Avvenire, 19 aprile 2023
Su Leonardo Sinisgalli
In una foto scattata nel cortile del collegio de La Salle di Benevento, nel 1972, Leonardo Sinisgalli è ritratto mentre indugia a contemplare, da una linea bianca di marmo, il pavimento di pietre disposte in modo da formare cerchi, mentre si irradiano dal centro, che sembrano metterle in movimento. Sembra quasi un ritratto interiore dello scrittore lucano nato a Montemurro nel 1908 e morto a Roma nel 1981. Biagio Russo ha raccolto in due volumi che portano il titolo di Il labirinto di Leonardo Sinisgalli la biografia, la ricchissima bibliografia e una serie di scritti suddivisi per argomenti e amicizie, di e sullo scrittore, con un robusto corredo fotografico (FLS, volume 1 pagine 293, volume 2 pagine 313, euro 40). Anche grazie a una grafica accattivante, Russo consegue il duplice scopo di attrarre l’attenzione verso l’opera del poeta-ingegnere lucano, in un certo senso anche milanese e romano (ma le radici rimangono sempre lì, in val d’Agri), e d’altra parte offrire la possibilità di un approccio sistematico.
Firma l’introduzione lo scrittore Mimmo Sammartino, attuale presidente della Fondazione Sinisgalli (editrice del volume), che ha condotto un lavoro solerte e puntuale nella promozione della figura del poeta di Vidi le muse, del direttore di riviste di cultura germinate sul lavoro con la grande industria, dell’autore di tantissimi articoli e interventi, del regista di cortometraggi e docufilm pensati in modo mai banale per divulgare le scoperte della scienza anche facendo tesoro degli strumenti “matematici” del linguaggio poetico. Questo era per certi versi “il pallino” di Sinisgalli che nell’ottobre 1972, a Recanati espose le sue riflessioni sui Canti con numeri, tabelle e misurazioni per una lettura geometrica di Leopardi. Già in Vita silenziosa, di cui fu regista con la produzione di Marco Ferreri tra il ’50 e il ‘51, nel dar conto dell’esistenza degli oggetti di una soffitta a Bra, Sinisgalli aveva cercato di riprodurre in immagini la metrica della poesia: «Alternava, nelle riprese, sei metri e tre metri, tre metri e sei metri di pellicola», nel tentativo di creare un verso cinematografico.
A ragione Sammartino, nella presentazione, scrive di una «vocazione poliedrica e funambolica», di frutti di “uno spirito eclettico” capace «di mettere le proprie conoscenze e l’ispirazione visionaria a disposizione dell’universo dell’industria e della pubblicità». Senza di lui la Giulietta dell’Alfa Romeo non si chiamerebbe così. Russo individua anche piste ulteriori di approfondimento. Possiamo evidenziarne in particolare una: la grande influenza che ha esercitato su di lui e su parte della sua opera il figlio adottivo Filippo Borra, cresciuto con lui fin da bambino e che manifestò progressivamente una fragilità da Sinisgalli accarezzata e accompagnata con grande amore e fede. Nei due volumi confluiscono la passione di Russo e il supporto offerto da Sammartino e da altri che lo hanno aiutato: il direttore della Fondazione Luigi Beneduci, Carmen Colangelo, Maria Teresa Imbriani, Antonio Sanchirico con Veronica Pricoli e Caterina Venece. Particolare rilievo riveste un capitolo arricchito dalla documentazione fotografica, dedicato all’incontro con Rocco Scotellaro, del quale ricorre il centenario dalla nascita. C’era ammirazione in Scotellaro per Sinisgalli – il poeta di Tricarico ne conosceva i versi a memoria ma al tempo stesso una difficoltà a capirsi che, peraltro, è complementare a quella di Sinisgalli verso Carlo Levi; è figlia, forse, anche di una certa differenza d’età, di convinzioni diverse e di una diffidenza verso chi poteva apparire, allora, al poeta di Montemurro, già affermato, come un questuante. Ciò non impedirà a Sinisgalli di riconoscere anni dopo in Scotellaro grazia e innocenza e di volerlo «qui tra noi, più vivo che mai».