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 2023  aprile 16 Domenica calendario

Un’illusione ottica che si chiama pittura

Il biologo e fisico Hermann von Helmholtz (1821-1894), noto per i lavori sulla fisiologia del tempo, che avevano inaugurato la neurobiologia moderna, era una delle figure centrali nell’attivissima e straordinariamente produttiva e interdisciplinare cultura berlinese dell’800, che aveva il focolaio nell’Università. Emergevano, fra le sue competenze, studi fisiologici (non estetici o storici) della musica e della pittura, e quindi era un rarissimo trait d’union tra arte e scienza, esperto in entrambi gli àmbiti della mente.
Un biografo l’ha definito «un genio scientifico». Quando, nel 1876, pubblicò Ottica e pittura utilizzando il materiale di tre conferenze tenute fra il 1871 e il 1873, scrisse che il libro avrebbe suscitato «un certo stupore» perché non si conoscevano di lui studi storico-artistici: tranquillizzava il lettore che non intendeva interferire con storici e critici d’arte. Egli era «pervenuto allo studio dell’arte per una via traversa e poco battuta, la fisiologia dei sensi».
Nello studio si trattavano le basi fisiologiche della percezione dell’opera pittorica. L’arte è diversa dalla scienza, ma contribuisce alla conoscenza «del complicato congegno della natura e della mente umana», che studia la natura con la scienza e la rappresenta con l’opera d’arte. Aveva tenuto diverse lezioni e conferenze sugli eventi fisiologici e psicologici della musica e nel 1863 aveva pubblicato Le cause fisiologiche dell’armonia musicale, più volte ristampato. Egli intendeva ora trattare la pittura con la fisiologia della visione, soprattutto con la visione binoculare e il funzionamento della retina. Sia per la musica che per la pittura von Helmholtz condivideva l’opinione che «la percezione si realizza tramite i sensi; le impressioni provenienti dall’esterno decorrono nei nostri nervi, modificandone così lo stato...[secondo] la natura e la proprietà delle nostre sensazioni».
Che ciò che vediamo diventi evento della coscienza è istintivamente considerato il trasferimento dell’immagine dal mondo dentro di noi. Non è così: oggi è conoscenza indiscussa che la percezione è l’elaborazione cerebrale della realtà. I colori non esistono nel mondo. Essi sono la reazione di particolari aree della corteccia cerebrale visiva alle diverse lunghezze delle onde elettromagnetiche della luce. Per il daltonico, in cui l’area corticale dei colori non è sviluppata, il mondo è una varietà di grigio.
Von Helmholtz sosteneva che «L’artista [il pittore] non può copiare la natura, deve tradurla, e la traduzione deve darci un’impressione chiara al massimo grado e penetrante non solo degli oggetti ritratti ma anche delle forza della luce». Studia come ciò sia possibile. Non solo i pittori, ma tutti noi “traduciamo” la natura nel momento in cui la percepiamo. «Il fine primario del pittore è provocare in noi con la tela colorata una vivida intuizione visiva degli oggetti che ha cercato di raffigurare. Dunque si tratta di un tipo di illusione ottica».
La pittura è una particolare, vivida e forte illusione ottica. A quel tempo la pittura era rappresentazione della realtà. L’arte astratta nacque nel 1895 dalla sinestesia audiovisiva provocata in Vasilij Kandinskij da una memorabile esecuzione del Lohengrin di Wagner al teatro Bolscioi di Mosca, durante la quale la forte emozione della musica era rafforzata dalla visione di macchie di vari colore e forme. «In un’opera d’arte – scrive von Helmholtz – le figure umane non potranno essere di uomini ordinari bensì dovranno essere sviluppate in modo espressivo, caratteristico e con delle belle forme». La sua non è una disamina estetica, ma un’indagine della spiegazione fisiologica di come ciò sia possibile. Difettano gli esempi: solo tre pittori, Rembrandt, il Beato Angelico e Veronese vengono ricordati di scorcio.
Von Helmholtz distingue quattro categorie artistiche della pittura. La forma è il genere e il grado della somiglianza con i limiti che la tecnica impongono all’artista. Il dilemma dominante, antico quanto la pittura, verte sulla possibilità di trasferire su una superficie a due dimensioni il mondo tridimensionale, con la prospettiva, il senso della profondità, della distanza, della differenza delle dimensioni degli oggetti situati a varie distanze. L’arte pittorica ha escogitato vari espedienti per ridurre l’incongruenza fra realtà e quadro. Von Helmholtz analizza e descrive diffusamente i meccanismi visivi, specie della retina, che rendono pittura e realtà congruenti.
Altra categoria artistica è data dalle ombre, enormemente diverse nella realtà e nella pittura che le rappresenta. La loro rappresentazione pittorica è infinitamente più impressionante della realtà. E qui gioca, secondo von Helmholtz, un ruolo rilevante la stanchezza cui gli occhi vanno incontro, quando sono a lungo esposti alla luce. Il pittore deve tenerne conto, e per questo l’ombreggiatura è una delle più difficili abilità del pittore. Si parla per esteso degli effetti diversi a seconda dell’intensità e della direzione della luce.
La terza categoria artistica è quella dei colori, che sono non un’imitazione della realtà, ma una traduzione, che ogni pittore realizza in modo suo unico. Compito dell’artista non è mai, anche nei quadri più realistici, l’imitazione della realtà, ma quella di trasferire l’impressione sensoriale dal mondo reale nella tela. Von Helmholtz descrive la comprensione fisiologica dei colori e come essi sono prodotti. In una lettera alla figlia Anna descrive l’affresco del Beato Angelico Incoronazione di Maria in cielo a San Marco a Firenze, in cui Maria e Gesù sono vestiti di un bianco intenso: una delicatezza e una purezza, dice von Helmholtz, mai viste prima.
Ultima categoria artistica è l’armonia dei colori. La realtà spesso annoia, appare confusa, dispersa, irritante, mentre il quadro della stessa realtà non annoia mai. La pittura porta insieme gli elementi e crea in chi la guarda un’impressione stabile. Il saggio di von Helmholtz è preceduto da un’ampia, utilissima introduzione di Carmelo Calì, professore associato di scienze cognitive all’Università di Palermo, tanto più benvenuta perché von Helmholtz e le sue straordinarie ricerche sono ben poco conosciute. Calì ha tradotto il testo tedesco come meglio non si potrebbe.