Il Messaggero, 19 aprile 2023
Intervista a Vinicio Capossela
«La produzione musicale di oggi? È orientata dal mercato. È evidente da quello che si ascolta in certe manifestazioni, a partire dal Festival di Sanremo», dice Vinicio Capossela. Dal circuito nazionalpopolare, non è una novità, il 57enne cantautore di origini irpine si tiene intenzionalmente fuori: in tre decenni di attività ha vinto più Targhe Tenco (quattro) che Dischi di platino (tre, quelli per gli album Ovunque proteggi e Marinai, profeti e balene e per il singolo Che coss’è l’amor, improbabile tormentone che Aldo, Giovanni e Giacomo inserirono nel ’97 nel film cult Tre uomini e una gamba), riuscendo a costruirsi un pubblico di fedelissimi che lo seguono in tutte le sue bizzarre avventure. Da dischi scritti in rebetiko, un tipo di musica popolare greca, a lavori ispirati a componimenti letterari dei trovatori. In Tredici canzoni urgenti, il nuovo album in uscita venerdì, Capossela rivendica la sua diversità, tirando in ballo nelle canzoni addirittura Ariosto, Brecht e Goethe. Lo presenterà domani sera al Conservatorio di Milano con molti dei musicisti che hanno partecipato alle registrazioni: da Mara Redeghieri a Margherita Vicario, passando per Sir Oliver Skardy (a Roma sarà il 27 aprile alla Feltrinelli di via Appia, poi seguiranno una serie di "concerti urgenti").
"Il mondo cade a pezzi / il gas sale alle stelle ma tu sei il mio bene rifugio", canta nella prima canzone: è diventato romantico?
«Che male c’è a cantare l’amore? È l’unico bene rifugio che abbiamo da opporre a un mondo in cui il valore delle cose si stabilisce per criteri di economia e utilità».
Il suo bene rifugio qual è?
«Questo disco, per esempio. È musicalmente polimorfo: spazia dalla folìa cinquecentesca al reggae anni 90. Ci sono ballate, jive e anche un cha cha cha. È un lavoro fuori dal mercato dei valori. Le canzoni sono nate tutte insieme, all’inizio del 2022, generate da un sentimento di urgenza».
Rispetto a cosa?
«Al momento storico. Parlo di violenza di genere, di cultura usata come mezzo di separazione sociale e anche della guerra, ne La crociata dei bambini. Un campionario di mali che non riusciamo più a vedere e a capire, schiacciati dall’incessante berciare della società dello spettacolo, che è sempre più la società dell’algoritmo».
Quella che critica in "All you can eat"?
«Anche. In quel brano critico i nuovi modelli di consumo».
Del panorama discografico attuale cosa gliene pare?
«Non conosco le ultime uscite».
Fa lo snob?
«No. Ci sono cose alle quali mi capita di avvicinarmi».
Ad esempio?
«Young Signorino. Mi ha affascinato a tal punto di voler fare un pezzo con lui tre anni fa, La peste».
Qual è lo stato di salute del cantautorato?
«Non saprei. Tra i nuovi non mi viene in mente nessuno».
Madame?
«Chi?».
Ha vinto due Targhe Tenco.
«Ma non dovevamo parlare del mio nuovo disco?».
Lo stiamo facendo: è lei ad aver scritto un pezzo in cui parla di sistemi e di produzioni in serie.
«Stimo Margherita Vicario, che ho con me ne La cattiva educazione. La canzone d’autore non è morta con i cantautori degli Anni ’70: si è evoluta».
E lei che fa?
«Continuo a fare il mio, con un disco che ha un forte sentire civile, tra un omaggio alle donne partigiane in Staffette in bicicletta e una critica alla sinistra, ne La parte del torto».
In "Ariosto governatore" racconta di quando il poeta ricoprì il ruolo di governatore della Garfagnana: a lei hanno mai proposto di candidarsi?
«No, per fortuna. Credo non ci sia una sciagura maggiore che ricoprire ruoli di potere. Ci sono molti modi di essere politici: io lo sono scrivendo e cantando».