Corriere della Sera, 14 aprile 2023
L’armadio della vergogna
A coniare l’espressione «armadio della vergogna» fu il giornalista Franco Giustolisi, il primo a occuparsi della vicenda. La questione venne alla luce nel 1994 per via dell’arresto e dell’estradizione in Italia di Erich Priebke, ufficiale tedesco delle SS tra i maggiori responsabili del massacro delle Fosse Ardeatine. Fu allora che il procuratore militare Antonino Intelisano, conducendo le indagini sul criminale di guerra nazista, scoprì in un armadio, in uno sgabuzzino della cancelleria della procura militare di Roma, centinaia di fascicoli relativi alle stragi compiute in Italia dalle forze occupanti del Terzo Reich, a volte con l’ausilio dei fascisti. In tutto si trattava di 695 dossier e di un registro contenente 2.274 notizie di reato. Di quei documenti scottanti era stata decisa nel 1960 la «provvisoria archiviazione», un provvedimento abnorme che di fatto aveva portato all’insabbiamento delle indagini su eccidi nel corso dei quali erano state assassinate circa 15 mila persone.
Sull’«armadio della vergogna» fu istituita una commissione parlamentare d’inchiesta, durata dal 2003 al 2006, che non giunse a conclusioni univoche: il relativo materiale dal 2016 è disponibile sul sito della Camera. Inoltre sono stati celebrati diversi processi ai responsabili delle stragi, terminati con decine di condanne che però non è stato possibile eseguire. Quanto all’accantonamento delle inchieste, si può ritenere che a determinarlo furono ragioni di politica estera: nel contesto della guerra fredda e dell’integrazione europea, non si voleva tenere aperto un contenzioso con la Germania Ovest, entrata intanto nella Nato e nella Cee