Robinson, 15 aprile 2023
La statistica e la normalità dell’uomo bianco occidentale
Come tutti, in fondo, sappiamo, e come dichiarava il personaggio di un film qualche anno fa -Lo sguardo dell’altro (1998) di Vincente Aranda – «esistono le grandi verità e le piccole verità, le grandi bugie e le piccole bugie, e poi esistono le statistiche». Il saggio di Sarah Chaney srotola la storia del nostro rapporto con i dati e con essi la tensione e il tentativo di misurare il mondo per trarne, si direbbe dopo aver letto questo magnifico saggio, non tanto informazioni quanto desideri e intenzioni. Il fine di queste campagne di misurazione di corpi e abitudini, abitudini e natalità, eccezioni e mortalità, malattie e curvatura degli archi sopracciliari o misura dell’angolo nel quale iscrivere il colto umano è in effetti identificare una norma umana. Un uomo medio. Una donna media. E, stabiliti i campioni dell’umanità, segnare distanze da essi. E cominciare a chiamare chi è semplicemente altro da sé, diverso, e a questa diversità attribuire una sfumatura di pericolo, stranezza, sospetto, diffidenza, e alla fine paura. «La scienza della normalità creata da questi ricercatori, dunque, è anche la storia di come intere comunità siano state alterizzate e definite in opposizione agli standard occidentali che fissavano il “giusto” modo di essere». Prima degli anni Ottanta dell’Ottocento, l’umanità tutta non aveva formulato una tale domanda,che subito, appunto, è diventata un desiderio. Sarah Chaney, ricercatrice presso il Queen Mary Center di Londra – questo è il suo primo libro tradotto in italiano – per mostrare quanto l’idea della norma sia sentimentalmente radicata in noi e sia praticata parte da quel periodo della sua vita – e della nostra – nel quale è difficile stare bene con se stessi: la terribile adolescenza. Tutti abbiamo goduto, ma soprattutto sofferto del nostro aspetto, dei nostri abiti, deinostri modi, tutti abbiamo misurato e ci siamo sentiti misurati. Chaney parte da sé stessa per dichiarare il punto di vista dal quale parte e ciò una donna bianca eterosessuale cresciuta nella provincia britannica con possibilità di accesso agli studi superiori. Possiamo arrivare all’universale – laddove esista – solo accettando che non lo siamo noi. Chaney spazia, nel suo studio, dalla disabilità alla moda prêt-à-porter, svelando, in questo caso, per esempio che «i mercati di massa ci hanno regalato la semplicità degli abiti confezionati in serie, con i quali sono i consumatori a doversi adattare a ciò che indossano, e non il contrario». Il campione della definizione della normalità è ovviamente britannico. Dico ovviamente perché è chiaro che gli imperi coloniali tutti, e in special modo un impero che si muoveva economicamente sui mari e diffondeva quella macchina economica chiamata Compagnia delle Indie, hanno necessità di stabilire una norma e di segnare una distanza. Il campione è Sir Francis Galton che oltre a essere cugino di Charles Darwin, importante meteorologo ed esploratore ha inventato, abile in matematica – cercate su Google, Tavola di Galton – era convinto che l’eugenetica fosse la via per una umanità sempre più vicina alla perfezione e dunque alla bontà e, con molte sue congetture ha posto un freno a ciò che oggi chiamiamo medicina di genere. Galton pensava che l’uomo bianco eterosessuale fosse la misura del mondo. «Galton e i suoi colleghi scienziati eliminavano i dati che consideravano irregolari prima ancora di calcolare le norme. I bambini – con la loro irritante tendenza a crescere di anno in anno – rappresentavano da tempo un problema per gli studiosi di statistica. E così anche le donne. Galton “trasformò” i dati sulle donne per poterli confrontare direttamente con quelli sugli uomini; per esempio, fu necessario aumentare le altezze femminili mediante un’equazione ideata da Galton stesso affinché i dati continuassero a rientrare in una curva a campana. Tali modifiche non erano soltanto una strategia utile per il confronto statistico. Si tradussero anche nella definizione di un vero e proprio standard: gli uomini rappresentavano la normalità biologica alla quale bisognava adeguare i dati femminili. E ovviamente gli uomini bianchi rappresentavano la norma con la quale le altre razze dovevano essere confrontate». Così, a leggere Chaney, si capisce chiaramente anche un’altra cosa, che, visto dove e come siamo oggi, il più grande romanzo di invenzione dell’Ottocento è stata la statistica, altro che eroi ed eroine tragici o comici, altro che battaglie in campo aperto e trame nei salotti, la più grande invenzione narrativa – più tragica che comica è stato l’Occidente come centro di gravità permanente del mondo, e il maschio bianco come centre del centro di gravità. Chaney non giudica, racconta, non cancella e non nega, accumula. E soprattutto conforta: possiamo abbandonare il grande racconto statistico e, anche con le statistiche, farne un altro. Meno “normale” per tuttti.