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 2023  aprile 15 Sabato calendario

Per la Crusca la lingua italiana è sotto attacco

Quando ci vuole, ci vuole: in Italia si sta tentando di mettere ai margini la nostra lingua nazionale. A denunciarlo è il linguista Claudio Marazzini, presidente dell’Accademia della Crusca, il più antico e solido punto di riferimento per la lingua italiana in Patria e nel mondo. L’accusa fa molto male, perché ben argomentata, da fonte che più autorevole non si può e, soprattutto, fondata.
«Vanno combattuti senza tentennamenti i casi, non rari, di emarginazione totale della lingua italiana - accusa Marazzini - specialmente quando essa viene rimossa dall’alto, ad opera di italiani e in Italia, non all’estero o ad opera di stranieri, perché gli italiani sono molto bravi nel farsi del male da soli».
GLI AMBITI
Non è soltanto un grido di dolore, ma la precisa richiesta al governo e al Parlamento, attraverso un intervento pubblicato sul sito dell’Istituzione fiorentina, di smetterla col mare di impotente retorica e di intervenire, invece, con atti legislativi, scelte politiche e direttive ministeriali per porre fine all’assurda discriminazione che la nostra lingua nazionale subisce in ambito pubblico ad opera di chi impone l’inglese. Come se l’italiano fosse una lingua straniera in Italia. Marazzini cita tre ambiti della grave disparità di trattamento: il lavoro, l’Università e la giurisprudenza, visto l’oblio che il potere legislativo ha decretato nei confronti della storica sentenza 42/2017 della Corte Costituzionale. Una sentenza che spiegava perché, e proprio in ambito universitario, l’uso esclusivo dell’inglese non potesse «estromettere integralmente e indiscriminatamente la lingua ufficiale della Repubblica». Invece è proprio quello che succede da tempo nella burocrazia universitaria col beneplacito del ministero interessato («non si degnavano nemmeno di discutere con noi del tema», sottolinea Marazzini), per le domande di finanziamento nazionale, internazionale «e molto spesso perfino in sede locale» da cui è bandito l’italiano: bisogna richiedere esclusivamente in inglese a pena di nullità, addirittura.
PRIMATO
Siamo alla «grave abolizione forzosa dell’italiano nell’uso pubblico», attacca il presidente della Crusca. E non ci vorrebbe molto per far valere «la centralità costituzionalmente necessaria della lingua italiana», come ha pur prescritto l’inascoltata Corte Costituzionale, affermando la "primazia" dell’italiano con parole inequivocabili: «Il primato della lingua italiana non solo è costituzionalmente indefettibile, bensì - lungi dall’essere una formale difesa di un retaggio del passato, inidonea a cogliere i mutamenti della modernità -, diventa ancor più decisivo per la perdurante trasmissione del patrimonio storico e dell’identità della Repubblica, oltre che garanzia di salvaguardia e di valorizzazione dell’italiano come bene culturale in sé».
Eppure, in barba alla sentenza la lingua nostra e di Dante è messa all’indice, «e basterebbe - dice Marazzini - un atto formale immediato: chi emette i bandi, cioè il ministero, è perfettamente in grado di condizionare la scelta della lingua. Lo hanno fatto in passato a danno dell’italiano, lo facciano oggi a vantaggio dell’italiano». Il pane al pane del presidente della Crusca è rivolto anche ai promotori delle proposte di legge - compresa quella a tutela della lingua italiana firmata da Fabio Rampelli (Fdi) - affinché «se davvero amano l’italiano e vogliono fermare l’ingiusta emarginazione, promuovano innanzitutto una campagna di convincimento nei ministeri di un governo in cui sono rappresentate le forze politiche della loro stessa maggioranza». Come dire alla coalizione di centrodestra, sensibile sul tema linguistico: ora che siete al governo, potete fare, anziché parlare.
I CONTRATTI
La stessa eliminazione dell’italiano Marazzini la denuncia nei contratti di lavoro, specie di aziende multinazionali, e chiede che si introduca l’obbligo almeno della bilinguità italiano-inglese. In nessun’altra nazione europea a noi paragonabile si consente la scomparsa della lingua nazionale dall’ambito pubblico, contratti, bandi o finanziamenti che siano.
E poi l’abuso dell’inglese nella comunicazione sociale pubblica delle istituzioni statali, altro capitolo grottesco. Così come la pretesa di indirizzare le libere scelte dei ricercatori universitari «attraverso una subdola discriminazione a priori nella valutazione dei prodotti in lingua italiana», dice Marazzini. Che denuncia «una spinta indiretta, dannosa e truffaldina, all’abbandono dell’italiano».