la Repubblica, 18 aprile 2023
Intervista a Pasquale Tridico
«Senza i migranti tra 20 anni i conti Inps saranno critici. Cambiare la legge Fornero peggiorerebbe ancora il quadro delle pensioni. L’Europa ci dice che nessuno può stare sotto un certo livello di reddito. Il salario minimo, come in larga parte della Ue, è indispensabile e non è alternativo ai contratti collettivi». Il presidente dell’Inps Pasquale Tridico in visita a La Stampa affronta tutti i temi socio-economici di stretta attualità: dal reddito di cittadinanza, agli immigrati, fino alla questione salari.Presidente, l’Istat la scorsa settimana ha certificato per il 2022 il minimo storico delle nascite in Italia: 392.598 Qual è l’impatto sui conti pubblici e sulle pensioni?«È un numero molto pericoloso per la sostenibilità delle pensioni. Troppo esiguo per garantire in prospettiva il sistema a ripartizione».Partiamo dai numeri.«Con meno 400 mila nuovi nati fra circa 20 anni avremo 230 mila diplomati e 70 mila laureati. Secondo le attuali condizioni, in 150 mila avranno un lavoro».Troppo pochi per mantenere i pensionati?«Oggi abbiamo 16,5 milioni di pensionati. In prospettiva, con questa demografia, avremo più o meno lo stesso numero di persone che vanno in pensione e che entrano nel mercato del lavoro. Quindi un rapporto di uno a uno. Troppo esiguo».Quale sarebbe il rapporto più sicuro per i conti dell’Inps?«Diciamo un rapporto di un pensionato ogni lavoratore e mezzo attivo».Con questo andamento demografico tra quanti anni il sistema della previdenza non reggerà più?«Se nulla cambia, avremo tra dieci anni un rapporto di 1,3, e dopo il 2040 arriviamo alla soglia dell’uno a uno, un numero che definirei davvero critico».Su La Stampa abbiamo raccontato la tesi del premio nobel americano Paul Krugman: sono i migranti che stanno salvando i conti pubblici degli Stati Uniti. Anche il Def del governo Meloni, che sull’immigrazione dice di volere mettere un freno, sostiene la stessa tesi.«Citerei anche l’altro premio Nobel David Card. Le economie ricche hanno tutti molti migranti. Anche noi abbiamo l’esigenza di coprire la domanda di lavori medio bassi da Nord a Sud con gli stranieri. La soluzione non può che essere l’accesso di un’immigrazione regolare e fluida».Per fluido cosa intende?«Un andamento che deve rispettare il flusso di esigenze della domanda di lavoro delle aziende. La fluidità deve garantire l’incontro con l’offerta. E se l’offerta nazionale non ci riesce, come sta avvenendo, è inevitabile che quel gap debba essere ricoperto attraverso i migranti stranieri. Inoltre è importante che il flusso sia costante. Krugman segnala come negli Stati Uniti gli immigrati siano stati la leva più dinamica nel contributo alla crescita dell’economia. In Italia, con la pandemia, questo flusso si è interrotto e oggi le imprese se ne rendono conto».Costi e ricavi: qual è l’attuale saldo per le casse Inps con i lavoratori stranieri?«Il saldo è decisamente positivo. Chi arriva in Italia in larga maggioranza è giovane e quindi non accede a strumenti di sostegno al reddito o a prestazioni pensionistiche. Laddove lavora in chiaro e non in nero, aspetto essenziale, contribuisce in modo positivo al welfare italiano».Quanto sottrae il lavoro nero?«C’è uno zoccolo duro di oltre 3 milioni di lavoratori irregolari e oltre cento miliardi di evasione fiscale e contributiva. Se riuscissimo a farli emergere per incanto, il famoso rapporto lavoratori-pensionati salirebbe a 1,6. E potremmo dire di stare se non benissimo sicuramente bene. Negli ultimi anni comunque il quadro è migliorato, grazie a controlli, digitalizzazione e interventi, i numeri dei lavoratori a nero sono diminuiti».Allora chi sostiene che il reddito di cittadinanza avrebbe aumentato il lavoro nero sostiene il falso?«I numeri dicono il contrario. Non è aumentato anzi si è ridotto. E l’occupazione in generale è aumentata».Gli imprenditori lamentano la carenza di manodopera specializzata, sempre per restare a Krugman e al sistema americano: bisogna aumentare gli stipendi?«In questi anni ho respinto la tesi di chi sostiene che non si trovano lavoratori perché pigri o a causa dei sussidi. Al contrario in Italia c’è una questione di bassi salari. Non è vero che il costo del lavoro in Italia non è competitivo. Lo dicono le statistiche: siamo a un livello più basso rispetto alla media dell’Europa avanzata e ben al di sotto rispetto ai nostri maggiori competitor, Francia e Germania. I giovani lo hanno capito e per questo si assiste soprattutto dal Sud a una forte emigrazione verso il Nord e l’estero. I giovani hanno voglia di lavorare ma se ne vanno perché qui si guadagna poco: abbiamo almeno 4 milioni e mezzo di lavoratori sotto i mille euro al mese».In questi anni non sono mancati gli sgravi per chi assume. Perché allora la disoccupazione resta così alta?«Perché non ci sono investimenti adeguati. L’occupazione non aumenta con la flessibilità. Con la flessibilità aumenta solo la precarietà. Per troppo tempo abbiamo creduto nella panacea della flessibilità e alla fine ci siamo trovati con lo stesso livello di occupazione degli anni novanta: circa 23 milioni di lavoratori. Il sistema americano funziona non perché è flessibile ma perché ci sono molti investimenti e perché i salari sono più elevati stimolando l’offerta».Favorevole al salario minimo?«Assolutamente».Sulla misura non frenano solo le imprese e i partiti di centro e di destra ma anche i sindacati che temono il depotenziamento della contrattazione collettiva e quindi di una fetta del loro potere.«La contrattazione collettiva ci vuole e non va in conflitto con il salario minimo. La Ue ci dice che ci sono due vie per far crescere i salari: una è attraverso la contrattazione collettiva, che però deve essere efficiente».E in Italia lo è?«Abbiamo mille tipologie di contratti. Ne basterebbero 50. Alcuni sono scaduti da sette-otto anni e molti sono davvero poco rappresentativi. Serve una legge sulla rappresentanza per fare pulizia. Dall’altra dobbiamo capire che alcuni salari sono indegni, come ha sentenziato il tribunale del Lavoro di Milano sul caso di una donna che riceveva 3,9 euro lordi all’ora. Se questo non avviene, allora serve una salario minimo per legge. Dove è stato inserito, in 21 Paesi della Ue su 27, la contrattazione continua essere molto forte. Vale per tutti l’esempio della Germania».Reddito di cittadinanza. Il governo vuole il giro di vite. Per ora ci sono solo bozze di riforma, già ben lontane dalla cancellazione promessa in campagna elettorale.«In attesa della presentazione di un decreto ufficiale in Parlamento si può dire questo: bisognerebbe stare alla raccomandazione Ue del settembre 2022. Ovvero: tutti coloro, senza eccezioni, che stanno a di sotto di una certa soglia devono avere un reddito minimo. Anche la Ue divide la platea tra chi è occupabile e chi no. Sui primi si deve fare il massimo sforzo attraverso le politiche attive, i centri per l’impiego pubblici e le agenzie private».E per gli stranieri? È previsto un periodo di residenza minimo di dieci anni.«L’Europa lo ha ritenuto illegittimo, aprendo un procedimento di infrazione contro l’Italia. La Ue sostiene che il periodo corretto sia di non più di 5 anni. Qualsiasi governo ne deve tenere conto. Anche altri Paesi sono stati condannati in questo senso. È un sentiero obbligato».Lei è stato uno dei grandi sostenitori del reddito di cittadinanza. Faccia autocritica: dove non ha funzionato?«Non ha funzionato “quello che sta intorno” al reddito: i centri per l’impiego, i progetti di inclusione attraverso i Comuni, le politiche attive e la formazione. E poi c’è stata la pandemia. Nei due anni di Covid c’è stata solo la necessità di contrastare la povertà, di salvare il lavoro più che di crearlo».Pensioni. Il governo aveva annunciato la fine della riforma Fornero. Non ci sono i soldi.«Bisogna che sia chiara una cosa: con il nostro andamento demografico riscrivere la riforma Fornero peggiorerebbe ancora il quadro. Quindi non credo ci siano le condizioni per abolire o cambiare a fondo la riforma».Quota 101, 102, 103. Quale è sostenibile?«Le quote non sono la soluzione. Le quote irrigidiscono ancora di più il sistema e appesantiscono i conti. Se vogliamo trovare soluzioni non alternative ma parallele, dobbiamo pensare all’Ape sociale, all’anticipazione per i lavori gravosi e usuranti».Oggi da Torino ha iniziato il suo tour per il piano di assunzioni di nuove giovani leve all’Inps. In questi anni, anche noi a La Stampa, abbiamo registrato molte proteste per un servizio con forti ritardi. Cosa cambia?«Negli ultimi anni Inps è cresciuta molto nella digitalizzazione dei servizi, negli investimenti in tecnologia e nello smart working diffuso. Un grande sforzo che ha portato la spesa informatica da 250 milioni a 500 milioni. Ora abbiamo assunto 4.124 giovani, nativi digitali, 5mila entro l’anno. Porteranno una maggiore produttività e una riduzione dei tempi nell’erogazione dei servizi ai cittadini». —