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 2023  aprile 16 Domenica calendario

Biografia di Eziolino Capuano raccontata da lui stesso

Confronto maschio. “Chieda, chieda, non temo nulla”.
Eziolino Capuano è il più celebre allenatore della Serie C, c’è chi lo definisce un piccolo Mourinho (non per l’altezza). Anni fa la sua fama ha travalicato il campo da gioco, quando un calciatore ha pubblicato un audio con le sue esternazioni dentro lo spogliatoio. Maschio, appunto. Tono duro, durissimo, termini in “rima”, metafore, accuse, polemiche, nessuna scusa, ma un Tapiro guadagnato (“mica è da tutti”). Da allora un solo rammarico: “La mia fama ha oscurato i meriti da allenatore”.
Quest’anno ha salvato il Taranto dalla retrocessione.
Soddisfatto.
Per certi versi è stata un’impresa: ho trovato una situazione che poi si è protratta per l’intera stagione, con il pubblico che non è mai venuto allo stadio; ma volevo Taranto e alla mia età la squadra la scelgo io.
È giovane.
Me lo posso permettere e non è presunzione; a Taranto c’ero stato 21 anni fa, un ragazzino, e mi ero ripromesso di tornare.
Com’era 21 anni fa?
Con l’età sono maturato; per me l’esperienza è tutto ciò che un essere umano riesce a tramutare da negativo in positivo. Il resto sono cazzate; 21 anni fa ero giovane, avevo già vinto molto, credevo di dover spaccare il mondo, quindi qualche errore l’ho fatto.
E…
Venni esonerato in maniera ignobile; (pausa) il valore mediatico che ho ricevuto, l’essere diventato un personaggio, da un lato mi ha reso pubblico, dall’altro mi ha penalizzato.
Cioè?
Ha piazzato in secondo piano le doti da allenatore.
Ha un caratterino…
È forte, esuberante, autoritario, autorevole.
Più autorevole o autoritario?
Chi ha il comando deve possedere le due fasi, poi è più bella l’autorevolezza, ma in certi momenti sei obbligato a diventare autoritario.
A 35 anni come era?
Maggiormente focoso. Però sono sempre io. Non ho mai barattato la mia dignità.
Ci hanno provato?
Con me è impossibile: il valore dell’uomo ha superato quello dell’allenatore.
Quante squadre ha girato?
Non le ricordo tutte.
Casa sua qual è?
Sono lucano, abito a Pesco Pagano, ma per 40 anni sono stato a Salerno.
È nato a Salerno.
La mia famiglia è lucana, poi mio padre, professore universitario, si è trasferito lì perché insegnava all’Orientale di Napoli.
Si è applicato sui libri?
Ho una discreta cultura, però da ragazzo lanciavo la borsa da calcio dal secondo piano, poi salutavo i miei, ‘vado a studiare’, e invece correvo al campo.
Suo padre cosa sognava?
Laureato come i miei fratelli: uno è diabetologo, tra i più importanti in Italia, l’altro è un dirigente.
Laureato in cosa?
Mi vedeva avvocato o giudice.
Per la salvezza ha ricevuto i complimenti di Allegri.
Mi conoscono tutti.
Bene.
Ho allenato pure in Serie A.
In Belgio.
Ho rapporti con gli allenatori della mia età.
Perché non è arrivato alla massima serie italiana?
Per il mio essere, il modo di pormi, di non accettare compromessi e non lo dico come forma di auto-celebrazione; a un presidente non fa piacere e neanche ai direttori. Ognuno deve restare nel proprio spazio.
Fuori dallo spogliatoio di Eziolino.
Sono come Robin Hood, rubo al ricco per il povero; (pausa) questa è una bella frase.
Chi è il ricco?
Il giocatore più fortunato, più forte e con più carriera davanti. Il debole è il ragazzino appena arrivato sul campo.
Di un giocatore le interessa più la tecnica o la tenacia?
In assoluto la tenacia; la tecnica è fine a se stessa, fa parte della qualità; la tenacia rientra nell’indole, nel cuore, nella mente. Il giocatore non si costruisce nel rettangolo da gioco.
Li controlla fuori dal campo?
Ho un rapporto un po’ strano con i miei: sono schietto e do indicazioni, se vengo seguito diventi un figlio, se non è così cerco di entrare nella mente, di capire; se non funziona allora ti abbandono. E se ti abbandono, se non ti rompo i coglioni, allora ti devi preoccupare seriamente.
I suoi paletti.
Non voglio orecchini né musica nello spogliatoio e tutti vestiti uguali.
Perché?
Rappresentiamo una città; non ti puoi presentare con l’orecchino come se andassi da Maria De Filippi.
I tatuaggi?
A mio figlio li proibisco; (pausa) sono l’enfatizzazione dell’egocentrismo e il giocatore è molto egocentrico.
Sono peggio i genitori o i procuratori?
I procuratori lasciamoli perdere; (pausa) per carità, ce ne sono di bravi, in altri casi mi si è rivoltato lo stomaco.
E il genitore?
Non può accompagnare il figlio o seguirlo, se non con discrezione. Altrimenti deve portarlo all’oratorio dai Salesiani.
Capuano da ragazzino…
Ero un bel giocatore, con grande tigna, qualità e quantità; non mollavo di un millimetro. Poi a 17 anni sono stato costretto a rinunciare per un grave infortunio al gomito.
Quell’attimo le ha stravolto la vita.
Lo ricordo alla perfezione: all’inizio nessuno capiva la gravità, ma dopo tre ore ero all’ospedale, in trazione. Da lì, a forza di operazioni, ho capito che era finta.
E cosa ha pensato?
Di non dire addio al calcio e ringrazio Silvano Bini, allora deus ex machina dell’Empoli, e l’arbitro Pietro D’Elia di Salerno: sono diventato osservatore per la squadra toscana. E ho scoperto tanti giocatori.
Chi?
Montella è un figlioletto.
Com’era?
Un fenomeno, lo scriva; quando aveva 15 anni, dopo l’ennesima giocata, gli predissi il futuro: ‘Arriverai in Nazionale’.
In particolare cosa l’aveva colpita?
L’osservatore deve avere l’approccio di un oncologo.
Cioè?
C’è chi il tumore lo vede immediatamente e chi deve affidarsi alle analisi. Io lo scopro subito e difficilmente sbaglio; dopo 32 anni di carriera mi rompono i coglioni solo per Mertens (ex Napoli, per lui avrebbe giocato al massimo 7, 8 partite. Alla fine ha segnato più di Maradona).
Insomma, Montella.
Ricordo suo padre, artigiano, e i sacrifici: gli davano centomila lire al mese per vivere a Empoli, e come lui pure Nicola Caccia; (ride) una notte, con Vincenzo, l’abbiamo passata chiusi in macchina perché in Val di Chiana si è fuso il motore.
A 15 anni lontano da casa è un sacrificio.
Il vero giocatore deve affrontare i sacrifici; senza sacrifici non si conosce il parametro della sofferenza e senza quel parametro non arrivi in alto.
A meno che non sei un fenomeno.
Quello è un dono di Dio, ma nella maggior parte dei casi sono degli scemi; potrei fare tanti nomi.
Osi.
Qualcuno l’ha già capito.
Secondo Zaccheroni nelle serie minori giocano fenomeni mai scoperti.
Zaccheroni in carriera ha affrontato un grande problema: la personalità; se fosse stato come Allegri avrebbe ottenuto altri risultati.
La personalità è fondamentale.
Esistono due tipi di allenatori: quello che lavora per se stesso, seguito dai calciatori, per il 90 per cento ignoranti, quindi gli parla di possesso palla, di due tocchi, tre tocchi, tiki taka, partenza bassa, e tutti a dire ‘come gioca bene questa squadra’.
Non va bene…
Quell’allenatore pensa a mettersi in mostra.
Invece.
Il vero allenatore si adatta ai giocatori a disposizione, cerca di costruire il giovane.
E lei?
Sono razionale e intelligente e come un pittore realizzo un quadro secondo i colori che trovo; (pausa) questa le è piaciuta? È una nuova metafora.
Dovrebbe tenere un corso per i calciatori di Serie A: quando parlano sono spesso noiosi.
Sono ignoranti, ripetono sempre le stesse cose, bla bla bla
Si riguarda dopo le sue esternazioni.
No, mi vergogno.
Il Tapiro ricevuto dove lo tiene?
È a casa.
Orgoglioso.
Mica ce l’hanno tutti.
Uno schiaffone lo ha mai dato?
Chi usa le mani è un bandito e un bastardo.
Qualche giocatore ha provato a darglielo?
No, perché se ci provi poi devi avere le palle ottagonali.
Parteciperebbe a un reality?
È da pupazzi e pagliacci.
La riconoscenza esiste?
Non c’è nella vita, può esistere nel calcio dove c’è il più alto concentrato di subdoli?
È scaramantico?
In ritiro lascio sempre un posto vuoto a tavola.
Sesso prima delle partite?
Dipende se uno fa l’amore o le prestazioni.
Lo chiede prima?
No, evito. Però lo sanno; (pausa) ma se uno lo fa sul bidet o sul lavandino, non va bene.
Con i giocatori bisogna essere più psicologi, maestri o parenti?
Psicologi, parenti mai.
Un calciatore deve avere il coraggio?
Il coraggio appartiene alla paura e non bisogna farsi attanagliare dalla paura né conviverci.
È più difficile gestire la sconfitta o la vittoria?
La vittoria; la sconfitta l’affronto durante la settimana.
Si fomenta.
Mi dica quale altro allenatore ha sentito parlare così, sia onesto.
Nessuno.
Non se lo aspettava.
No, ma lo sospettavo.
Ecco, bravo.
In questi anni si è beccato dell’omofobo.
Dopo Alessandria-Arezzo dissi a uno dei miei giocatori ‘sembri una femminuccia’.
No, lo definì “una checca”.
Montini perse una palla in mezzo al campo e prese gol.
Ci sono gay nel mondo del calcio?
Non lo so, saranno cazzi loro.
Lei è di estrema destra…
Estrema no, di destra sì.
Soddisfatto del governo.
Sicuramente sì.
L’emozione negativa, più forte, da allenatore.
Non parlerei di “emozione”, ma di “attesa” come nel Sabato del villaggio di Leopardi.
Quindi?
Anni fa, a San Benedetto del Tronto, ho compiuto un miracolo, ho raggiunto i play off e il presidente mi ha esonerato; in quel momento c’era l’attesa per capire se fosse matto o normale.
Risposta?
Matto.
In questi anni ha guadagnato bene?
Meno di quello che potevo.
Ci pensa…
Non mi interessa molto.
Come impiega i guadagni?
Faccio vivere bene la famiglia.
Il libro della sua vita?
Le dico un film: Il gladiatore, è l’enfatizzazione della vita, c’è tutto (lo sa a memoria).
Il braccio le fa male?
Non esiste il dolore fisico, esiste il dolore che ti porti dentro.
Come era da bambino?
Estroverso, litigavo con tutti, ero un matto.
I suoi genitori…
Papà era preoccupato, mi ha dato tante botte.
Mamma la difendeva.
Sempre.
A scuola come andava?
Ero intelligente, ma copiavo dal più bravo: se non mi dava una mano erano casini.
Pericoloso.
Il professore di Storia un giorno mi disse: ‘Tutto ti puoi inventare, non la Storia’. Creavo.
Dei big chi avrebbe voluto allenare?
Quelli da combattimento come Modric, De Rossi o Simeone. Non amo le fighettine.
Quante donne ha avuto?
Prima di mia moglie ne ho combinate tante.
Chi è lei?
Nell’intrinseco una persona buona, di discreta cultura e andarci d’accordo è facilissimo.