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 2023  aprile 17 Lunedì calendario

Olindo Romano e Rosa Bazzi, le prove che il pg non può smontare


MILANO – L’errore giudiziario e la condanna degli innocenti esistono. Tuttavia, è molto difficile trovarli nella rilettura della strage di Erba. Il sostituto procuratore generale di Milano Cuno Tarfusser, si sa, ha chiesto di riaprire il caso. Ma, a differenza di quello che scrive a pagina 15 della sua richiesta di revisione, non è per niente «pacifico che sono tre, solo tre, le prove che inchiodano (rectius inchioderebbero) i coniugi Romano/Bazzi». Cioè, accanto alle loro confessioni (prima prova), alla macchia di sangue di una delle vittime sull’auto della coppia (seconda), e al riconoscimento ad opera dell’unico superstite (terza, e già bastano; rectius, basterebbero), c’è dell’altro; ma Tarfusser lo ignora.
Ci sono sia i sopralluoghi sulla scena del crimine sia la corrispondenza tra le dichiarazioni dei due coniugi ergastolani e i numerosi riscontri oggettivi. E proveremo a elencarne qualcuno.
Erba, 11 dicembre del 2006. È il primo giorno di gelo. La strage avviene nel cortile di via Diaz 25, un’ex cascina ristrutturata. Ci abitano una ventina di famiglie. I vigili del fuoco arrivano alle 20.29. Alle 20.49 viene avvisata la polizia: nel domare l’incendio che si era sviluppato nella casa di Raffaella Castagna, moglie del piccolo gangster Azouz Marzouk, è emerso l’orrore. Quattro morti. La strage è avvenuta tra le 20 e le 20.20.
I detective provano a ragionare. Da dove sono scappati gli assassini? C’è sangue ovunque sulle scale e sulle maniglie delle porte, ma nel cortile niente. Pulito. Una fuga dal terrazzo? Niente sangue nemmeno là. E quindi?
Torniamo sul luogo delle morti incrociate. Sulle scale c’è un uomo, è ancora vivo, è Mario Frigerio, con la gola tagliata. Una malformazione l’ha però salvato. Non lontano, c’è la dentiera di sua moglie, Valeria Cherubini. Significa che è stata colpita sulle scale, un colpo al viso, poi un killer mancino l’ha inseguita, le ha inferto coltellate lungo la schiena. Valeria ha poi ricevuto vari fendenti al capo, è corsa sino a casa sua, al piano superiore, finché ha perso il respiro. Per sempre. Perché aggredirli? È evidente, sono «danni collaterali»: erano sulle scale con il cagnolino (morto asfissiato dal fumo) quando si sono imbattuti negli assassini che uscivano dall’appartamento, dopo aver ucciso tutti e appiccato il fuoco.
Nell’appartamento, tre corpi: Raffaella Castagna, sua madre Paola e il piccolo Youssef di due anni. All’inizio viene ricercato il marito di Raffaella che è in viaggio in Africa. Si tenta di sapere se ci fosse qualche “ruggine” e in effetti, sì: le vittime avrebbero dovuto incontrarsi davanti al giudice di pace con la coppia Olindo Romano e Rosa Bazzi, che protestavano da tempo per la maleducazione dei rumorosi vicini. Dove sono quei due allora?
Nonostante il palazzo sia pieno di luci blu, sirene, pompieri e militari, gli sposi, più volte cercati dai carabinieri, aprono la porta di casa, pianoterra, scala B, solo alle 2,30 di notte. Non chiedono che cosa siasuccesso. Lei mostra, senza che nessuno glielo chieda, lo scontrino di una pizzeria dove ha cenato con Olindo.
La lavatrice – siamo in piena notte – è in funzione. E lei ha una ferita a un dito e piccoli lividi sul dorso della mano sinistra e all’avambraccio. La morte del bimbo di due anni è stata esattamente causata da colpi «inferti con la mano sinistra (…) essendo stata impegnata la destra dell’aggressore ad afferrare il braccio per immobilizzare il piccolo con la faccia sulla seduta del divano». C’è stata «una minima azione di difesa operata dal piccolo, prima di essere colpito a morte sul divano del soggiorno»: Rosa è mancina.
È questo lo scenario, non considerato dal magistrato Tarfusser, sul quale s’inseriscono le tre prove regine, e cioè la macchia di sangue, il riconoscimento di Olindo da parte del superstite e le confessioni. Che, anche se ritrattate, sono basilari, visto che Olindo e Rosa offrono molte altre “coincidenze”. Vediamole.
Come sono entrati Olindo e Rosa, armati di spranga e coltello, nella casa della famiglia che odiavano? Hanno staccato il contatore della luce, in modo che qualcuno scendesse al piano terra per riattivarlo. Sono loro che lo dicono. Nessuno lo sapeva prima. I carabinieri controllano. Il contatore risulta staccato.
Secondo dettaglio. Mentre Rosa sgozzava il bambino, Olindo sprangava mamma e figlia: sono morte subito? No. Le hanno finite, spiegano i due, soffocandole con i cuscini. E i cuscini sono in effetti accanto ai corpi.
Terza coincidenza, l’incendio è stato appiccato con dei libri. I riscontri dei vigili del fuoco confermano. Se Olindo e Rosa, definiti i mostri della porta accanto, smentiscono le loro confessioni, restano i fatti concreti, il perfetto mosaico diprove coincidenti, le sentenze passate in giudicato.
Oggi, gli avvocati Fabio Sghembri e Paolo Sevesi assicurano di avere due nuovi testimoni e rileggere un processo si può, anzi si deve: se c’è un ragionevole dubbio. E se il dubbio fosse irragionevole?
Infine, una questione da libri di giurisprudenza: il procuratore generale di Milano si chiama Federica Nanni e non Cuno Tarfusser, che è un sostituto. Solo la prima (che anni fa aveva ottenuto la revisione per un’ingiusta condanna, quella di Daniele Barillà, che sembrava un boss e aveva avuto la sfortuna di essere nel posto sbagliato al momento sbagliato) può chiedere a Brescia la revisione del processo. Per adesso, tutto è fermo. Proprio come si fermò, quell’11 dicembre 2006, il cuore di quattro vittime.