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 2023  aprile 18 Martedì calendario

Intervista a Bugo

Perché ce l’hanno con lei?
«Che ne so? Negli ultimi due anni c’è una specie di bullismo nei miei confronti. Quando si parla di me c’è sempre una parola in più che non è bella, è detta per deridermi sottilmente».
L’hanno danneggiata?
«La mia immagine lo è stata. I fan mi adorano. Poi ci sono quelli a cui non piaccio anche se divento papa e una fascia grigia che non sa come sono e crede a tutto quello che viene scritto o detto su di me. Mi preoccupo per chi mi sta accanto. Fossi solo io, chissenefrega, ho una moglie meravigliosa e due figli fantastici. E non sono mai stato abituato alla pacca sulla spalla, alla carezzina, mi hanno sempre criticato, esagerando. Ma quando sei accerchiato vuol dire che stai facendo la cosa giusta».
Cristian Bugatti, in arte Bugo, è un cantautore originale e curioso con i suoi testi fra alienazione urbana e autobiografia. Nato a Rho (compirà 50 anni il 2 agosto) e cresciuto a Cerano, in provincia di Novara, papà commerciante in metalli, mamma casalinga, la sua vita è un concentrato di passione ed eccentricità. I suoi fan lo amano senza riserve e lui prepara un 2023 all’attacco con un nuovo album («È pronto, siamo carichi»), un tour, un film-concerto e una biografia. I detrattori gli lanciano strali. Ai quali lui reagisce in maniera impietosa: «Non attacco ma sono bravissimo a difendermi, avevo gli hater quando ancora non si chiamavano così». Qualche settimana fa ha postato sui social un video in cui risponde alle provocazioni di Morgan che, al Festival di Sanremo 2020, invece di duettare con lui, lo attaccò cambiando le parole della canzone Sincero (scritta da Bugo). «L’altro anno non mi andava di rispondere alle tue str..., c’era la pandemia, la gente moriva ma a te che ti frega... – ha commentato Cristian – non sei un cantautore, non lo sei mai stato. Hai detto che ti ho bullizzato: tu eri mio ospite perché io ti ho invitato. Ti rendi conto quanto sei ridicolo?».
È arrabbiato?
«Sono scocciato. Non si può cambiare il testo di una canzone. Prova a farlo a Vita Spericolata di Vasco Rossi o alla Donna Cannone di Francesco De Gregori. Siccome sul palco dell’Ariston ci stavo io, che non ero famoso ma lo sono diventato per questa storia, è stato facile prendersela con me. È stato un gioco vigliacco. E poi immagini i miei amici, la mia famiglia, mia moglie, mio figlio che mi stavano guardando... a nessuno farebbe piacere trovarsi in una situazione così».
Ha abbandonato la scena senza fare un fiato durante il fuori programma di Morgan.
«Ero su un palco della Rai, in mondovisione, davanti a milioni di persone, ci vuole rispetto per quel palco e la musica. Ho preferito andar via piuttosto che appoggiare quella pagliacciata. Per Amadeus il mio è stato il gesto più rock’n’roll della musica italiana, sarà vero ma per me contava la canzone. In tv non devo fare il damerino e il trash mi irrita profondamente. Il circo lo lascio ai buffoni. Non gioco con la musica. I miei eroi sono Lennon, Vasco, Celentano, Battisti che, per quanto dirompenti, sono seri».
Con Morgan vi siete mai risentiti?
«No. Quando arrivi a quell’estremo ogni chiarimento è superfluo. Non è sempre possibile perdonare».
Al Festival è andato due volte.
«Ma è come se non ci fossi mai stato. Nel 2020 mi hanno squalificato, nel 2021 c’era il Covid, cantavo davanti alle telecamere, senza pubblico. Ci tornerei? Perché no?».
Ha un’anima punk?
«Preferisco dire rock’n’roll. È vero, faccio a modo mio, però lavoro con le multinazionali dal 2002. Non mi isolo dal mondo: voglio che la mia musica arrivi alla gente. Mi piace far discutere, uscire dall’anonimato. Non c’è bisogno che mi presenti con la cresta e il chiodo, sono unico con i miei difetti».
Quali?
«Nasco autodidatta, non ho una voce alla Claudio Villa, non sono un bravissimo chitarrista e non mi interessa esserlo. Io sono l’ideatore, guido il treno».
Umanamente?
«Lo chieda a mia moglie... forse appaio distaccato, non sento gli amici per anni ma se mi chiamano faccio i salti mortali per aiutarli. Sono uno calmo, però se mi arrabbio esplodo».
È sempre stato determinato.
«A 23 anni sono andato a lavorare in fonderia. Volevo raccogliere soldi, trasferirmi a Milano e provare a sfondare. La sera e nei weekend mi dedicavo alla musica. Non esistevano vacanze, ragazze, amici. Ero abituato a quei posti sporchi, difficili, duri: mi ci mandò mio padre, per due estati, quando avevo 15 anni».
Cosa aveva combinato?
«Bigiavo il liceo. Mi hanno bocciato due volte, una con sette in condotta. Il preside mi disse: “In un mese e mezzo hai stabilito il record di assenze da quando esiste questa scuola”. Avevo esagerato, fu l’unica volta che vidi papà arrabbiato».
Da Cerano a Milano: un tragitto faticoso.
«Un giorno vado in fabbrica e non riesco a parlare, balbetto. “C... ho un problema”. Ho mollato tutto e dalla provincia mi sono trasferito nella metropoli. Una liberazione».
Durante i concerti ne combinava delle belle...
«Nei Duemila la mia voglia di stupire era più grande di tutto. Esageravo per reazione, non sopportavo gli artistoidi italiani degli anni Novanta, mi sembravano snob e retorici. I miei live erano provocatori, un’ora di sberle in faccia».
Lei che cucinava sul palco è una leggenda?
«Pasta al burro è il titolo di una mia canzone. Una sera, mentre suonavamo, una ragazza ha preparato gli spaghetti e li ha serviti. Io non avrei potuto, ai fornelli sono un disastro».
Quelle provocazioni sono durate poco.
«Fino al 2003, perché quando sfondi una barriera devi cambiare, altrimenti sfiori il ridicolo, rischi di trasformarti in una macchietta. Ricordo che all’ultimo concerto, a Milano,invitai gli amici che avevano suonato con me durante il tour, ognuno doveva rompere uno strumento. A fine serata il palco sembrava un rottamaio, erano stati lanciati pezzi fra il pubblico, un paio di persone si erano fatte male. Nessun ferito però e la gente non si lamentò, era una festa».
L’accusarono di buttare soldi, gli strumenti costano.
«Lo vada a dire a dire a Kurt Cobain che spaccava le chitarre o a Jimi Hendrix che le bruciava. In quei momenti non pensi al denaro: se non ti piace non farlo».
Hanno detto che al concertone del Primo Maggio indossava una maglietta pro Russia.
«Ridicolo. C’era un unico tweet ripreso con titoloni dai giornali e sul web. Avevo una t-shirt degli Oasis, con la bandiera Uk, piccolina, che ha i colori di quella russa».
Ammira Vasco Rossi.
«Avevo 17 anni quando con un mio amico di Cerano e Cristian Dondi siamo stati al concerto di Vasco a San Siro. Non lo dimenticherò mai. Nel 2015 sono anche andato in pellegrinaggio a Zocca, davanti a casa sua, dove per terra ci sono le scritte dei fan. C’è la mia firma: Bugo, Bollicine. Ho due padri: uno biologico, il mio papà, e uno artistico, Vasco. Esagero, ma sono un figlio di Vasco. Nel 2020 il suo fan club mi ha chiamato per partecipare al raduno come ospite. Ho preferito rimanere fra il pubblico. Mi hanno pure fatto cantare Anima fragile».
L’ha incontrato?
«A fine giornata. Vasco è come un amico del bar. È il vero artista che non si sente maestro. “Io sono con te” è la prima cosa che mi ha detto, riferendosi a Sanremo».
Almeno al Festival del 2020 incrociò Ronaldo.
«Stava con Georgina, alloggiavamo nello stesso albergo e attraverso il suo staff sono riuscito a farmi dare una sua maglietta firmata».
Un bel colpo per lei, malato di Juve.
«Papà e nonno sono juventini, io a sette anni guardavo le partite e piangevo quando i bianconeri perdevano. Era la squadra che vinse i Mondiali dell’82 con Rossi, Tardelli e Cabrini, giocatori che ti fanno appassionare a uno sport e ti segnano umanamente».
Cabrini le ha scritto su Instagram.
«Non ci siamo mai incontrati ma gli ho mandato tre dei miei dischi e la maglietta “Io mi Bugo”. Ho anche conosciuto la moglie di Paolo Rossi in tv. Un’emozione enorme, mi ha chiamato lei perché quando è morto Pablito gli ho dedicato il mio album. A Pechino Express stavo spesso con Ciro Ferrara e il suo meraviglioso figlio Giovi. La società mi invita alle partite, agli allenamenti alla Continassa. Ho portato allo stadio mio figlio Tito che ha sei anni e gioca nella Juventus Academy a Bruxelles, dove vivo con la mia famiglia, Zeno è ancora piccolino».
È pure stato in squadra con Allegri.
«A una Partita del cuore con la Nazionale cantanti, all’Allianz Stadium di Torino. In campo c’erano Andrea Agnelli, John Elkann. A un certo punto, davanti a me, Pirlo faceva il triangolo con Nedved, mi fa impressione solo a dirlo».
È sposato da 11 anni con Elisabetta.
«È una diplomatica, da 12 viviamo all’estero. La amo, rispetto lei e il suo lavoro. Porto un po’ di verve nel suo mondo, ma sono una persona dignitosa, non ho mai fatto una gaffe. Il galateo deve essere dettato dal buonsenso. Se inviti un ambasciatore a cena non ti metti in jeans come un pirla, non stai a una serata fra amici».
È grazie a lei che ha iniziato a dipingere.
«Sì, quando mi sono trasferito in India per seguirla nel suo lavoro. Ho preso una pausa dalla musica per dedicarmi all’arte. Ho avuto recensioni stellari e il critico Francesco Bonami mi ha chiesto di tornare a esporre».
Sono soddisfazioni.
«A San Giuliano Milanese c’è un mio autoritratto del 2013, di 7 metri per 5. Si vede dalla tangenziale... a parte che è sempre meglio guardare la strada. Lo avrei voluto rosso ma distrae dalla guida. L’ho dipinto di grigio. Ma per ora rimango un cantautore, a settant’anni... chissà».