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 2023  aprile 15 Sabato calendario

Ricostruzione del caso Artem Uss

Nessuno vuole prendersi la responsabilità. Nessuno di coloro che hanno avuto un ruolo nella disastrosa detenzione del russo Artem Uss, ricercato dagli Stati Uniti, arrestato in Italia e fuggito dai domiciliari lo scorso 22 marzo, ammette errori. Non lo fanno i magistrati che, imprudentemente, gli hanno concesso il beneficio di non finire in carcere pur sapendo che il 40enne Artem Uss, figlio dell’oligarca Aleksandr Uss, governatore della regione siberiana di Krasnojarsk e amico personale di Vladimir Putin, aveva mezzi, risorse e complicità per volatilizzarsi alla prima occasione. Non lo fa soprattutto il ministro della Giustizia Carlo Nordio, il quale, pur consapevole dell’interesse del Dipartimento di Giustizia americano per quell’uomo accusato di contrabbando di petrolio, reati finanziari, traffico di tecnologie militari e riciclaggio e per la relativa procedura di estradizione, non ha mosso un dito per chiedere una misura più restrittiva ai semplici domiciliari. Facoltà che gli è data dal nostro ordinamento e che oggi gli viene ricordata dal presidente della Corte di Appello di Milano, aprendo così uno scontro istituzionale tra potere esecutivo e potere giudiziario.
Di certo, c’è che Artem Uss è in Russia. Che è fuggito dall’appartamento extra lusso di Basiglio nel Milanese grazie a un bosniaco che lo è venuto a prendere su un’auto con targa bosniaca per poi accompagnarlo in Slovenia. E che suo padre sui social ora ringrazia pubblicamente Putin e «i nostri amici» per il ritorno del figlio. Per il nostro Paese, un esito imbarazzante. Cominciato e finito al numero 70 di via Arenula, il dicastero retto da Nordio.
La prima nota Usa a Nordio
Repubblica ha ricostruito tutti i passaggi della burocrazia, i pareri, i verdetti della Corte e le note arrivate da Washington che hanno riguardato il caso Uss. Si torna al 17 ottobre scorso, quando il russo viene fermato all’aeroporto di Malpensa sulla base dell’ordine di cattura degli Stati Uniti. Artem Uss fino a quel momento per gli apparati italiani è poco più che uno sconosciuto: né la Cia né l’Fbi, a quanto si apprende, contattano i nostri servizi di intelligence per segnalare la particolare caratura criminale del soggetto e l’interesse che esso riveste per il governo americano, né lo faranno nelle settimane successive.
Tuttavia una prima comunicazione tra Washington e Roma c’è, ed è rilevante. Il 19 ottobre, due giorni dopo il fermo, al ministero della Giustizia arriva la nota del procuratore di New York che indaga su Uss con la quale si avverte dell’«altissimo pericolo di fuga»del detenuto, esortando dunque i colleghi italiani a tenerlo in carcere a Busto Arsizio fino all’estradizione. Le cose però vanno diversamente.
La camera di consiglio
Nordio già a metà ottobre, dunque, sa che quell’Artem Uss non è un detenuto qualunque. La quinta sezione penale della Corte di Appello di MIlano, presieduta da Monica Fagnoni, entra in camera di consiglio conoscendo il contenuto della nota di Washington e anche il parere, lungo sei pagine,della procura generale milanese che si dichiara totalmente contraria alla concessione dei domiciliari. Nonostante ciò, e ritenendo affidabile la testimonianza della moglie di Uss sul “radicamento della vita in Italia” dove hanno attività imprenditoriali, il 25 novembre decide per i domiciliari. Il governo statunitense lo viene a sapere, si allarma e torna a scrivere a via Arenula.
La seconda nota Usa
La lettera questa volta è firmata da un funzionario dell’ambasciataamericana ed è indirizzata a Gianfranco Criscione, direttore della Cooperazione giudiziaria del ministero guidato da Nordio. «Dato l’altissimo rischio di fuga che Uss presenta — si legge — esortiamo le autorità italiane a prendere tutte le misure possibili per disporre nei confronti di Uss la misura della custodia cautelare per l’intera durata del processo di estradizione ». Citano i sei precedenti negli ultimi tre anni di detenuti arrestati in Italia e scappati dai domiciliari in attesa dell’estradizione negli Stati Uniti. Nordio sa di questa lettera, ne conosce il contenuto. Viene girata, come da prassi, alla Corte di Appello di Milano. Che però risponde di aver già preso la decisione e di non ritenere che ci siano ragioni valide per riaprire la camera di consiglio.
Nordio si trova a quel punto ad affrontare la perplessità degli americani. Il ministero della Giustizia il 6 dicembre li rassicura, spiegando che è stata una soluzione idonea, che è stato applicato il braccialetto elettronico e che, quindi, i domiciliari saranno equiparabili alla prigione. Il 2 dicembre Artem Uss va nella casa di Basiglio, sottoposto al solo periodico controllo di routine dei carabinieri della stazione locale. Come un detenuto qualsiasi. Il 21 marzo arriva l’ok all’estradizione. Il 22 marzo Artem Uss sparisce.
La scelta mancata di Nordio
Sulle prime il governo italianonon reagisce, come fosse normale lasciarsi sfuggire un ricercato internazionale già in custodia dello Stato. Ma il caso monta, gli americani sono a dir poco irritati, e i protagonisti si rifugiano in un classico all’italiana: lo scaricabarile. Il ministro Nordio manda gli ispettori al Palazzo di Giustizia di Milano, contestando in via disciplinare la carenza di motivazione nell’ordinanza del 25 novembre.
Gli risponde il presidente della Corte, Giuseppe Ondei, con una relazione di venti pagine in cui mette in fila tutti gli snodi della vicenda, e in cui si specifica che l’articolo 714 del codice di procedura penale prevede che “in ogni tempo la persona della quale è domandata l’estradizione può essere sottoposta, a richiesta del ministro della Giustizia, a misure coercitive”. Il ministro Nordio, dopo l’ordinanza della Corte d’Appello e in considerazione dell’interesse manifestato dal governo americano per l’imputato, poteva prendere d’imperio la decisione di rimetterlo in carcere o di organizzare la sorveglianza presso la casa di Basiglio, proprio per quel pericolo di fuga segnalato da Washington e sin lì ignorato. Ma non lo fa. Anzi, come abbiamo visto, rassicura la controparte. E adesso? Di chi è la colpa? A frittata fatta e con Artem Uss libero in Russia, il ministro sostiene di non avere niente da rimproverarsi. «Noi siamo stati ineccepibili», dice.