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 2023  aprile 14 Venerdì calendario

Su "Azzurro. Stralci di vita" di Curzio Maltese (Feltrinelli)

Era una di quelle sere di febbraio in cui a Roma fa ancora freddo, ma Curzio chiese ugualmente di cenare all’aperto – muniti di uno di quegli orribili funghi elettrici che infestano il marciapiede davanti ai ristoranti dacché c’è il Covid – per il semplice motivo che lui non poteva smettere di fumare. Arrotolava sigarette una dopo l’altra. Paola, sua moglie, restò imbacuccata col berretto di lana, premurosa nel suggerire a Curzio le parole che talvolta non arrivavano dal cervello alla lingua, ma che lei aveva imparato a leggergli sul volto. A un certo punto di quel rivedersi dolcissimo, in cui volevo festeggiare il ritorno della firma di Curzio Maltese sulla prima pagina di un giornale, Domani, dopo il malore che pareva averlo stroncato meno di quattro anni prima, fu allora che mi fece la confidenza: tra una logopedia e una fisioterapia, nel tempo vuoto del lockdown, era riuscito a metter giù degli appunti che, attraversando la nebbia della sua malattia, gli avevano consentito di ripercorrere per intero la sua vita bruscamente interrotta a 59 anni. Esitava a condividerli, dubitava fossero pubblicabili. Ma bastò lo sguardo di Paola a farmi capire che lì dentro avremmo trovato qualcosa di speciale, la sintesi narrativa, la realtà filtrata dai sogni e dagli incubi di un inimitabile artista del giornalismo. Stralci di vita, appunto, come recita il sottotitolo di Azzurro, il testo che un destino beffardo ha voluto giungesse in libreria quaranta giorni dopo la sua morte, quando ci illudevamo fosse prossimo il suo completo recupero.

Non c’è modo migliore di ricordare e rimpiangere Curzio Maltese – penna che ha suscitato un meritatissimo culto della personalità in tanti lettori – che immergersi e godersi la lettura di queste 170 pagine sudatissime eppure lievi, fulminanti, alla sua inconfondibile maniera: seguiremo l’incontro naturale fra questo ragazzo scanzonato di periferia e i grandi personaggi della cultura che hanno scoperto di avere un debole per lui, i campioni dello sport, i potenti che non esitava a colpire e deridere con levità tale che finivano per cercarlo e si facevano vanto di diventare oggetto della sua attenzione.

La sua prosa diretta e acuminata era sorretta da una solida visione del mondo. E ora che non riusciva più a scrivere di getto articoli perfetti, ora che ogni frase gli costava uno sforzo, nel libro questa visione del mondo si offre maturata, sorprendente, tragica e allegra come la sua biografia. Un padre scavezzacollo sparito troppo presto, prima odiato e poi rimpianto, che lo aveva voluto chiamare Curzio soprattutto perché era un nome senza santo. La casa e le scuole di una cintura industriale milanese, Sesto San Giovanni, da cui la madre raggiunge ogni mattina piazza del Duomo per il suo lavoro di commessa alla Rinascente negli anni del boom, quando Giorgio Armani lì faceva il vetrinista. Aveva solo dieci anni, Curzio, quando la mamma se lo porta dietro tra la folla ai funerali delle vittime della strage di piazza Fontana. “Non vengo”. “Invece devi venire”. “Perché?”. “Perché devi capire”. Si trovò accanto a due ragazzini che piangevano il padre. Curzio, divenuto adulto, cita Pasolini: “La porta della storia è una Porta Stretta/ infilarsi dentro costa una spaventosa fatica”. E di quella mattina nebbiosa del dicembre 1969 dice: “Ora sapevo da che parte stare. Sarei stato sempre un antifascista”.

Sembra tutto in discesa il suo percorso di giornalista, anche se deve lavorare per mantenersi agli studi, operaio in una fabbrichetta di filtri per macchine edili l’anno della maturità. La madre spinge per un posto sicuro in banca, lui divora il meglio della letteratura italiana e si appassiona al grande cinema. Corregge bozze, passa dalla cronaca nera allo sport. Sarà nel mondo del pallone che emergerà il suo talento intanto che, lì in mezzo, gli verrà naturale farsi interprete critico della psicologia delle masse manipolate dai potenti. Non a caso, anni dopo, sarà il primo a intuire che per Berlusconi le vittorie del Milan diventavano il trampolino di una ben più ambiziosa e funesta “discesa in campo”.

Troppo banale sarebbe Azzurro se si limitasse a mettere in fila i passaggi di una carriera professionale folgorante. Perché su tutto incombe e ritorna quel corpo estraneo insinuatosi nel suo cervello, il sentirsi perduto improvvisamente l’8 agosto 2018, quando sente le streghe, Macbeth, il presagio di morte. E in lui si riproduce l’angoscia già vissuta col tumore che aveva ucciso Cinzia, l’amatissima sorella minore. Sicché a salvarlo sarà l’amore per la moglie Paola e il figlio Zeno che erano giunti provvidenziali dopo una vita sentimentale fin troppo arraffona e disordinata. A quel punto il proletario Curzio, per sua fortuna, non si lasciava più incantare dalle sirene di un giornalismo declinante per troppo asservimento, le sue origini lo sollecitavano a diffidare dei privilegi che pure, da buon avventuroso proletario, non ha certo disdegnato.

In fondo il tragitto di Curzio è tutto lì, in quel titolo. Il bambino che cantava a squarciagola Azzurro sulla 500 di mamma che lo portava in vacanza verso la Calabria ha da poco compiuto 30 anni quando riceve la telefonata di Egle, la splendida moglie di Paolo Conte: “Lo sa che mio marito è un suo fan?”. Frequenterà i concerti del cantautore poeta da vero e proprio suiveur. E Gli impermeabili diventerà la sua canzone d’amore con Paola. Così ora Azzurro rimarrà anche il suo ultimo, incantevole, messaggio.