la Repubblica, 19 aprile 2023
Ecco perché alle imprese servono gli stranieri
ROMA – È possibile davvero fare a meno dei lavoratori stranieri, puntare tutto sulla ripresa della natalità e sull’occupazione autoctona, al 100% italiana e possibilmente trainata dalla componente femminile, come dicono la premier Meloni e il ministro Lollobrigida? In un Paese dove solo la metà delle donne lavora, ultimi in Europa, e in media fa 1,24 figli a testa, dove la popolazione invecchia pericolosamente, la cultura del lavoro cambia e i giovani hanno aspirazioni e modelli diversi dal passato, gli esperti e le categorie produttive dicono che no, non è possibile. Gli stranieri servono. E come sostiene anche Bankitalia in un recente studio sul Pnrr, servono qualificati. Non solo bassa manovalanza.
«Quando si affrontano questi temi non si tiene conto di una cosa fondamentale», ragiona la statistica Linda Laura Sabbadini. «La permanente bassa fecondità che ha caratterizzato l’Italia ha portato a una forte riduzione del numero delle donne in età riproduttiva. Due terzi del calo dal 2008 a oggiè spiegato da questo. E quindi, anche se ci fosse una ripresa delle nascite, ci vorrebbero decenni perché possa tradursi in crescita numerica delle persone in età lavorativa in grado di garantire il pagamento delle pensioni a una popolazione che invecchia. Il nato all’anno zero diventerà venticinquenne a distanza di 25 anni. Questo vuol dire che dobbiamo adottare politiche perché il numero desiderato di figli diventi reale, oggi è 2 contro 1,24, ma dobbiamo essere coscienti che non basta».
Il tema delle pensioni e quello dell’occupazione sono intrecciati. In Italia un lavoratore su quattro è introvabile, uno dei mismatch più alti nei Paesi avanzati. La base demografica ristretta – nascono meno figli – non è la sola ragione, ma chiaramente è quella che preoccupa di più anche in chiave di sostenibilità del sistemaprevidenziale italiano. «Se oggi ci sono circa 1,4 lavoratori per ogni pensionato, questo rapporto scenderà a 1,3 nel 2029 e a 1 nel 2050», osserva Roberto Ghiselli, presidente del Civ, il Comitato di vigilanza che certifica il bilancio dell’Inps. «Il rapporto minimo per garantire l’equilibrio finanziario dovrebbe essere di 1,5. È un fatto matematico, perché in media unlavoratore paga il 33% di contributi per 40 anni e sta in pensione per 15. Ma il sistema è a ripartizione: chi lavora oggi finanzia le pensioni di oggi. Se consideriamo che stanno per andare in pensione i babyboomers, la generazione degli anni ‘60, ci rendiamo conto del rischio di squilibrio che ci attende: all’epoca nascevano 1 milione di bambini all’anno, chi finanzierà i loro assegni fa parte di una coorte da 500 mila nati all’anno, la metà. E oggi siamo sotto i 400 mila nati. I numeri non mentono: abbiamo per forza bisogno di integrare la forza lavoro con gli stranieri. Non basta mettere a lavorare le donne o far uscire dal nero 3 milioni di lavoratori sommersi».
Anche Sabbadini è d’accordo su questo punto: «Serve integrareun numero di migranti più alto perché questo avrebbe effetto immediato di aumento di popolazione in età lavorativa, non come l’aumento delle nascite. Inoltre donne e migranti non sono così facilmente intercambiabili sul mercato del lavoro. Vogliamo far fare alle donne i muratori o i manovali e farle lavorare nei cantieri edili o nei lavori di fatica in agricoltura? E allora adottiamo politiche per l’occupazione femminile, investendo in infrastrutture sociali compresa sanità, assistenza, nidi. Ma io tutto ciò non lo vedo».
Anche Patrizia De Luise, presidente di Confesercenti, auspica politiche più incisive per le donne. «Specie le autonome, le partite Iva, le piccole e medie imprenditrici. Le donne hanno bisogno di un sostegno che ancora non si vede: più servizi, più assistenza, più tutele. La necessità poi dei lavoratori stranieri è oramai conclamata. Solo per l’estate noi cerchiamo 50 mila addetti. Grazie al turismo i servizi si sono ben ripresi dopo la pandemia. Ma adesso fatichiamo a trovare lavoratori. I giovani preferiscono non lavorare la sera, nei festivi, nei fine settimana. È cambiata la mentalità. E basta guardarsi in giro: i nostri bar e ristoranti sono già pieni di addetti stranieri. La contrapposizione con il “prima gli italiani” è sterile. C’è bisogno di entrambi e di percorsi di formazione professionalizzante per tutti, già nei Paesi di origine per i migranti». Il decreto flussi del governo Meloni è andato oltre ogni aspettativa: 240 mila richieste per 82.705 posti. Esercenti e imprese ne chiedono un secondo. Coldiretti lamenta 100 mila posti da coprire. Confcommercio ieri parlava di un fabbisogno da 560 mila per quest’anno, di cui il 40% introvabili. «Non si risolvono i problemi con la contrapposizione, ma garantendo a tutti diritti e pari opportunità», aggiunge De Luise.