Domenicale, 16 aprile 2023
Se Falstaff si droga
Quando un teatro mette in scena Falstaff guadagna punti qualificanti, perché l’ultima opera di Verdi è la più complessa e delicata, la più inzuppata di forme e di poesia. I meriti raddoppiano quando il titolo debutta – incredibile, mai allestito in 130 anni, netti – come è successo nei giorni scorsi all’Opéra di Nizza. Sala storica, mille posti, atmosfera vecchiotta sabauda, ma impatto con il pubblico graffiante: nei manifesti in giro per la città, Falstaff ti guarda come un canuto boss al volante di una decappottabile, anelli, orologio, catena al collo d’oro. Per portare in Costa Azzurra questa prima assoluta (repliche nel vicino nuovissimo Théâtre Anthea di Antibes) ci è voluto il braccio saldo e ritmicamente impeccabile di Daniele Callegari, milanese, qui direttore principale, uno dei tanti italiani richiesti come guida stabile all’estero.
Non una smagliatura nella sua concertazione, agile e spedita, con le parti contrappuntistiche risolte con naturalezza e una bella tinta notturna, novecentesca, ricreata nel terzo atto, tra armonie lasciate sospese. Verdi per Callegari è un compositore che guarda avanti (già nel Rigoletto elettrico dell’anno scorso alla Fenice), spogliato della retorica e delle rotondità del melodramma: si perde qualche effetto emotivo, si guadagna in compattezza, qui in particolare sinfonica. Trascinante per le voci, che finalmente non si siedono sull’orchestra, ma ne vengono continuamente pungolate.
Sorpresa nella sorpresa, nell’ultima delle quattro date nel ruolo del “pancione” figurano in due: il titolare Roberto de Candia mima tutta la parte, con gran movimento di labbra e gestualità, passi di danza compresi in «Quando ero paggio», mentre a cantare ben illuminato e in quinta, a sinistra, ideale per il contatto con il direttore, è il meraviglioso Nicola Alaimo, il Falstaff più melodico e cantante di oggi, timbro ricchissimo e quella dizione che solo a Palermo si possiede. Lo presta Montecarlo, dove da settimana prossima sarà il protagonista nel Barbiere con Cecilia Bartoli, nella produzione firmata dal tenore Villazon, coprodotta con Salzburg. Che frissons nella placida Riviera.
È il fuoriclasse Alaimo a trascinare la diligente compagnia di canto, dove il pubblico plaudente si diverte per le trovate dark della regia di Daniel Benoin, settantenne protagonista del teatro francese: il suo Sir John è un eroinomane di periferia, tra graffiti e prostitute; che sia a New York lo dicono i lunghi video tra un cambio di scena e l’altro, dove si vola fino al ricco cottage delle comari, scosciate tra sauna e sdraio. Tutto nel mondo è burla, d’accordo, ma non il finale senza quercia, sostituita da piante da salotto, e dove lui muore dopo l’ennesima pera.