la Repubblica, 18 aprile 2023
L’agonia dei progetti Pnrr
ROMA – «Guardi, ho scritto diverse lettere a enti e ministeri chiedendo semplicemente: ma le gare di appalto per le nostre infrastrutture a che punto sono? Ad oggi non mi ha risposto nessuno. Penso purtroppo che questi soldi non verranno spesi». Giosy Romano, commissario delle aree industriali di Campania e Calabria, allarga le braccia. Queste due aree, insieme a tutte quelle delle regioni del Sud, sono state inserite nelle Zone economiche speciali (Zes) per accelerare le procedure burocratiche e agevolare nuovi insediamenti: ma restano poco attrattive per le imprese, anche perché in gran parte sono semi abbandonate, con pochi servizi e senza collegamenti con porti e ferrovie. Ma il Piano nazionale di ripresa e resilienza, che come missione ha quella di ridurre i divari territoriali nel Paese, doveva essere adesso la manna dal cielo: 630 milioni di euro per realizzare una serie di infrastrutture. C’è anche un elenco dettagliato di opere previste: strade, linee ferroviarie, stazioni, terminal merci e banchine. Un elenco di carta. A oggi non è stato speso un euro mentre l’Europa ha fissatol’avvio dei lavori al 31 dicembre, pena il rischio di uno stop definitivo ai finanziamenti. Al momento le gare avviate per aggiudicare gli appalti si contano sulle dita di una mano e ormai quasi certamente la metà della torta, ben 329 milioni che dovevano servire per grandi opere «di interesse nazionale», resteranno nei cassetti.
Ma perché questo spreco di risorse che servono come l’acqua nel deserto nel Mezzogiorno? Perché restano al palo finanziamenti vitali per portare nuove aziende nelle regioni meridionali e un minimo di occupazione nelle aree tra le più povere d’Europa? Dove si è inceppata la macchina? Da queste domande inizia un viaggio nel grande spreco dei fondi del Pnrr per le aree industriali del Sud. Un viaggio che parte già male, con schede e cifre errate nel documento consegnato a Bruxelles, ma che prosegue anche peggio tra divisioni di competenze tra enti che non si parlano, gare di appalto avviate con iter farraginosi e nessun monitoraggio su quello che sta accadendo.
Le schede sbagliate
Il primo obiettivo da rispettare per ottenere la tranche di finanziamenti dalla Commissione europea è quello di arrivare al 31 dicembre 2023 con i cantieri avviati e al 2026 con i lavori consegnati «per almeno 22 interventi per il collegamento dell’”ultimo miglio”, volto a realizzare efficaci collegamenti tra le aree industriali e la rete ferroviaria; almeno altri 15 interventi di digitalizzazione della logistica e lavori di efficientamento energetico e ambientale; almeno altri 4 interventi per il potenziamento della resilienza e della sicurezza dell’infrastruttura connessa all’accesso ai porti», si legge nel Pnrr.
In questo elenco c’è di tutto: tra le altre cose, la nuova banchina e il collegamento alla rete ferroviaria al Porto di Gioia Tauro, il nuovo terminal dello scalo merci nell’area industriale di Valle Ufita in Campania, la nuova stazione metropolitana al porto di Salerno. E, ancora, la strada di collegamento tra lo scalo merci e la statale al porto di Cagliari, oppure il recupero di un bacino del porto di Manfredonia e le nuove banchine e le aree logistiche al porto di Termini Imerese, a due passi dall’area industriale dove era insediata la ex Fiat. Si tratta di interventi in gran parte inseriti nel cosiddetto allegato 1 che da solo vale 329 milioni di euro e raggruppa le «infrastrutture di interesse nazionale». Questo elenco però non è di competenza diretta dei commissari Zes, che hanno poteri specialiper accelerare le procedure di gara. Ma è stato diviso tra diversi enti: autorità portuali, Anas ed Rete ferroviaria italiana. In questo elenco nessuna gara di appalto per avviare i lavori è stata aggiudicata. Il motivo? Innanzitutto i commissari si sono trovati in gran parte davanti non dei progetti avviati, come era previsto inizialmente nel Pnrr, ma «delle semplici schede dove non c’era molto altro», dice il commissario della Zona economica speciale Adriatica in Puglia, Manlio Guadagnolo. In altri casi, come in Campania e Calabria, alcune schede avevano importi sbagliati: i grandi enti, non avendo coperture certe per completare le opere, non vogliono quindi avventurarsi in garedi appalto con il rischio di dover poi reperire altri fondi. Ma c’è di più: commissari ed enti appaltanti non riescono spesso a parlarsi tra di loro. Il commissario della Campania e della Calabria ha scritto ad Anas e Rfi senza avere alcuna risposta: e parliamo di interventi solo per la Zes campana pari a 36 milioni di euro e per quella della Calabria la cifra delle opere in capo ai gradi enti arriva a 111 milioni.
E poi c’è il caso paradossale della Sardegna. Qui per ritardi burocratici, a partire dai sei mesi trascorsi per bollinare il decreto di nomina, il commissario Aldo Cadau si è insediato quando il Pnrr era già stato mandato a Bruxelles: «Quindi non ho nemmeno un euro da gestire ela Sardegna è fuori dai grandi interventi», dice sconsolato. Nel frattempo attende la realizzazione almeno di una strada dal costo di 10 milioni che però è in capo all’autorità portuale.La denuncia della Corte conti
Insomma del primo elenco dedicato ai grandi interventi per le aree industriali del Sud quasi nessun appalto è stato messo a gara, ad eccezione di alcune opere al porto di Termini Imerese dove si sta realizzando il terminal per i container: qui mancano però i capannoni e l’edificio che dovrebbe ospitare la nautica da diporto. Queste opere sono ferme in attesa del via libera alla variante del piano regolatore che compete al ministero dell’Ambiente. La richiesta è stata inviata due mesi fa, ma la commissione Via-Vas non ha ancora risposto: «Se il ministero non dovesse risponderci entro trenta giorni l’avvio dei lavori slitterà a fine febbraio», dice Pasqualino Monti, presidente dell’Autorità portuale.
Va un po’ meglio per il secondo elenco d’interventi, da 300 milioni, in capo ai commissari. Le gare avviate per la progettazione ed esecuzione dei lavori sono comunque pochissime: sei per quella Ionica (su 22) e una aggiudicata, una in corso di aggiudicazione e due in fase di pubblicazione nell’aria industriali di Napoli. Per il resto è quasi tutto fermo. Non a caso i magistrati della Corte dei conti scrivono parole chiare lanciando l’allarme sugli interventi Pnrr dedicati alle Zes: «Allo stato delle cose il numero degli interventi per i quali si è pervenuti all’aggiudicazione dei lavori è molto esiguo. Per la gran parte di quelli previsti ci si trova ancora in fasi preliminari alla stessa indizione della gara. Addirittura per i progetti relativi alle Zes Calabria e Sardegna non risultano avanzamenti rispetto al primo semestre del 2022. L’obiettivo fissato nel Pnrrper la fine dell’anno in corso risulta arduo. È necessaria una forte accelerazione all’intero processo». Il problema vero, però, è che nessuno sta monitorando quanto accade. E così le aree industriali del Sud restano in gran parte terreni incolti.
Le aree deserte
Molti commissari lamentano l’assenza di un’interlocuzione con l’Agenzia per la Coesione che ha sede a Palazzo Chigi. È qui la cabina di regia delle Zes. Ma i contatti sono sporadici e così ogni commissario deve arrangiarsi come può. Ne sa qualcosa Carlo Amenta, a capo della Zona economica speciale della Sicilia occidentale. Quando nel gennaio del 2021 è arrivato alla guida della Zes si è ritrovato da solo in una stanza a Palermo, senza neppure un collaboratore. C’è voluto un anno e mezzo, fino a giugno dell’anno scorso, per attivare lo Sportello unico a cui si rivolgono le imprese per chiedere le agevolazioni fiscali e finanziarie previste. Ma da quando la sua Zona economica speciale è stata istituita, nel 2019, le autorizzazioni concesse sono state appena sei. Eppure i benefici non mancano: dai crediti d’imposta speciali alle autorizzazioni in tempi veloci. L’appeal però è scarso perché, a esempio, in Sicilia non tutte le imprese possono affacciarsi allo sportello del commissario. La Regione, infatti, ha tenuto per sé una lunga lista di codici Ateco (quelli che identificano le attività), restringendo così l’accesso diretto alle Zes.
Le imprese del commercio, le più diffuse nel Mezzogiorno, devono così seguire la procedura ordinaria mettendosi in fila in Regione per un ulteriore passaggio burocratico. Nel frattempo il tempo scorre e le aree del Sud restano sempre le stesse: deserte nel deserto che avanza.