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 2023  aprile 15 Sabato calendario

Lucia Annibali, 10 anni dopo lo sfregio

S ono passati dieci anni.
«Direi sono già passati dieci anni. Sembra un soffio, eppure se mi volto a guardare indietro vedo un percorso lungo, faticoso, complicato. A onor del vero devo aggiungere che vedo anche soddisfazione e, a tratti, perfino bellezza».
Questo stesso giorno di dieci anni fa lei era ancora l’altra Lucia Annibali, l’avvocatessa di Pesaro intrappolata in una storia di non-amore che era diventata stalking.
«Avevo 36 anni e avevo ancora il mio volto ma ricordo che vivevo nella paura, e vivere nella paura non è vita».
Il 16 aprile 2013 i due albanesi ingaggiati dal suo ex fecero il «lavoro» per il quale erano stati pagati: sfregiarla con l’acido. Ripensa spesso a quella sera?
«Devo dire che negli ultimi 2-3 anni si è un po’ ammorbidito il ricordo del fatto in sé, non è più così vivido. Certo, quando il calendario segna 16 aprile non posso non ripensare alle 21.30 di quella sera. Mi rivedo che infilo le chiavi nella porta di casa mia, rivedo quell’uomo incappucciato che dall’interno la spalanca, che prende la mira e mi tira l’acido in faccia; dal basso verso l’alto, da destra verso sinistra. E comunque: anche senza ripensare a quel momento preciso va da sé che sono condannata a ricordare ogni santo giorno quel che mi è successo. Basta soltanto guardarmi allo specchio ogni mattina...»
Quanti interventi chirurgici finora?
«A un certo punto non li ho più contati, sicuramente più di venti. I primi anni l’ospedale lo consideravo casa, diciamo così. Ci andavo “volentieri” per provare a migliorare questo o quel dettaglio. Adesso non riesco più ad affrontarlo allo stesso modo. Forse è arrivato il momento di accettare che questo viso si può aggiustare ma fino a un certo punto».
Ci sta raccontando una rinuncia?
«In un certo senso sì. Poi magari faremo altri interventi, ma succede che in questo periodo mi sento stanca delle mie imperfezioni e nel contempo anche stanca di provare a correggerle di continuo. Oggi sono così come mi vedete, e per arrivarci mi sono sudata ogni traguardo. La nuova Lucia per ora è questa, prendere o lasciare».
Il cambiamento per lei più importante del decennio.
«Venire a vivere a Roma. Ormai ci sono da sette anni e Roma per me è casa. Mi starebbe stretta Pesaro, oggi».
Cambiamo argomento. La politica: in questi dieci anni c’è stata l’esperienza da parlamentare con Italia Viva.
«Una fortuna grandissima, e poterla vivere è stato davvero un onore. Ho potuto sostenere le idee in cui credo, ho visto e vissuto in una dimensione istituzionale per me esaltante. Un’opportunità di cui sarò per sempre grata a chi me l’ha offerta».
Quanto è rimasta delusa, da 1 a 10, per non essere stata rieletta?
«Più che di delusione io parlerei di stress, vicino al 10. Prima il no, poi quando mi stavo rassegnando al no mi dicono che invece è un sì. Mentre sembrava che fossi rieletta mi dicevo: me la sono guadagnata questa rielezione. Manco il tempo di pensarlo e mi confermano che invece è no... Insomma, è stato stressante. E alla fine ho coltivato il desiderio di mettermi alla prova in modo diverso».
Il «modo diverso» è arrivato due mesi fa con la nomina a difensora civica della Regione Toscana.
«Esatto. Non ho più cariche politiche di alcun genere, per i prossimi sei anni il mio incarico sarà questo, puramente istituzionale».
La svolta più felice della sua vita di questi ultimi dieci anni?
«L’arrivo della mia nipotina Giulia, che ha quasi tre anni. Una meraviglia assoluta. Con lei sto attentissima, non uso mai parole o concetti negativi. Cerco di essere presente il più possibile e ogni tanto la guardo e rivedo un po’ me stessa da bambina».
Lei è stata una bambina felice?
«Direi di no. Cioè: non ho il ricordo di me stessa felice. Non c’entrano i miei genitori, con me sempre amorevoli, e non c’entra nulla di preciso che sia successo. C’entra il fatto che anche se ero piccola sentivo che la vita che vivevo non corrispondeva alla vita che quella bambina avrebbe voluto vivere. È andata meglio con l’adolescenza. Adoravo scrivere e fantasticavo di diventare scrittrice, ero brava a suonare la chitarra, a nuotare...».
Nel 2013 l’Italia imparò a conoscerla come «l’avvocatessa di Pesaro» ma dopo l’aggressione l’avvocatura non è più stata nel suo orizzonte. Chiuso per sempre?
«Quel mestiere fa parte di una vita che ho vissuto ma non faceva per me. In questo momento non prendo nemmeno in considerazione l’idea di tornare a farlo. In realtà avrei voluto diventare magistrato, per questo feci giurisprudenza. Ma dopo la laurea i concorsi in magistratura tardavano e io non sono andata fino in fondo, ho svoltato verso l’avvocatura senza crederci troppo».
L’amore conta
Ho alle spalle un percorso lungo e faticoso, ma anche pieno di soddisfazione e bellezza Non ho mai chiuso la porta in faccia all’amore, nemmeno nei giorni cupi
Quando uscì dall’ospedale, dopo il primo ricovero, lei promise di prendersi cura delle «donne vittime di uomini inetti». Sente di aver mantenuto quella promessa?
«Sì, per quel che ho potuto. L’ho fatto con i tanti progetti che ho seguito quando sono stata consulente per le Pari Opportunità, e poi da parlamentare. E l’ho fatto in tantissime occasioni con le ragazze, spesso giovanissime, che mi hanno chiesto aiuto in tutti questi anni. Ogni volta che andavo in una scuola, in una conferenza, un dibattito pubblico, c’era poi sempre qualcuna che veniva a raccontarmi una storia di violenza che aveva bisogno di essere ascoltata. Io credo di aver fatto sempre il possibile per tener fede a quella mia promessa».
C’è una storia che ricorda in particolare?
«Ne ho in mente tante ma in questo momento ne ricordo una che mi colpì moltissimo. Era il periodo della pandemia, partecipavo a un convegno online sulla violenza di genere. Una operatrice raccontò di una donna che, costretta a casa con un uomo violento, veniva picchiata con i giocattoli del figlio. Una cosa così ti lacera... È una storia che non riesco a dimenticare».
Lei si definisce femminista?
«Sì. Nel senso che credo molto nelle donne. Non sono una da proteste di piazza e non amo certi approcci aggressivi per reclamare diritti, del femminismo o di altro genere. Ma ho ben presente quel che è stato fatto e quanto ancora ci sia da fare per le donne e la parità di genere. E poi vorrei dire un’altra cosa».
Prego
«In questi anni ho imparato che le donne che subiscono violenza vengono affrontate come vittime, definite vittime, giudicate dalla società come vittime. Nessuno si sofferma a cogliere l’aspetto della forza di queste donne; perché ci vuole forza anche per resistere a certe situazioni, credetemi. Ovviamente non è un elogio alla resistenza a storie di violenza, è un invito a comprendere tutto fino in fondo, senza lasciar prevalere sempre il concetto dell’arrendevolezza, quasi che fosse nel dna delle donne».
Ci sono state storie d’amore nella sua vita dopo l’acido?
«Di questo argomento preferirei non parlare perché vorrei che i sentimenti rimanessero nella sfera privata. Si può interpretare questa risposta come si vuole, io voglio dire solo che non ho mai chiuso la porta in faccia all’amore, neanche nei giorni più cupi dopo quel che mi è stato fatto».
Cosa le è rimasto più in mente di quei «giorni cupi»?
«Non c’è un dettaglio unico. Ci penso, ogni tanto. Tutta bendata, con gli occhi cuciti, con quella rete sulla faccia per un mese e mezzo... A volte mi chiedo: come ho fatto a farcela? Mentre sei in ballo, balli. Ma se guardo quelle settimane da questo 2023 mi sembra di aver fatto un’impresa enorme. Ripenso anche a momenti che mi fanno ridere».
Per esempio?
«Per esempio quando tornai a casa, dopo il primo ricovero. Mi avevano tolto una parte di pelle dall’interno coscia, vicino all’inguine, per riparare una pezzo del viso. E io, che avevo sofferto tantissimo per quel prelievo, ne andavo così fiera che la mostravo a tutti. Ricordo che un giorno è venuto a casa a salutarmi anche il parroco. L’ho mostrata pure a lui. Che momento imbarazzante...».
La prima cosa che la nuova Lucia si è lasciata alle spalle dopo il 16 aprile 2013.
«Ovviamente lui, il soggetto che mi ha fatto tutto questo e che non voglio nemmeno nominare».
Luca Varani sta scontando una condanna a 20 anni. Se avrà i benefici di legge fra pochi anni sarà di nuovo libero, a Pesaro, proprio dove lei va spesso dai suoi genitori. Che effetto le fa l’idea di reincontrarlo?
«Non ci voglio nemmeno pensare. Per me lui è il nulla. Lo è diventato già un minuto dopo l’aggressione, figuriamoci adesso. È un capitolo chiuso e vorrei con tutto il cuore non reincontrarlo mai più, nemmeno per sbaglio. Vorrei sentirmi al sicuro per sempre».
Cosa l’ha fatta più soffrire, in questi anni?
«Non userei la parola sofferenza che riservo a cose più serie, ma mi hanno dato molto fastidio gli attacchi social subiti in alcune occasioni mentre ero parlamentare. A volte erano parole davvero ingiuste o cattive. E poi sono stufa degli sguardi di commiserazione o di curiosità di chi mi fissa in treno, in metrò, in giro... Non ci si fa mai davvero l’abitudine, e a chi mi guarda con insistenza vorrei dire: mi lasci vivere i miei difetti e la mia storia in pace per favore?»
Cosa augura a se stessa per il futuro?
«Di non farmi mai sopraffare da niente e da nessuno e di trovare la forza dentro di me, come ho fatto in questi dieci anni, per realizzare quello che vorrei».
E che cosa vorrebbe?
«In questo momento stavo pensando alla mia vita professionale. Lo sono già adesso, ma vorrei essere sempre più una donna delle istituzioni. Avere un ruolo di servitrice dello Stato mi onora e mi fa sentire realizzata».