Avvenire, 15 aprile 2023
Biografia di Elio Filippo Accrocca
«La guerra, aborto d’uomini / dementi, è passata sulla / mia casa di San Lorenzo». Si avvicina il 19 luglio, 80° anniversario del bombardamento del quartiere romano, e la poesia di Elio Filippo Accrocca Portonaccio ancora rende vivi e attuali l’orrore, la pietà e l’indignazione provati da un ventenne di fronte a morte e distruzione. Lunedì cade il centenario della nascita di Accrocca, uno dei principali esponenti della poesia del dopoguerra, allievo di Giuseppe Ungaretti, e animatore della vita culturale capitolina e nazionale attraverso riviste e televisione. Il suo paese natale, Cori, in provincia di Latina, oggi gli rende omaggio, come ogni anno, con un evento nella biblioteca comunale a lui intitolata e alla quale gli eredi nel 2013 hanno donato il lascito del poeta: circa 9mila tra libri e riviste. E nella quale, dopo la sosta forzata dovuta alla pandemia, è ripresa la catalogazione, con l’intento di recuperare e valorizzare inediti tratti dai faldoni contenenti carte varie, dai ritagli di giornale alla corrispondenza. Il convegno, oltre a far conoscere sempre di più il poeta corese – anche nelle sue intuizioni più d’avanguardia, all’incrocio con collage e poesia visiva – vuole far emergere il panorama stilistico della poesia nel Lazio meridionale. Ciò attraverso le intersezioni di Accrocca con altri poeti e intellettuali da lui conosciuti come Libero de Libero e Rodolfo Di Biasio, cercando di capire quali erano i processi creativi e le dinamiche che le diverse città di appartenenza suscitavano in questi autori (de Libero era nato a Fondi nel 1903, Di Biasio a Ventosa nel 1937).
La vita di Acrocca, pur rimasto sempre molto legato alla cittadina natale, si svolse quasi interamente a Roma, dove la famiglia – che fortunatamente scampò all’incursione degli aerei alleati – si era trasferita per l’impiego del padre nelle ferrovie. Il momento d’oro del poeta fu nel decennio tra il 1949 e il 1959, quello compreso tra le due raccolte Portonaccio, forse la sua più celebre, dedicata al quartiere proletario adiacente allo scalo bombardato, e Ritorno a Portonaccio. La prima fu edita da Scheiwiller e portava la prefazione di Ungaretti – con il quale Accrocca si era laureato in Lettere alla Sapienza nel 1947 con una tesi sulla poesia della Resistenza e dalla cui opera fu fortemente influenzato – la seconda uscì per Mondadori. Dei versi di Accrocca si sono occupati critici, alcuni dei quali come lui allievi del maestro dell’ermetismo, del calibro di Mario Petrucciani, Walter Mauro, Giorgio Bàrberi Squarotti, Giorgio Petrocchi e poeti come Salvatore Quasimodo, Giorgio Caproni, Andrea Zanzotto, Elio Pecora.
Con Cesare Vivaldi Accrocca diede vita ai “Quaderni del Canzoniere”, rivista e poi collana libraria, che fu un punto di incontro tra poesia e arti figurative, con la collaborazione di pittori come Renzo Vespignani, Marcello Muccini e Armando Buratti. Con questi, insieme ai poeti Luciano Luisi e Renzo Nanni, Accrocca formò il cosiddetto “gruppo di Portonaccio”. Con Raffaello Brignetti e Franco Fano ha invece curato i “Quaderni di Piazza Navona”. Fu inoltre titolare della cattedra di Storia dell’arte all’accademia di Belle Arti di Foggia, di cui fu anche direttore fino al 1977. Innumerevoli le collaborazioni con periodici culturali, tra i quali la “Fiera letteraria”, con quotidiani e con la Rai.
«Baffuto, sornione, istintivamente inquieto, chiuso a volte in una visibile armatura di prudenza, risultando in altre circostanze ironico fino al sarcasmo», il ritratto che ha dato del poeta il critico Donato Di Stasi in un convegno tenutosi a Ostia (i cui atti sono pubblicati da Fermenti) nel decennale della morte, avvenuta nel 1996. Di Stasi ritrae un ambiente che si muoveva tra «le gallerie d’arte, i baretti del Babuino e via Marastanti gutta, lo studio di Mazzullo (lo scultore Giuseppe, ndr) e altri ancora, dove non era difficile incontrare Giuseppe Ungaretti che mangiava panini e beveva dallo stesso fiasco degli ». Quell’ambiente che nel dopoguerra voleva lasciarsi alle spalle la dittatura, i lutti, le rovine. E che nelle arti trasmutava dall’ermetismo e dal soggettivismo al realismo, nelle arti figurative, nel cinema e nella poesia.
La ricerca linguistica successiva nella produzione di Accrocca – dagli anni Sessanta agli Ottanta – è stata segnata dall’avvento della neo-avanguardia, sempre in dialogo con le arti. Una poetica sperimentale e immaginifica già dai titoli con Innestogrammi/Corrispondenze (1966), Scultogrammi (1981), Videogrammi della prolunga (1984). Una produzione, affermava sempre Di Stasi, che ne fa «un precursore della poesia verbo-visiva, addirittura della poesia on-line su internet». Del 1991 è lo Sdraiato di pietra, titolo riferito alla fontana che dà il nome a via del Babuino, vero genius loci del gruppo di cui Accrocca fu animatore. Europeista convinto, importante fu anche la sua attività di traduttore da poeti romeni e bulgari, di promotore della poesia continentale in qualità di direttore della rivista “Carte d’Europa” e di autore dei volumi Europa inquieta e Vagabondaggi per l’Europa, resoconti letterari dei suoi viaggi nei primi anni Settanta. Tra la fine degli Ottanta e l’inizio dei Novanta l’editore Newton Compton ha pubblicato due raccolte antologiche: Poesie. La distanza degli anni 1942-1987 uscita nel 1988 – nella quale si definisce Accrocca «un poeta straordinario, tra i più significativi e originali della poesia italiana contemporanea» – e Lo sdraiato di pietra Poesie 1977-1990 Colloquio- soliloquio a tu per tu col «babuino» che è in noi, del 1991. Nel suo itinerario esistenziale e poetico grande peso ebbero, oltre all’esperienza bellica, i lutti familiari: prima la morte della madre, quando era bambino, poi nel 1973 quella del figlio 18enne in un incidente stradale – dolore che dà l’impronta alle sillogi Siamo non siamo (1974) e Il superfluo (1980) – infine quella della moglie nel 1985. L’ultima parte della vita il poeta la trascorse con la seconda moglie a Casalpalocco, municipio romano confinante con quello di Ostia. In questa sia pur breve distanza dalla città – della quale aveva denunciato la crescita sregolata – si riverbera l’attenzione alla natura, dai giardini al mare, e alla storia delle rovine dell’antico porto romano alla foce del Tevere. Un’attenzione per il paesaggio, va detto, che ha sempre caratterizzato i versi di Accrocca: dalla sua Cori, adagiata sui Monti Lepini, alla pianura pontina, Doganella, Ninfa, Latina, il Circeo. Ma il paesaggio che sempre il poeta portava con sé era quello della guerra. Tra dolore, speranza e sopravvivenze anche minime, di piccoli oggetti come un quadretto domestico o un pantalone. «Il cuore ha le sue distruzioni / Come le macerie di spettri, / eppure il cuore ancora grida, / geme / dispera, ma vive / come la Madonna di Raffaello / salvata tra i sassi della mia casa / e un paio di calzoni grigioverdi»