Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2023  aprile 19 Mercoledì calendario

Contro le reti ammiraglie

Non so se ce la faremo, temo di no. Non so se ce la faremo a uscire dal clima di sfiducia che, da alcuni anni e per cause diverse, sta contagiando il Paese: da una scorsa ai programmi televisivi direi proprio di no. Non ho mai usato le trasmissioni come grimaldelli sociologici, perché non lo sono. Ironicamente si può dire che il Festival di Sanremo, o qualcosa del genere, è lo specchio del Paese ma la cosa poi finisce lì.
Da un po’ di tempo, però, è come se le reti ammiraglie avessero terminato la loro carica propulsiva, fossero esauste, procedessero per forza d’inerzia.
È appena terminata una delle più mortificanti edizioni del Grande Fratello ed ecco partire L’isola dei famosi (stesso discorso lo si potrebbe fare per Il cantante mascherato), con i concorrenti pronti a qualsiasi umiliazione pur di avere un po’ di visibilità, con una conduttrice, Ilary Blasi, che sa solo urlare e sorridere, con personaggi storditi dalla loro catastrofe professionale, incapaci di pensare o di agire, disorientati o soli come se la loro condizione esistenziale fosse un rimpianto senza fine (sono quasi tutti ex qualcosa).
Questi programmi deprimono perché sono deprimenti: non perché siano brutti (tanto prima o poi c’è sempre qualcuno pronto a rivalutarli o a stilare giudizi falsati da deficit interpretativo), non perché ci sia poca professionalità, ma semplicemente e tristemente perché sono sconfortanti e grevi. Ormai molta tv è sconfortante (che differenza c’è tra i Jalisse e Alessandro Orsini, tra i due di Radio 105 e Mauro Corona?). Che tristezza vedere qualcuno (maschile sovraesteso) che per diventare «personaggio» accantona sé stesso per consumarsi nell’insulsaggine televisiva.
È questo che preoccupa: come fa un Paese a reagire, a sferzare il proprio pallore se si rispecchia in simili programmi? In passato, la tv commerciale aveva una carica barbarica che conferiva energia sufficiente per amarla o detestarla: ma era viva, era provocante. La forza si è trasformata in caciara (vero Ilary?), l’assenza di talento mette in scena solo fiacchezza e sbadigli. Non so se ce la faremo, temo di no.