La Stampa, 15 aprile 2023
Intervista a Christina Ricci
È stata una baby star di livello planetario, a 9 anni ha iniziato a recitare, a undici già spopolava nei panni dell’iconica Mercoledì di La famiglia Addams. Da allora Christina Ricci, classe 80, ha proseguito una carriera poliedrica senza mai disdegnare progetti dedicati alle nuove generazioni, ma anzi guardandoli con immutato interesse. Come la serie Yellowjackets, racconto di formazione drammatico ad alta tensione, che l’attrice californiana torna a interpretare per la seconda stagione, su Paramount +. Creata da Ashley Lyle e Bart Nickerson, ha per protagonista una squadra di calcio costretta a sopravvivere in maniera selvaggia a seguito di un incidente aereo, mostrando anche i sopravvissuti adulti e i loro trauma irrisolti 25 anni dopo. Tra questi ultimi spicca l’indecifrabile outsider Misty Quigley che interpreta Ricci, ex manager delle attrezzature diventata infermiera di una casa di riposo.
La sua Misty è un personaggio enigmatico. All’apparenza ingenua, si rivela vendicativa, manipolatoria e ironica. In cosa le somiglia?
«È molto instabile emotivamente, si sente molto sola, inadeguata e poco accettata dagli altri. So che cosa significa, è capitato anche a me di soffrire di immaturità emotiva».
Ne soffre ancora?
«Va meglio, oggi in qualche modo riesco a gestire, o quanto meno nascondere, certi sbilanciamenti emotivi. Per lungo tempo sono stata ossessionata dal fatto che qualcuno potesse criticarmi per il mio aspetto fisico».
Che effetto fa essere la versione adulta di uno dei personaggi più complessi della serie?
«È una bella sfida, tutti sappiamo quanto il passato influenzi il presente, Misty ne è l’incarnazione vivente. Da attrice non è facile a volte capire di che passato esattamente si tratti, è una serie carica di mistero e questioni irrisolte anche per noi che la interpretiamo. In questa stagione la vediamo affrontare scenari davvero indescrivibili che nessuno avrebbe potuto prevedere. Almeno, io certamente no».
La serie affronta anche il tema del cannibalismo, come reagisce a leggere certe scene?
«La prima volta che ho letto la sceneggiatura ho pensato fosse maledettamente delirante, eppure il modo in cui il tema è esplorato è complesso, ha a che fare con scenari di nera disperazione e sacrifici per la sopravvivenza. So bene che è un argomento spinoso da trattare e anche piuttosto spiacevole, ma chi l’ha detto che un buon racconto non possa farci uscire ogni tanto dalle nostre zone di comfort?».
È per questo che «Yellowjackets» piace, perché sposta il pubblico fuori dalla propria comfort zone?
«Piace perché è scritta bene ed è divertente, il pubblico ama prodotti innovativi capaci di sorprendere. E poi, certo, non ha paura di raccontare cose spiacevoli e spingere i suoi personaggi oltre ogni limite, così che acquistino spessore e si allontanino dagli stereotipi. Grazie a loro ogni spettatore può immaginare cosa potrebbe accadere se fosse spinto in situazioni altrettanto estreme».
Un po’ alla Lost, che la serie ricorda a tratti da vicino.
«Ero una fan sfegatata di Lost, ne sono stata ossessionata per anni. È vero che anche la nostra serie punta sul centellinare indizi episodio dopo episodio, far scoprire dettagli sempre nuovi, spiazzare clamorosamente chi guarda, ed è altrettanto piena di mistero».
Riesce con facilità a lasciare sul set le emozioni più cupe?
«Oggi che torno dai miei figli sì, quando ero più giovane era diverso. Dopo le riprese di un film me ne tornavo nella mia casa a Los Angeles da sola e non avevo la più pallida idea di come ripartire».
È stata dura crescere sotto i riflettori?
«Ho avuto difficoltà a elaborare la mia infanzia e ad adattarmi all’essere diventata di colpo un’adulta. Ho avuto molti momenti estremi, anche se non sono mai stata clinicamente depressa. Per fortuna d’estate non mi era permesso lavorare e quindi passavo giornate spensierate come ogni bambina della mia età».
Che cosa le piaceva fare?
«Giocare a calcio e guardare film».
C’è un film in particolare che le ha cambiato la vita, uno di quelli che avrà visto mille volte?
«Le notti di Cabiria di Federico Fellini, il mio preferito. Anzi, posso fare un appello ai registi italiani?».
Prego.
«Per girare qualcosa in Italia io sono sempre disponibile, ho sempre amato il vostro cinema».