il Fatto Quotidiano, 17 aprile 2023
L’Inno dei lavoratori
“Su fratelli, su compagne,/ su, venite in fitta schiera:/ sulla libera bandiera/ splende il sol dell’avvenir”. Così comincia il Can to o Inno dei Lavoratori, musicato dal maestro Amintore Galli e scritto dal leader socialista Filippo Turati. Fu eseguito per la prima volta a Milano il 27 marzo del 1886 nel salone del Consolato operaio in via Campo Lodigiano dalla Corale Donizetti. Emblema di più di un secolo di lotte delle lavoratrici e dei lavoratori, colonna sonora di tante feste del Primo Maggio, centotrent ’anni fa venne dichiarato fuorilegge dalle autorità di polizia e ministeriali. In una nota del ministero dell’Interno, risalente al 28 dicembre 1893 e inviata al prefetto di Bologna, venivano richiamati infatti gli ordini di sequestro dell’Inno emessi “dalle autorità giudiziarie di Parma, Catania e Milano”,e si confermava che “è fuor di ogni dubbio che lo stampato dell’Inno dei Lavoratori debba sempre sequestrarsi”. Il canto “di quell’i n no”, si aggiungeva, pertanto “debba ritenersi sovversivo e non solo non possa permettersi in pubblico, ma costituisca reato ai sensi degli articoli 246 e 247 del codice penale; per lo che si possa procedere in flagranza all’arresto dei colpevoli”. Centotrent ’anni dopo quei fatti, in prossimità del Primo Maggio 2023 e visti i tempi grami che corrono, è doveroso rammentare il sequestro del canto di Galli e di Turati. Tra i pochi a ricordarsene, se non il solo, è stato un narratore che ha continuato in questi anni tristi a parlare di vite proletarie, di sfruttati e sfruttatori, di ideali: si tratta di Maurizio Maggiani. Lo ha fatto in un bel romanzo recente, L’eterna gioventù(Feltrinelli), che è un’epo – pea poetica, colma di nostalgie lancinanti, del “sol dell’avvenir.” Scrittore lontano anni luce dalle mode e dai modi di oggi, dai salotti delle televisioni dove furoreggia la barbarie e si autocelebrano i servi, Maggiani racconta in solitudine operosa storie di rivolta sociale, di “legami di libertà”, di utopie libertarie e socialiste. Soprattutto è l’unico a ricucire nelle sue opere il filo rosso che lega le imprese dei garibaldini, dei mazziniani, degli anarchici, la nascita del movimento operaio, le repressioni sanguinose nell’Italia regia (i Fasci siciliani, l’insurrezione di Carrara e della Lunigiana nel 1894, le cannonate di Bava Beccaris nel 1898), con le battaglie del Novecento. Annoda nel filo rosso le ribellioni contro il militarismo e la guerra, l’occupazione delle fabbriche, gli arditi del popolo di Sarzana e di Parma contro i fascisti, la Resistenza, il luglio 1960, il 1968 e l’Autunno caldo degli operai. Maggiani ci restituisce un’Italia, per ora di ieri e dell’altro ieri, che sembrerebbe un’anti – caglia da baule dei nonni, o, perlomeno, così vorrebbero seppellirla per sempre. Era l’It a l i a del Primo Maggio, di festa e di lotta. Un’It a l i a di popolo, che si è battuta in un secolo e mezzo per ciò che l’Inno di Galli e Turati riassumeva nei suoi versi magari non eccelsi dal punto di vista letterario, come ammise lo stesso Turati, ma indubbiamente veri ed efficaci: “Il riscatto del lavoro/ dei suoi figli opra sarà:/ o vivremo del lavoro/ o pugnando si morrà”. Quell’It a l i a che sognava e magari sogna ancora il “sol dell’avvenir”.
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