la Repubblica, 16 aprile 2023
Com’è nato Toro scatenato
New York New York era stato un disastro al botteghino, e nonostante la Palma d’Oro per Taxi driver, i dirigenti degli studios rifiutavano di rispondere alle telefonate di Martin Scorsese, che cadde in uno stato di depressione aggravato dall’uso di stupefacenti. Decise di abbandonare la regia per dedicarsi soltanto all’insegnamento ma quando rischiò di morire per un’overdose Robert De Niro accorse al suo capezzale e gli disse che proprio nel cinema avrebbe dovuto trovare la forza per risorgere. “È inconcepibile che un artista con il tuo talento smetta di dirigere”, aggiunse, e gli regalò la biografia di Jake LaMotta, spiegandogli che era un film perfetto per le sue corde.
Scorsese non amava la boxe, ma rimase colpito dalla storia di quel pugile italoamericano che si rifiutava di andare al tappeto anche quando veniva massacrato da atleti più forti come Ray Sugar Robinson. Ancora convalescente, immaginò la scena in cui LaMotta, con il volto deformato e coperto dal sangue, urla al rivale “non mi hai buttato giù, Sugar!”, accorgendosi che il libro parlava di quello che stava vivendo in quel momento e aveva uno spunto straordinario: Jake LaMotta sapeva solo far male a chiunque gli fosse intorno, e questo lo rendeva un campione sul ring ma trasformava la sua vita quotidiana in una tragedia. Entusiasta, Scorsese si buttò anima e corpo nel progetto continuando a combattere la dipendenza dalle droghe, mentre il produttore Irvin Winkler riuscì a convincere la United Artists a finanziare il film. Il libro, scritto malamente, venne reinventato da Paul Schrader, che trasformò in coprotagonista il fratello Joey, interpretato splendidamente da Joe Pesci, e creò alcune scene memorabili, come quella in cui LaMotta, in prigione per aver fatto sesso con una minorenne, colpisce il muro della cella fino a ferirsi le mani e urla “non sono un animale”. Scorsese non faticò molto per convincere De Niro a ingrassare trenta chili per le ultime scene del film, l’attore sapeva che avrebbe reso immortale quell’interpretazione. Studiò con lui la frustrazione di LaMotta, costretto a perdere un incontro perché un mafioso aveva scommesso sul rivale, e gli chiese di leggere nel finale un brano da Fronte del portoin omaggio a Elia Kazan, mentore di entrambi, al quale in seguito dedicherà un bellissimo documentario.
A cominciare dal bianco e nero di Michael Chapman e dal montaggio di Thelma Schoonmaker, non c’è elemento di questo film che non raggiunga l’eccellenza, ma Toro scatenato è prima di ogni altra cosa un’opera di assoluto magistero registico. Basterebbe pensare a come Scorsese immortala il dramma di La-Motta già nei titoli di testa, nei quali il pugile si riscalda sul ring avvoltonell’accappatoio con il sottofondo dell’Intermezzo della Cavalleria rusticana di Mascagni: sferra pugni nel vuoto sapendo che è a proprio agio soltanto in quel luogo in cui la violenza viene celebrata. Intorno a lui il mondo è indefinito e ostile, e i flash dei fotografi esplodono minacciosi: con un tocco di genio Scorsese sostituisce il rumore delle macchine fotografiche con quello di colpi di pistola. Non è l’unica soluzione folgorante di questa opera d’arte nella quale il regista costringe lo spettatore a sposare il punto di vista di un uomo bestiale e violento, che finisce per distruggere gli affetti più cari e poi se stesso. Formidabile l’uso dei super8 per raccontare i rari momenti di serenità familiare: sono le uniche scene girate a colori, e Scorsese ha graffiato personalmente la pellicola per ottenere un effetto di invecchiamento. O il modo in cui utilizza la steadycam all’interno del ring, trasformando la macchina da presa in un terzo atleta, brutale come gli sfidanti.
Per questo grande artista che non ha paura di mostrare gli spasmi della verità, la violenza è un tormento che va di pari passo con la riflessione sulla misteriosa esistenza del male, e quello che La Motta ha dentro di sé esplode in modo incontenibile: contro lo sfidante Tony Janiro, sfigurato perché la moglie lo aveva definito attraente, e persino contro il fratello, che non riuscirà mai più a perdonarlo. Il modo in cui Joey ne rifiuta l’abbraccio è uno dei momenti più struggenti che Scorsese abbia mai girato, come il finale nel quale il campione, irriconoscibile nel fisico, sfrutta pateticamente il minimo di popolarità rimasta in locali di second’ordine.
Non è un caso che Toro scatenatocompaia perennemente nella lista dei film più belli di tutti i tempi, dimostrando come da un rozzo materiale letterario si possa realizzare un capolavoro del cinema, ed è sintomatico che sia il film preferito di molti scrittori puri a cominciare da Philip Roth. Si deve anche a Toro scatenato se Scorsese si sia riuscito a liberare dalla dipendenza dalle droghe, ma la citazione finale dal Vangelo di San Giovanni – “Se sia un peccatore, non lo so; una cosa so: prima ero cieco e ora ci vedo” – anticipa l’anelito a una vera e proprio redenzione spirituale. È un tema che in questo capolavoro rimane sottotraccia, ma diventerà esplicito nei film straordinari che continua tuttora a realizzare.