il Giornale, 19 aprile 2023
L’esplosivo articolo di Gadda ritrovato sotto la montagna
Quando c’è di mezzo Carlo Emilio Gadda bisogna sempre stare in guardia perché ci può scappare un inedito, una variante, uno scartafaccio o un garbuglio. Prendete quel che è accaduto ad Antonio Castronuovo, che di cose dell’Ingegnere è curioso e goloso assai. Un giorno lo chiama una studiosa e gli sottopone la scansione elettronica di un libro più unico che raro del 1935: Sinfonia del marmo, curato da Adolfo Angeli e pubblicato dall’editore carrarese Eugenio Bassani. E allora? E allora qui viene il bello, perché in questo libretto a sua volta andato perduto saltano fuori due scritti di Gadda: Assalto con mine alla montagna e Carrara. Del secondo qualcosa si sapeva, ma del primo s’ignorava tutto, a tal punto che nelle raccolte delle «pagine sparse» dell’autore del Pasticciaccio uscite presso Garzanti nel 1991, Saggi Giornali Favole e altri scritti, e con Adelphi nel 2019, Divagazioni e garbuglio, dell’articolo di Gadda non v’è alcuna straccia. Come se fosse saltato in aria e sepolto sotto i cumuli di marmo e polvere di cui racconta non senza partecipazione e stupore proprio lo scrittore. Così, oggi, la pubblicazione del volumetto Assalto con mine alla montagna (De Piante, pagg. 28, euro 30; tiratura: 300 copie numerate con sovraccoperta d’artista di Chiara Dynys) è una vera primizia che recupera uno scritto di Gadda direttamente dalla bocca del leone del Tempo dov’era finito. Dunque, con Gadda, proprio come nella vita, mai dire mai. L’articolo – perché di un articolo si tratta: Gadda lo scrisse l’11 agosto 1934 e fu pubblicato sul quotidiano milanese L’Ambrosiano in prima pagina il 13 agosto – forse non era tenuto in gran conto dallo stesso Gadda (come sottolinea lo stesso Antonio Castronuovo nella sua elegante Postfazione). Ciò potrebbe spiegare perché dell’articolo si erano perse le tracce ma, molto gaddaniamente, potrebbe anche non spiegare un bel nulla ed essere soltanto un’ipotesi campata in aria. Sta di fatto che il pezzo, redatto in occasione dell’esplosione di una mina di dieci quintali nella pancia dell’anfiteatro di marmo di Ravaccione, è godibilissimo ancor oggi a quasi un secolo di distanza dal grande botto. L’inviato Gadda, che era lì sul luogo, attacca così: «L’aggressione del monte si opera oggi in gran parte con mezzi meccanici, e precisamente con il filo d’acciaio elicoidale, che consente di ricavarne grandi massi squadrati a parallelepipedo, e rende minimo lo sciupio e il detrito». Chi è che parla qui, l’ingegnere o lo scrittore? E già, perché nel leggere la grande prosa di Carlo Emilio Gadda, con tutto ciò che comporta con la lingua, le lingue, gli idiomi, le contaminazioni e le invenzioni, pur non bisogna mai dimenticare che lo scrittore era un ingegnere e la sua ingegneria s’incontra con l’ingegno, ossia con il gusto letterario e vi si rispecchia o, meglio ancora, vi si tuffa come in uno specchio d’acqua. In particolare, in questo breve scritto giornalistico risaltano da un lato l’esigenza della descrizione precisa, praticamente tecnica, e dall’altro il compito della buona informazione che sfocia in modo naturale nella bella letteratura. Basta vedere la cura che Gadda mette nella scelta scrupolosa delle parole: «cavatura», «lizzatura», «varata», «tecchia». Ma anche il ricorso ad espressioni che vogliono quasi chiedere scusa alla montagna e rendere la potenza dell’operazione – «polpa viva del monte», «uno scrigno impaurito il suo temibile tesoro» – ci restituiscono il laboratorio linguistico di Gadda nel suo farsi e assemblarsi passo dopo passo, vocabolo dopo vocabolo. Lo scrittore, prestato al giornalismo, si sofferma anche sulla fatica materiale degli operai e sulla pericolosità del trasporto dell’esplosivo nella caverna montana: «È facilmente immaginabile l’ansietà dei proprietari e dei lavoratori che avevano dovuto recare a spalla, fin lassù, il materiale tutto: e in particolare i venti quintali di esplosivo». Non manca, come sempre nel caso di Gadda, un riferimento alle donne che qui chiude lo scritto con grazia e non senza ironia: il trenino per «fumosi e nerissimi tunnel» riconduce a Carrara «i duri uomini, qualche giornalista, le bianche signore». Ci piace immaginare che sia stato proprio quello stesso trenino della Società Marmifera, uscito dal tunnel della storia, a portare fino a noi l’articolo perduto e ritrovato di Carlo Emilio Gadda, come il più classico degli gnommeri.