guerra. Oggi non vedo niente del genere. Manca quella tenacia, quell’umiltà, quella grande dedizione al lavoro che c’era in quei giorni. La gente era povera, il lavoro si doveva inventare, però c’era una cosa importante: la voglia di ricostruire, la speranza», racconta Giampietro Nattino, 86 anni portati con energia, presidente onorario di Banca Finnat Euramerica dopo aver guidato il gruppo per quarant’anni e favorito l’ingresso in azienda della quarta generazione (già si apre alla quinta). Parole che esaltano, che ritrovi più volte nel volume "Borsa e Valori", una sorta di autobiografia che si allunga alle origini dell’avventura professionale del nonno Pietro e del padre Arturo: "Storia della Finnat dall’Ottocento ai giorni nostri", è il sottotitolo.
Una lunga intervista, nella quale Nattino, mai reticente, ripercorre il racconto della sua famiglia, che diventa il racconto di un Paese, la sua storia economica e finanziaria, ma anche sociale e politica. Una storia radicata a Roma, ma che vanta origini piemontesi, non sabaude, della provincia di Alessandria (Gavi) del Piemonte del Sud, quello che non insegue la Francia - sottolinea il banchiere - ma che guarda al mare, molto prima che Ivano Fossati cantasse: "Da Alessandria si sente il mare, dietro una curva improvvisamente il mare".
Una storia che ha radici militari. Il nonno Pietro indossa la divisa giovanissimo. All’inizio del secolo combatte in Africa, ottiene medaglie e ferite. Arrivato a Roma lavora in banca e poi, a 30 anni, diventa uno dei primi agenti di cambio in Italia, fondando quella dinastia professionale che a Roma si accompagnò a distanza con quella degli Albertini a Milano e dei Giubergia a Torino. Veniva chiamato "il leone" per il suo straordinario dinamismo in Borsa.
Il racconto di Nattino somiglia alla biografia di un Paese che ancora si riconosceva nella disciplina, nella serietà, nell’attenzione e nel rispetto: «Valori della vita militare anche in divisa civile». Con Arturo Nattino, padre di Giampietro, la famiglia di agenti di cambio si lancia nell’avventura imprenditoriale. Fu Arturo a fondare nel 1946 la Finnat, più precisamente la Finanziaria Fratelli G.A. Nattino. Le iniziali sono quelle dei figli di Arturo, Giampietro appunto e Angelo, prematuramente scomparso otto anni fa.
UN MARCHIO INDELEBILE
E c’è un marchio di fabbrica che nel tempo diventa indelebile: la stima e la credibilità di cui gode la nuova impresa lascia subito profonde tracce e si consolida nei numerosi incarichi ricevuti dallo Stato italiano e dal Vaticano al punto che tra le corbeille della Borsa romana ci fu chi confezionò lo slogan "Il buon giorno si vede dal Nattino!".
«Io appartengo alla generazione abituata ad apprezzare i fatti, più che gli annunci. D’altra parte, facendo il banchiere non potrebbe essere diversamente», spiega ancora Nattino. E aggiunge: «Ho sempre pensato che la finanza debba essere molto integrata con l’azienda. Se la finanzi devi anche seguirla». Ma la solidità di un’impresa ha bisogno di terreno buono. Cioè un Paese nel quale «la burocrazia sia non invadente, le infrastrutture efficienti» e dove «profitti e rendite vengono tassati, non colpiti o puniti».
Tra Roma, Milano e Londra la storia dei Nattino si snoda nel libro-intervista come una docu-fiction appassionante, tra vicende finanziarie, politiche, imprenditoriali ai livelli più alti dell’economia nazionale. Con una clientela ben raccontata nella prefazione di Osvaldo De Paolini, che spazia dall’Iri all’Eni, dalle Ferrovie dello Stato alla Sme, dall’Agusta a Finmeccanica, all’Imi, a Mondadori, a Buitoni, a Pirelli, a Erg, a Gabetti, a Einaudi Editore, alla Snia Viscosa, al Consorzio del Porto di Genova, e avanti ancora a lungo fino all’Ilva, quando ciò che oggi è una realtà industriale tormentata rappresentava il principale gruppo europeo produttore di acciaio. Per non parlare del mondo delle banche, tutte indistintamente sempre presenti nelle grandi operazioni organizzate per la crescita del Paese. Come nel caso del Traforo del Monte Bianco realizzato dalla società Condotte e seguito, elmetto in testa, dall’allora poco più che ventenne Giampietro. Per non dire dei grandi nomi dell’imprenditoria che anche oggi, come i Del Vecchio o i Benetton, ricorrono ai loro servigi. Anche in Vaticano il nome Nattino è decisamente conosciuto: le frequentazioni in frac nelle "anticamere" di Papa Roncalli, Papa Montini, Papa Wojtyla e oggi Papa Francesco non si contano. Lo stesso Giampietro, "addetto di anticamera", è stato per molti anni membro della Prefettura Apostolica, un po’ la Corte dei Conti della Santa Sede, che ha competenze sui bilanci delle varie organizzazioni pontificie (non su quelli dello Ior).
RELAZIONI E AMICIZIE
Concludendo la sua cavalcata sulle ali della storia, Nattino va garbatamente contro corrente su un tema spinoso. «Negli ultimi tempi - osserva - si è molto demonizzato il cosiddetto capitalismo di relazione, che c’è in tutto il mondo e con tutti i regimi economici. In verità le relazioni aiutano a conoscersi. Non sostituiscono l’ingegno, la tenacia, l’istruzione, non servono se c’è incapacità. Ovviamente devono rimanere nell’ambito dell’onestà, della trasparenza, ma hanno un ruolo importante nell’economia». A leggere queste parole risuona l’eco della lezione di un grande storico olandese, Johan Huizinga, che sottolineava come nella storia degli uomini, dei popoli e delle Nazioni si tenda spesso a sottostimare un fattore decisivo: l’amicizia.