il venerdì, 14 aprile 2023
Intervista a Martina Corgnati - su "Milva. L’ultima diva. Autobiografia di mia madre" (La nave di Teseo)
Milano. "Sento che sto male. Non sono convinta di niente, solo del mio malessere, ma non sono capace di soffrire e cerco subito i calmanti", scrive nel suo diario. "Vivo di finzioni, di morte, di euforia". E ancora. "Sono infelice, rimango lunghi momenti a guardare il vuoto. Sono sola".
È un ritratto sincero, intimo, in parte inedito di Milva, l’incredibile cantante, pop e sofisticata, attrice e artista di successo fino in Giappone, una star dello spettacolo dagli anni Sessanta alla morte, a 81 anni, il 23 aprile 2021, e ancora oggi idolo di un fanclub sul web; eppure anche una donna volubile, inquieta, complicata, raramente felice.
Lo racconta Milva. L’ultima diva - Autobiografia di mia madre (dal 21 aprile in libreria per La nave di Teseo), scritto dalla figlia, Martina Corgnati: "Una quasi autobiografia" dice, "perché io l’ho messa giù, ma questa è la sua storia, non la mia. L’ho ricostruita da testimone, dalla mia memoria, dai racconti di mia nonna, di mia zia Luciana, da un diario che aveva tenuto, dall’85 al ’99, e da tutte le sue agende che lei annotava maniacalmente, anche con qualche commento". L’importante, e per nulla scontato, romanzo che ne è venuto fuori è un racconto meno pubblico e più privato di Milva, con gli oltre 50 anni di fantastica carriera a 100 all’ora, senza un attimo di sosta, i Sanremo, i dischi, Brecht, Strehler, Battiato, il teatro, Jannacci, la Scala e Berio, Piazzolla, Theodorakis ,Vangelis... Ma anche con il prezzo personale pagato per tutto questo: l’abuso di farmaci, gli amori turbolenti, un aborto... Cose che basterebbe un terzo per arrendersi. Il libro, in vendita dal 18 aprile, quando sarà anche presentato al Chiostro del Piccolo di Milano alle 18.30, ripercorre successi e fragilità, amori e demoni di Milva, che Martina, storica e critica d’arte affermata, oltre venti libri, felice con il compagno, il semiologo Ugo Volli, racconta con l’impietosa tenerezza della figlia che non deve rivendicare una sua identità.
Martina, ha detto tutto in questo libro?
"Qualcosa ho censurato, ma volevo soprattutto che non si perdesse la vicenda di una donna straordinaria che sì, ha fatto soffrire e molto ha sofferto, ma che, partita con le pezze sul sedere dal fango del delta del Po, è arrivata alle stelle e ha fatto la storia del teatro e della musica in Italia e in Europa. L’ultima diva, appunto, perché come certe star di Hollywood, era stratosferica sulla scena, ma infelice".
Dal libro emerge molto la donna sola e fragile che subiva il peso della carriera, della famiglia che manteneva, di amori sbagliati...
"Milva (così la figlia chiama spesso sua madre, ndr) subiva se stessa. Aveva il terrore della solitudine. Non riusciva a pensarsi senza fidanzato, anche quando sapeva di mettersi nei casini. Credo sia stata felice solo con mio padre, suo marito Maurizio Corgnati, e con Massimo Gallerani, tra gli anni Settanta e gli Ottanta. Ma il resto... a partire dalla relazione, che tanto piaceva ai rotocalchi, con Mario Piave".
La descrive come una relazione tossica.
"Si erano conosciuti nel ’69. Belli e giovani, fu passione travolgente, ma a parte il sesso in quella coppia mancava tutto. Ci furono tentativi di suicidio di Mario, e di Milva almeno uno, più teatro che altro, perché fece per tagliarsi le vene ma senza crederci. Poi si sono lasciati, per fortuna. Mario era sempre più ossessivo, Milva si caricava di lavoro per stargli lontano. Io credo che lui volesse una famiglia, ma lei era sposata e non c’era il divorzio. Lei era famosissima, lui no. Lui voleva un figlio, lei no... Era una frustrazione unica".
A proposito di figli, lei parla anche di un aborto, prima della sua nascita.
"L’aveva fatto, in un certo senso, spinta da mio padre. Con Maurizio Corgnati era stato grande amore fin dall’inizio degli anni Sessanta: lei ventunenne, timida, già conosciuta e in ascesa; lui 43 anni, colto, borghese. Finì per dedicarsi totalmente a lei, la portò nel mondo intellettuale torinese, le fece fare repertori musicali nuovi: come figlio gli bastava lei. Se nacqui nel 1963 fu perché Milva si era imposta. Secondo me quell’aborto, che forse furono due, l’hanno segnata. Lei fantasticava una vita da signora borghese in corso Umberto a Torino, mio padre voleva farne una Amália Rodrigues. Se non ci fosse stato l’incontro con Paolo Grassi e il Piccolo, e poi con Strehler, che segnarono la carriera di Milva in un’altra direzione, probabilmente sarebbero andati a New York. Da qui si capisce che quando dopo cinque anni Milva lascia Maurizio per Piave è dramma. Mio padre non la perdonò mai. Beveva molto in quel periodo e non volle più saperne di lei".
E lei, Martina, in tutto questo?
"Con mia mamma ho avuto un legame ambivalente ma forte. Da bambina non la vedevo spesso, era sempre in giro. Un abbraccio, tanti regali, qualche coccola, ma poi basta. Però ho avuto una infanzia felice, coi nonni, i cani, mio padre che mi regalò un leone... Con lei si stava bene quando era serena, perché era una generosa, è stata una benefattrice per tutti i parenti di Goro. Il periodo più bello fu accanto a Massimo Gallerani. Se con Piave non stava bene; del rapporto con l’attore Luigi Pistilli, compagno negli anni Novanta, non parliamone nemmeno ché hanno rischiato di ammazzarsi; se con l’ultimo, Roberto Bertozzi, professore di germanistica, lei era di una irrequietezza... Massimo è stato, con mio padre, l’uomo importante. Solida borghesia milanese, filosofo, impegnato, credo che a consigliarle Battiato fu proprio lui, fu una presenza discreta e importante, con lui era finalmente se stessa. Quando, dopo 17 anni, lui scelse una ragazza, per Milva fu la doccia fredda che lei aveva dato a mio padre vent’anni prima. Comincia il ciclo del Prozac".
Milva già abusava del cortisone per la voce.
"Cantava troppo e a squarciagola: le corde vocali, sforzate, si infiammavano, si creavano edemi, doveva fare raschiamenti. A Torino un otorino le dette, allora, la pozione magica, il cortisone. Ne ha preso a chili. Se lo faceva da sola, intramuscolo. Con il suo corpo era violenta, voleva risolvere tutto subito. Col cortisone cantava, ma come stava il giorno dopo... gonfia, a pezzi. In tournée erano 30 milligrammi al giorno per 40 giorni. Arrivi cotto. Doveva disintossicarsi. Faceva fatica a dormire, vai di Xanax, gocce di En... In più fumava tanto. Credo che abbia pagato tutto con la compromissione della vascolarizzazione cerebrale".
È stata la causa della morte?
"Anche, un progressivo peggioramento cerebrale durato 15 anni. Negli ultimi tempi aveva intorno quattro badanti. Ma se uno non ha i soldi, che fa? È lì che mi è venuta in mente, un anno dopo la sua morte, l’idea della Fondazione".
"Si chiama Insula Felix, di Milva e Martina Corgnati. La sede è qui nel suo appartamento di via Serbelloni a Milano, tra le sue cose. No, la musica non c’entra: ai dischi dovrebbero pensare i discografici. Esiste per esempio un inedito di Ruggeri, ma è lì... La Fondazione invece ha due scopi: favorire la ricerca sulla storia dell’arte da parte dei giovani, con borse di studio, una biblioteca coi tremila libri donati da me e aperta al pubblico due giorni la settimana, e poi seminari ed eventi di arte contemporanea, il prossimo il 19 aprile dedicato a Marcello Maloberti. E sostenere l’umanizzazione della cura per persone con disagi mentali. Così, grazie al lavoro di Milva, abbiamo trasformato la sua memoria in cose che fanno bene agli altri".