Corriere della Sera, 17 aprile 2023
Intervista a Marcel Jacobs
Ha vinto l’Olimpiade e adesso l’obiettivo è «diventare l’erede di Bolt ed entrare nei libri di storia». Marcell Jacobs si confessa: «Vorrei unire sport e moda e arrivare in pista griffato».Marcell Jacobs, doppio oro olimpico a Tokyo, quando debutterà all’aperto?
«Non abbiamo ancora messo in calendario la prima gara, ma non sarà prima della fine di maggio o primi di giugno».
Cosa le ha detto che già non sapesse la sconfitta con Ceccarelli all’Europeo indoor?
«Tutte le cose che succedono, positive o negative, sono un insegnamento. Colgo questa sconfitta, una sconfitta tra virgolette perché è pur sempre un argento per l’Italia, come uno sprone: ci sono sempre cose che non vanno come vorresti. Stiamo lavorando sodo per arrivare pronti all’obiettivo: il Mondiale».
Come si gestiscono le fragilità di uno sprinter?
«Noi sprinter non ci reputiamo atleti fragili, lavoriamo ogni giorno in palestra e in pista portando il corpo al limite. È normale che si crei qualche complicanza, è lo sport».
Correrà la staffetta?
«Certo. Sicuramente in Coppa Europa e ai Mondiali. A fine mese avremo un secondo raduno, poi spetterà al tecnico della Nazionale, in base alla programmazione che faremo con lui, decidere dove sarà più opportuno gareggiare. A Parigi correrei volentieri la 4x100 se lo consentissero i tempi, visto che dovrei anche correre i 100. Vogliamo tutti la stessa cosa: vincere ancora per l’Italia».
La stagione indoor le ha dato sensazioni miste.
«Venivo da tanti mesi senza gare, dovevo sciogliere le tensioni emotive. Iniziare vincendo, a Lodz, fa sempre bene. Se corro come so, sui 60 dovrei stare sotto i 6”50 fisso. Però in allenamento tante cose si vedono, altre no: emergono in gara. Nei test erano usciti tempi che nemmeno prima dell’oro Mondiale indoor di Belgrado avevo fatto. Ma la preparazione è finalizzata sui 100 di Budapest».
172 giorni senza gare, in effetti, sono tanti. Troppi?
«Mi è mancata l’adrenalina, il mettermi in gioco. La gara è la verifica del lavoro. A me piace tutto il pacchetto: riunire il team, il viaggio, entrare nel mood. Quest’anno voglio scatenarmi in Diamond League. Ballano Rabat e il Golden Gala: se debutto in Marocco, faccio tutte e due».
È stato innovatore anche nel raduno autofinanziato, a Dubai, ospite del principe.
«Mi ha invitato nel suo centro sportivo, mi ha detto: questa è casa tua. Ci siamo trovati bene, avevamo tutto. Siamo sempre stati attenti a non pesare troppo sulle spese della Federazione: quest’anno abbiamo cercato di non pesare per niente».
Obiezione: non è stato troppo solo per un mese? Non le è mancato il confronto, che poi si è riflesso nelle indoor?
«Mah, anche a Tenerife mi allenavo prevalentemente da solo. Venivo da un momento in cui volevo allontanarmi da tutto: attenzioni, stress, selfie. A Dubai sono entrato in una bolla, ho pensato solo ad allenarmi. È arrivato Faggin, campione junior dello sprint, e ho sfidato Alberto, il mio fisio, che prova a starmi dietro».
Tra indoor e outdoor, è ripartito il mondo. E le provocazioni degli americani.
«Ci vedremo in pista. Lyles sui 60 mi ha impressionato: si vede quanto ha lavorato. E occhio a Micah Williams, un classe 2001».
Lyles sui 100 è una buona notizia?
«Anche l’anno di Tokyo voleva doppiare, poi non ci è riuscito. Sui 200 è a un livello per cui non ha tanti rivali ma sui 100 cambia tutto: c’è molta più competizione. La sua idea di arrivare doppiando ai Trials, che per lui sono come un’Olimpiade, è molto impegnativa. Idem ai Mondiali. Tre turni sui 100, tre sui 200: li regge? Vuole provare a prendere due medaglie o una, ma d’oro? Non è proprio una passeggiata di salute...».
Intanto Lyles è arbitro elegantiarum: a Boston è arrivato vestito Prada.
«L’ho visto, non mi sfugge niente! Quella era un’idea che avrei voluto lanciare io: presentarmi firmato, anziché in tuta, alla gara. Come in Nba, quando scendono dal pullman per andare negli spogliatoi: sono tutti stilosi, con anelli, orecchini, marchi in vista. Entrare nello stadio sfilando come fosse un evento di moda è una cosa che mi piacerebbe tantissimo».
È stato preceduto, però.
«Bisogna creare la struttura: alla Diamond arrivi direttamente al campo di riscaldamento, non c’è un tunnel in cui passare. Mettere insieme atletica e moda, creare un po’ di hype intorno all’evento, mi farebbe impazzire».
Gli americani studiano tutti i suoi video, Marcell.
«Infatti non ho più pubblicato su Instagram le partenze buone! Non voglio che vivisezionino i miei appoggi! Posto solo video delle partenze peggiori, a costo di sentirmi dire: Marcell, una volta uscivi meglio dai blocchi… Ma essere social mi piace, i tifosi vogliono partecipare, il messaggio che mi faccio il mazzo e che bisogna inseguire i propri sogni deve passare».
Il team ormai è a gestione famigliare.
«A un certo punto dovevo prendere delle decisioni, ho riflettuto: chi meglio di mia madre che mi vuole bene disinteressatamente può aiutarmi? Mio fratello Niccolò, 20 anni, segue i miei social insieme al nostro amico Simone, cresciuto con noi a Desenzano. Mi sento a mio agio, so che lavorano per il mio bene».
Il 2022 è stato complicato. Cosa c’è da non ripetere?
«Tutta la mia carriera è costellata di infortuni e problematiche. Le lezioni le ho sempre imparate, ma contro l’imprevisto non si può niente. Il 2022 è stato perfetto fino all’oro iridato indoor con record europeo. Stavo da Dio: ero arrivato a fare un personale sui 120 di quasi mezzo secondo. Poi il virus in Kenya mi ha rallentato. Ho avuto troppa fretta di tornare, con un Mondiale e un Europeo, dove ho vinto l’oro, a ruota. Ho imparato a non avere fretta, ecco».
Il cambio scarpe: lo scopo è limare millesimi?
«L’adattamento non è stato immediato: il cambiamento del materiale tecnico non è mai facile. Il progetto di Puma è lavorare su un nuovo Bolt. Ho creato un’Academy a Desenzano, che inaugurerò la settimana prossima: vorrei provare ad aiutare i giovani».
L’eredità di Bolt, però, è un macigno schiacciante.
«Magari qualcuno si può sentire intimidito, io mi esalto. La vedo come un’opportunità: provare a collegare la mia storia personale con la leggenda di uno sprinter che per me è un idolo assoluto. Pari suo sarà difficile: vinceva tre ori a Olimpiade! Io i 200 ai Giochi non li farò mai».
Quel 9”58 che paralizza gli altri, quindi, non è una montagna impossibile da scalare?
«È un tempo fuori dal mondo però se penso che nel 2020 correvo in 10”11 e l’anno dopo ho vinto l’oro olimpico con 9”80 mi dico: perché pormi limiti? Aggiungendo 3 cm a passo e mantenendo le stesse frequenze per tot passi, arriverei al traguardo 90 cm prima. Stiamo parlando di 3 cm, non di un’eternità. E poi a me 9”56 mi perseguita…».
Cioè?
«Non sono scaramantico ma sulla sveglia, al mattino, vedo sempre 9.56. Vesto i bambini, che Nicole porta a scuola. Poi magari mi rimetto a letto, chiudo gli occhi, li riapro: 9.56. Giuro. Anche stamattina. Non è casuale!».
Nulla lo è. Come vorrebbe essere ricordato tra 100 anni?
«Come uno di quegli sportivi che ha riscritto la storia e viene raccontato nei libri. Hai presente LeBron James?».