Corriere della Sera, 16 aprile 2023
Renzi e Calenda non se le mandano a dire
Una faida tra Matteo Renzi e Carlo Calenda che ormai procede senza esclusione di colpi. Tramontata l’ipotesi del partito unico, i veleni tra il leader di Italia viva e quello di Azione debordano. Ieri Calenda aveva cominciato con un ordine di scuderia per i suoi: tenere un rigido silenzio stampa, perché «non dobbiamo partecipare allo spettacolo indecoroso dei renziani». Ma poi è stato lui stesso a non riuscire a trattenersi.
Veleni sparsi senza fare nomi, ma mirati e precisi. Calenda, in sequenza su Twitter: «Nella vita professionale non ho mai ricevuto avvisi di garanzia, rinvii a giudizio, condanne pur avendo ruoli di responsabilità. Non ho accettato soldi a titolo personale da nessuno, tanto meno da dittatori e autocrati stranieri». Decisa la replica di Renzi: «In queste ore Carlo Calenda sta continuando ad attaccarmi sul piano personale, con le stesse critiche che da mesi usano i giustizialisti. Sono post e tweet tipici dei grillini, non dei liberal democratici». Rincara la dose Maria Elena Boschi: «Fino ad oggi nulla ci ha diviso politicamente, ma leggendo le dichiarazioni di Calenda che sono degne del peggior giustizialismo grillino direi che ci divide l’idea di giustizia. Mi spiace per chi in Azione ha creduto che Calenda fosse garantista. Leggere le sue parole sgradevoli nei confronti di Renzi e di tutta la nostra comunità politica lascia stupiti e dispiaciuti».
Anche Francesco Bonifazi, tesoriere di Italia viva, è sceso in campo a difendere Renzi: «È stato in Aula per più del 50% dei voti, Calenda meno della metà». Con una replica immediata del diretto interessato: «È una classifica fatta su 25 giorni di voti già superata. Quando non ero in Senato ero a fare iniziative sul territorio per Azione e Iv. Non ero a Miami con il genero di Trump o in Arabia a prendere soldi dall’assassino di Khashoggi».
Nella vita professio-nale non ho mai ricevu-to avvisi di garanzia o condanne pur avendo ruoli di responsabi-lità. Non ho accettato soldi a titolo personale da nessuno, tanto meno da dittatori e autocrati stranieri
Non c’è pace tra i due leader. In mezzo, alcuni pacieri. Mariastella Gelmini, vicesegretario di Azione: «L’interruzione del percorso del partito unico fa male a tutti, ma soprattutto alla politica, al Paese e a quei 2 milioni e mezzo di elettori che ci hanno dato fiducia appena sei mesi: a loro dobbiamo chiedere scusa». Dello stesso tenore le parole del senatore di Italia viva Ivan Scalfarotto: «Un progetto politico importante è stato fatto naufragare per ragioni procedurali, statutarie e organizzative, per me sbagliate. Noi con Azione sui contenuti siamo perfettamente d’accordo».
Difficile parlare di accordo, di fronte a rancori palesi. Renzi attacca: «Sono un mostro oggi? Allora lo ero anche sei mesi fa quando c’era bisogno del simbolo di Italia viva per presentare le liste. E anche quando ho sostenuto Calenda come leader del Terzo polo, come sindaco di Roma, come membro del Parlamento europeo. O quando l’ho nominato viceministro, ambasciatore, ministro». Le accuse piovute su di lui per la sua instabilità politica Calenda le respinge così: «Ho rotto con il Pd quando ha tradito la parola alleandosi con Renzi e i 5 Stelle. Ho rotto con Letta quando ha trasformato l’agenda Draghi in quella Bonelli, Fratoianni, Di Maio. Non sono caduto nella fregatura di Renzi e Boschi sul finto partito unico». Poi un tentativo di respingere un’accusa: «Gli ego o la litigiosità non c’entrano nulla». Inutile. Da fuori arriva la stoccata di Annamaria Bernardini De Pace, famosa avvocata divorzista:«Quello tra Renzi e Calenda era un divorzio annunciato, sono due narcisi».
Se sono un mostro lo ero anche quando ho sostenuto Calenda come leader del Terzo polo, sinda-co di Roma, membro del Parlamento europeo o quando l’ho nominato
vicemini-stro, am-basciatore, ministro