il Giornale, 16 aprile 2023
Eroi, gigolò e tronisti: i corpi di Walter Siti
Walter Siti torna nelle librerie per Rizzoli con Tutti i nomi di Ercole, una nuova edizione de La magnifica merce (uscito per Einaudi nel 2004) e altri racconti: Siti raccoglie i propri testi narrativi brevi degli ultimi anni che affrontano e si confrontano con le ombre e le luci di quella che può sembrare una ossessione – il culto del corpo maschile – e invece più che una radiografia sociale è una autopsia perfettamente attuale dei giorni nostri. Perché gli uomini (s)oggetto che racconta appaiono – anche nelle fotografie che intermezzano il libro – soltanto a una prima vista immortalati nelle pose plastiche di un Fidia costretto ad abitare il nostro mondo finto-patinato: in realtà sembrano rappresentare la fine di un’epoca, quella dove la mascolinità non aveva genere, dove la libertà anche sessuale non era incastrata in canoni prestabiliti da canoni non più classici ma televisivi. Siti ci regala una tragedia che non è neppure più greca ma è immane, contemporanea, scolpita nelle nostre coscienze al neon, nei nostri (pre)giudizi ormai alterati da una società dei consumi dove tutto, se lo osservi bene, è irreale come se vivessimo nel sogno lontano di una Dubai perenne. Walter Siti anche in questi racconti si conferma il miglior scrittore italiano e il tempo gioca a suo favore: saggista, massimo esperto delle opere di Pier Paolo Pasolini – del quale ha curato undici volumi dei «Meridiani» Mondadori – col tempo si è liberato della sua eredità. Spesso si è letto Siti come surrogato di Pasolini, come se il Suo erede continuasse a darci quei «ragazzi di vita» dei quali sentiamo la mancanza. Per molto tempo Siti ci ha dato quel che volevamo: un Pasolini formato famiglia, uno scrittore che fosse sì come Pasolini, ma da Mulino Bianco, incastrato tra i fusti di Maria De Filippi – i tronisti – e un’oasi di sicurezza congelata. Al termine della raccolta, una conversazione con Guia Soncini. Siti si dimostra generoso lasciando parlare e scrivere la Soncini perché la propria voce prendesse il sopravvento. E Siti ci dimostra la propria signorilità: non è, Siti, un animale da palcoscenico, lascia che l’interlocutrice prenda il proprio spazio sino a renderlo sterile. Siti non è uomo da chiacchiera da salotto – è un gentiluomo che vive le borgate come fosse un obbligo, come fosse un cliché da erede da Pasolini – ma è oltre. È un uomo con le proprie pulsioni, ragioni, irrazionalità, generosità che solo un uomo arreso può darci. Siti in questi racconti è un uomo e un raccontatore sconfitto che mostra il proprio sorriso solo perché tutto è nei suoi racconti. Nella sua mente e nella sua formazione c’è il discobolo, ma nessuno lancia il proprio disco: ed è questo il problema che denuncia. L’incapacità della scommessa, l’incapacità di essere (umani). Il suo desiderio verso la capacità del corpo di essere perfetto è ciò che vede e ciò che gli manca. Ed è questo che ci comunica: il desiderio è qualcosa che non conosciamo più, presi come siamo dalla bellezza, presi come siamo da modelli tele-visivi, da gigolò che del discobolo non conoscono neanche la fatica del lancio. «Solo chi è schiavo può liberare gli altri», scrive Siti a metà del libro. Chi può capirlo? Sarebbe una frase cattolica se Siti credesse in Dio: ci crede ma talmente tanto che comprende come a far male non sia la croce, ma i chiodi. Walter Siti è forse l’unico scrittore italiano che riesce a scolpire nel tempo modelli fugaci – come i riferimenti televisivi – senza che questi risentano del tempo: non è da poco fissare lo zapping esistenziale dei protagonisti senza spiegarli o mitizzarli, ma rendendoli anch’essi statue del tempo immane: non hanno bisogno del tempo per divenire perché Siti li strappa dalla attualità e li marmorizza. In questo è molto più efficace del Poeta, come lo chiama nei racconti, Pasolini: i romanzi di Pasolini risentono del tempo, andrebbero attualizzati, Siti invece riesce nell’impresa più ardua: è come se fermasse con le mani dell’inchiostro anche ciò che è per propria natura flusso di immagini, supera «la società dello spettacolo» e pur raccontandola, pur avendo timore di essere integrato piuttosto si disintegra, ha il coraggio di sabotarsi: e in questo è migliore di Pasolini. Le sue parole non devono convincere i lettori: le sue parole non sono bugie, sono paure, timori che diventano verità. Qui sta il vero sacrificio dell’artista, qui la sua purezza. Non saranno racconti corsari, così spendibili nella società che vuole sempre intellettuali contro per comprarli integrandoli al successo. Walter Siti è rimasto per troppo tempo vittima di sé stesso, di una critica letteraria che soddisfacendo il suo ego accademico lo ha sezionato, lo ha affrontato come un classico, ma istantaneo, da dimenticare la pagina dopo, lo scrittore dopo, il premio dopo. Walter Siti non è nulla di tutto questo e forse lo sta capendo. Per questo non scrivo nulla delle trame dei suoi racconti: perché è l’unico narratore che segue una trama, a molti apparirà sghemba, dove c’è libertà di lettura, dove a ogni parola, a ogni frase si comprende che Siti scrive per legittima offesa. Siti merita di essere letto da tutti, di diventare un classico vero, pregnante, perché è l’unico scrittore che, lo si comprende leggendolo, soffre quando scrive. Ed è questa la letteratura. Siti ha appena terminato, mi ha confidato senza segreto di stato, un nuovo romanzo molto diverso dai precedenti. Dove, al posto delle sue ombre e ossessioni, si guarda allo specchio e invece di mandarlo in frantumi capisce che è una finestra sul mondo: quel mondo che per troppo tempo, per bontà e ingenuità, si è caricato sulle spalle.