Avvenire, 13 aprile 2023
L’eccidio di Katyn
Dopo che Hitler aveva scatenato l’Operazione Barbarossa contro l’ex alleato Stalin (con cui si era spartito la Polonia nel 1939) il Governo polacco in esilio a Londra era riuscito a far amnistiare e rilasciare i polacchi deportati e detenuti nei gulag sovietici come prigionieri di guerra ma senza aver dichiarato quella guerra. Dalle liste risultano però spariti 12 generali, 130 colonnelli e 9.227 ufficiali rinchiusi nei campi di Kozelsk, Starobelsk e Ostaškov. Nessuna notizia neppure di altri circa 12mila ufficiali, diplomati e laureati, la classe dirigente della Polonia anteguerra. Quando il generale Władysław Anders il 3 dicembre 1941 va a parlarne di persona con Stalin, questi, irritato, sostiene che i militari che mancano «sono scappati in Manciuria». Il 13 aprile 1943 Radio Berlino – con annunci in tedesco, inglese, francese, polacco, italiano e russo alle 15.15 e alle 19.15 – rivela dove sono: «In un luogo chiamato Kosogory, nella foresta di Katyn (…) in una grande fossa di 28 metri per 16 riempita con 12 strati di cadaveri». A una quindicina di chilometri da Smolensk i soldati tedeschi del 537° reggimento comunicazioni, seguendo le indicazioni di alcuni civili, a febbraio hanno iniziato a riesumare oltre 4mila cadaveri di ufficiali polacchi uccisi con un colpo alla nuca.
La Tass da Mosca reagisce virulentemente il giorno dopo attaccando la propaganda nazista e il 15 aprile l’Ufficio informazioni sovietico sostiene sdegnato che i polacchi erano stati liquidati dai tedeschi. Il 19 aprile insorge il Ghetto ebraico di Varsavia mentre a Londra il Governo polacco in esilio pretende un’inchiesta da parte della Croce rossa internazionale. Il 26 Molotov convoca l’ambasciatore polacco Tadeusz Romer e gli notifica la rottura delle relazioni diplomatiche. Winston Churchill allora impone al generale Władysław Sikorski, premier del Governo e comandante dell’esercito polacco, un‘imbarazzante rinuncia. Ma intanto i tedeschi avevano fatto convergere a Berlino per il 27 aprile alcuni dei massimi esperti europei che conducono a Katyn, dove vengono fatti arrivare pure i corrispondenti dei giornali di Svezia, Svizzera, Norvegia, Spagna, Olanda, Belgio, Ungheria e Terzo Reich per sovrintendere all’indagine sulle otto fosse comuni affidata a una Commissione internazionale presieduta del generale medico delle Ss Leonard Conti e coordinata dalla Croce Rossa polacca.
La verità degli esperti
Gli specialisti, tutti di chiara fama, provengono da Belgio, Bulgaria, Croazia, Danimarca, Finlandia, Germania, Olanda, Polonia, Romania, Slovacchia, Svizzera, Ungheria. Lo spagnolo Piga deve rientrare in patria per un malore, il francese Costédoat partecipa come osservatore, e per l’Italia c’è il professor Vincenzo Palmieri, anatomopatologo noto in tutta Europa, cattolico de e uomo integerrimo. Le esumazioni e i controlli avvengono con la massima libertà alla presenza di ufficiali alleati prigionieri di guerra e dei commissari della Croce rossa, senza alcuna manipolazione. Gli esperti devono fornire risposte scientifiche su identificazione, cause ed epoca della morte. Gli esami anatomopatologici, botanici, documen-tali, entomologici si concludono il 7 giugno e le conclusioni sono unanimi: «Non c’erano dubbi, fra noi dodici nessuno ebbe alcun dubbio, non ci fu neppure un’obiezione. Il referto è inconfutabile. (…). Il crimine fu commesso dai sovietici, non ci sono possibilità di dubbio», dichiarerà Palmieri nel 1978 al genero di Benedetto Croce, Gustaw Herling-Grudzinski. Tempi, carte, modalità e scienza provano che l’eccidio risaliva al 1940, quando quei territori appartenevano all’Urss.
Menzogne e misteri
A metà gennaio 1944 l’Armata Rossa riconquista l’area di Katyn e subito Stalin fa insediare una commissione speciale presieduta dal responsabile dell’Accademia della scienza medica Nikolaj Burdenko. Nuove esumazioni e ritrattazioni degli esperti di Paesi nell’orbita sovietica portano a sostenere che il massacro risale invece al 1941 e la responsabilità è dei nazisti. Palmieri, che ha ripreso a insegnare all’Università di Napoli, viene sprezzantemente definito «l’uomo di Katyn» e «agente della propaganda di Goebbels» sulle colonne dell’edizione napoletana dell’Unità, con articoli a firma di Eugenio Reale e Paolo Tedeschi (alias Velio Spano), e contestato dagli studenti di fede comunista. Durante il Processo di Norimberga nel 1946 i sovietici cercano di imputare la strage di Katyn ai tedeschi provando a far deporre presunti «testimoni oculari» palesemente indottrinati dal Nkvd, ma Usa, Gran Bretagna e Francia non abboccano. A Cracovia il procuratore della Repubblica, Roman Martini, di simpatie comuniste e persecutore dei crimini nazisti, aveva condotto e chiuso un’inchiesta sui crimini di Katyn accertando la responsabilità sovietica. Precauzionalmente riesce a far recapitare una copia del suo rapporvoto to a un notaio svedese con l’avvertenza di aprire la busta solo in caso di morte o scomparsa. Viene freddato in casa a colpi di pistola a marzo 1946 da due giovani aderenti al Comitato per l’amicizia polacco- sovietica, ma il plico riemergerà solo nel 1951 grazie a Julius Epstein e sarà oggetto di una nuova Commissione d’inchiesta alla quale Urss e Polonia si rifiutano di partecipare.
L’altra Katyn
L’ultimo segretario del Pcus, Mikhail Gorbacëv, nel 1990 riconosce ufficialmente la responsabilità dell’Urss per l’eliminazione dei 22mila ufficiali polacchi, Boris Eltsin aprirà gli archivi e Vladimir Putin li richiuderà, riapponendo pure il segreto di Stato su 116 di 183 faldoni del processo che definisce quello di Katyn come un crimine comune, quindi caduto in prescrizione, e non un crimine di guerra. Il 10 aprile 2010 il Tupolev Tu 154 di Stato con a bordo il presidente Lech Kaczynski e i vertici militari e istituzionali della Polonia si schianta al suolo durante la manovra di avvicinamento all’aeroporto di Smolensk, da dove la delegazione proveniente da Varsavia si sarebbe recata a Katyn per l’omaggio alle vittime del 1940. Dei 96 passeggeri non si salva nessuno