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 2023  aprile 15 Sabato calendario

Orsi & tori

E se avesse ragione Emmanuel Macron? Ragione a tenere vivo il dialogo con la Cina a costo di far infuriare in primo luogo la Germania, altri paesi europei e naturalmente gli Stati Uniti?


Il presidente francese è l’unico in Europa a sommare la presidenza della Repubblica con poteri operativi in vari settori ma soprattutto in politica internazionale. Sia pure con alcune modifiche, ma marginali, è il potere derivante dal modello di repubblica presidenziale creata dall’allora generale Charles De Gaulle. Quando c’è da trattare alleanze o confronti non è il ministro degli esteri ma il presidente francese che scende in capo direttamente. Questa volta per il viaggio a Pechino, Macron si è fatto accompagnare dalla presidente dell’Unione Europea, Ursula von der Leyen, ma proprio per il fatto che, secondo molti, l’avrebbe poi lasciata in ombra si sono accese altre critiche










verso il capo dell’Eliseo.


Per capire meglio occorre elencare quali erano e sono stati gli obiettivi del viaggio del presidente francese:


1) Stimolare l’azione della Cina presieduta da Xi Jinping per far accettare il cessate il fuoco e la pace, nella guerra della Russia contro l’Ucraina;


2) Mostrare la Francia e un’altra parte d’Europa equidistante fra Usa e Cina rispetto alla questione Taiwan;


3) Guadagnare la simpatia del presidente cinese per le prospettive di sviluppo degli affari fra Francia e Cina, come in passato fece per la Germania Angela Merkel. Ma se il terzo obiettivo è scontato e naturale, sono i primi due a più alto valore strategico per la pace nel mondo.




Oggettivamente c’è qualche altro paese o presidente, al di là della Cina e di Xi, che può spingere la Russia a cercare la pace con l’Ucraina? Assolutamente no e per più motivi: a) perché la Cina oggi è essenziale per la Russia sul piano economico e strategico e questo legame, come si è potuto leggere in queste pagine, è nato nel 2014 quando il presidente Barack Obama impose le sanzioni di tutto il mondo occidentale verso la Russia, che aveva strappato la Crimea all’Ucraina: da allora i colloqui, i progetti, gli scambi commerciali fra Mosca e Pechino si sono moltiplicati e da quando è stata invasa l’Ucraina la Russia è vassallo economico della Cina, l’unico paese che ha moltiplicato le importazioni dalla Russia non solo di gas e petrolio; senza questa crescita dell’interscambio con la Cina, la Russia sarebbe in una crisi economica assai più grave di quella attuale. Tutto ciò dà a Xi Jinping, che non è certo alla ricerca di una guerra mondiale, una forza negoziale verso la Russia che nessun altro paese o capo di stato ha o può avere.




Per questo, la scelta di Macron di fare pressione su Xi affinché spinga la Russia a cessare la guerra è una scelta più che razionale. Chi potrebbe essere a ottenere il risultato, forse il turco Recep Tayyip Erdogan, che ufficialmente fa parte della Nato ma non si sa da che parte stia; e il massimo che ha potuto fare (per ricavarsi un ruolo e anche un business) è stato il negoziato per far passare dalla Turchia il grano ucraino senza il quale milioni e milioni di essere umani dei paesi poveri, e non solo, avrebbero fatto l’assoluta fame.


Potrebbe forse essere il presidente delle Nazioni Unite a spingere con successo per la pace? Ma se la Russia è membro permanente del Consiglio di sicurezza dell’Onu e quindi ha diritto di veto su ogni decisione che potrebbe essere presa...


Insomma, Macron era ed è, se non l’unico, certo il più adatto oggi perché ci siano chance per indurre alla pace la Russia attraverso la Cina. E allora, se questa è la situazione, che cosa doveva fare Macron, forse andare in Cina per dire che la Francia e vari paesi europei sono appiattiti sulle posizioni degli Stati Uniti rispetto al problema più grave che in questo momento divide la Cina e gli Usa: il destino di Taiwan? A fare il discorso istituzionale di condivisione delle posizioni Usa su Taiwan ci ha pensato la presidente Ue von der Leyen dichiarando: «La stabilità nello stretto di Taiwan è di importanza cruciale. L’uso della forza per il cambio dello status quo è inaccettabile». Così a Washington sono stati contenti. Ma il tema Taiwan non può vedere tutta l’Europa schierata con gli Usa. Per più motivi.




1)Per la storia, che giova ripetere: furono gli Usa a interferire alla fine degli anni 40 nella guerra civile in Cina fra Mao Zedong e il nazionalista Chiang Kai Shek che, sconfitto sul campo, fu aiutato dagli americani, come guardiani del mondo, a riparare nell’isola di Formosa, la quale anche se ribattezzata Taiwan è stata da secoli territorio cinese; la maggioranza degli abitanti sono cinesi e la Cina è il paese che assorbe il 42% dell’export di Taiwan, che per metà è fatto della produzione altamente tecnologica fiorita nell’isola, i fondamentali semiconduttori.


2)La Cina negli anni passati ha accettato ben volentieri che a Taiwan gli Usa favorissero un progresso tecnologico unico, ma allo stesso modo in cui la Cina piano piano sta riannettendo a se stessa la ex-colonia inglese di Hong Kong, a Pechino hanno pianificato che progressivamente Taiwan sia riannessa alla Cina continentale. Fa quasi ridere, quindi, l’ipotesi, che pure arriva da alcuni politici americani, che Taiwan si armi per difendersi da un’eventuale invasione cinese. Gli abitanti di Taiwan sono 23 milioni. Come si può pensare che loro ritengano di poter combattere per contenere la forza della Cina?




Per questo i viaggi di Nancy Pelosi, quando era portavoce della Camera, a Taiwan per suscitare l’orgoglio di essere uno stato libero, diverso dalla Cina non sono stati altro che una provocazione, che ha permesso alla Cina di giustificare poi le manovre militari di qualche mese fa e ora le esercitazioni militari intorno a tutta l’isola.


Ma chi ha sale in zucca può pensare che la Cina scateni davvero una guerra per conquistare Taiwan? Con Taiwan seguirà una strategia analoga a quella che sta portando avanti per Hong Kong. A meno che qualche capo americano non pensi davvero di impedire che Taiwan ritorni, in forme da definire naturalmente, un territorio anche ufficialmente cinese.


L’equidistanza di Macron fra Cina e Usa, almeno per questa speciale missione, ha avuto lo scopo di calmare i bollenti spiriti americani e cercare invece di evitare una nuova guerra e di spingere, invece, il presidente Xi a fare pressione su Putin perché inizino i negoziati di pace nella guerra contro l’Ucraina. Guerra chiama guerra. E perché Xi, che non ha nessun interesse a trovarsi coinvolto in una guerra, dovrebbe abbandonare i programmi intensi di sviluppo della Cina?




Piuttosto il punto è un altro: è domandarsi perché la Cina è diventata così potente da essere vicina a superare gli Usa. E la risposta è semplice: fu l’America con il presidente Richard Nixon, guidato dal ministro degli esteri più intelligente della storia, Henry Kissinger, a iniziare con la diplomazia del ping pong lo sviluppo della Cina, evidentemente sottovalutando che un paese così vasto e con un miliardo e mezzo di abitanti potesse raggiungere il livello di sviluppo che ha raggiunto.


Intendiamoci, quella scelta di Kissinger e Nixon non fu fatta per puro e semplice spirito umanitario, visto che il paese era alla fame. Fu fatto, avendo i due leader americani il disegno della globalizzazione e quindi di trasformare la Cina nel più formidabile laboratorio di manodopera del mondo, per avere prodotti a basso costo e consentire in primo luogo alle aziende americane e agli americani di arricchirsi, mentre il livello di vita dei cinesi passava dalla fame alla sopravvivenza. Peccato che si sia evidentemente pensato che la Cina rimanesse comunque terzo mondo, mentre la scelta fondamentale del vicepresidente Deng Xiao Ping (Paese socialista che usa strumenti del capitalismo) in 50 anni abbia portato il paese a un livello di sviluppo economico e tecnologico tale da superare per molti aspetti gli Usa. Il problema è proprio qui: perché il mondo non sia distrutto da una guerra globale, occorre capire come Usa e Cina possano convivere e al limite cooperare, invece di diventare progressivamente nemici assoluti.




Il tentativo di Macron di giocare l’Europa come equilibratore, fra i due giganti, è il più serio che finora sia stato concepito. Ha quindi poco da lamentarsi il responsabile esteri della Spd, Nils Schmid, che ha dichiarato: «Noi tedeschi siamo chiaramente dalla parte degli Stati Uniti, anzi di Taiwan, quando afferma di non voler essere inghiottita dalla Cina». L’esponente del maggior partito tedesco si dimentica dei Jumbo organizzati dalla Merkel e carichi di imprenditori tedeschi per fare affari con la Cina? Senza contare che l’ex-cancelliere tedesco Gerard Schröder solo recentemente ha rinunciato alla presidenza del consiglio di sorveglianza della società petrolifera russa Rosneft.


Insomma, chi non ha flirtato dalla Germania con la Cina e la Russia scagli la prima pietra. C’è solo da sperare che anche gli Usa, che hanno letteralmente abbandonato l’Africa nelle mani dei cinesi, capiscano che la mossa di Macron è anche nel loro interesse.




* * *


È sicuramente nell’interesse dell’Italia e degli italiani il disegno di legge annunciato nei giorni scorsi dal ministro dell’economia Giancarlo Giorgetti e dal sottosegretario Federico Freni per un mercato borsistico più efficiente. L’annuncio era stato preceduto dall’importante convegno sullo sviluppo del mercato organizzato presso l’Università Bocconi e al quale oltre che a Freni hanno partecipato anche il presidente della Consob Paolo Savona, e il più alto dirigente italiano a Bruxelles, nonché ex-presidente della Consob, Mario Nava, insieme a molti altri autorevoli conoscitori dei mercati finanziari. Quel convegno è stato il segno che se il paese non si mobilita per creare un vero mercato dei capitali, l’Italia non potrà mai uscire dai pericoli in cui si trova per un indebitamento pubblico superiore al 140% del pil.




Le modifiche e innovazioni annunciate e contenute nel disegno di legge sono tutte positive e fanno seguito a una campagna personale condotta dal deputato leghista, Giulio Centemero, in primo luogo rendendo possibile gli investimenti in azioni quotate da parte delle casse di previdenza. Più varie modifiche di tipo burocratico e sostanziale, che vale la pena di elencare.


1)I termini per l’approvazione del prospetto di ammissione decorrono dalla data di presentazione della bozza di prospetto come previsto dalla disciplina europea in materia. Viene alleggerito anche il regime di responsabilità del collocatore, fissando le regole che la delimitano.


2) Passano da 3 a 10 i voti che possono essere attribuiti a ciascuna azione (voto plurimo).


3) È prevista la possibilità di tenere stabilmente le assemblee attraverso il rappresentante designato, misura adottata in tempi di Covid e che era stata già prorogata per il 2023.




4) Viene abolito l’obbligo gravante sui soggetti che detengono azioni in misura almeno pari al 10% del capitale sociale, nonché su ogni altro soggetto che controlla l’emittente quotato, di comunicare alla Consob le operazioni effettuate anche per interposta persona.


5) Per consentire a una platea più ampia di società di «accedere a una disciplina maggiormente proporzionata», viene modificata ed estesa la definizione della categoria di Pmi per cui il capitale massimo passa da 500 milioni a 1 miliardo di euro.


6) È prevista anche la dematerializzazione delle quote di Pmi, che potranno «esistere in forma scritturale» come previsto dal Tuf, in modo da ridurre i costi e gli oneri amministrativi legati all’emissione e al trasferimento delle quote.




7) In termini più tecnici gli enti previdenziali privati e privatizzati ottengono la qualifica di controparti qualificate ai fini della prestazione dei servizi di investimento. Si amplia così la categoria degli investitori professionali, in modo da favorire il flusso di investimenti verso i mercati dei capitali.


8) Per un periodo sperimentale di 3 anni (fino al 30 aprile 2025), vengono fissati quorum agevolati per l’approvazione di aumenti di capitale: a condizione che sia rappresentata almeno la metà del capitale sociale, non si applica la maggioranza rafforzata del voto favorevole di almeno 2/3 del capitale rappresentato in assemblea.


9) È possibile derogare al regime ordinario di esclusione del diritto di opzione in sede di aumento di capitale.


10) La Consob non avrà più la possibilità di richiedere l’aumento della soglia di flottante nelle ipotesi in cui un soggetto detenga una quota superiore al 90%.


In termini tecnici e in parte anche sostanziali sono un forte passo avanti se il disegno di legge sarà approvato, magari con altri miglioramenti. Ma non basta. Ci vuole altro per creare in Italia un vero mercato dei capitali, una borsa con un numero di società almeno pari a quello di borse come a Parigi, anzi di più visto il numero di pmi e la quantità di risparmio che dorme sui conti correnti. Va usata in maniera pesante la leva fiscale sia per le società che si quotano che per chi sottoscrive le azioni. Va ripetuto, ma moltiplicato per 10 quello che fu fatto al momento in cui lo stato doveva privatizzare banche e società.


Se non si sceglierà la cura d’urto, sviluppando attraverso il mercato il prodotto interno lordo, le entrate fiscali, la cultura degli investimenti che creano posti di lavoro, prima o poi il capestro del debito pubblico cadrà sulla testa del paese. I tedeschi hanno già ripreso in seno alla Ue a predicare che il debito dell’Italia è insostenibile. E la riforma del Mes (Meccanismo europeo di stabilità) metterà l’Italia con le spalle al muro.