il Fatto Quotidiano, 13 aprile 2023
Vecchie ossessioni, nuovi reati
La maggioranza meloniana ha una passionaccia per il codice penale. Per carità, nihil sub sole novi: l’ossessione securitaria è parte dell’eredità della destra (dal codice Rocco in poi). Alla tradizione si aggiunge la più recente mania creativa penale, ovvero la moda d’inventare nuove fattispecie criminali per sanzionare comportamenti illegittimi che spesso, per non dire quasi sempre, sono ampiamente già punibili e puniti. Si prenda la proposta dell’ultimo Consiglio dei ministri in risposta alla supposta emergenza protesta climatica: multe da 20 a 60 mila euro, più le sanzioni penali, per quanti distruggano, disperdano, deteriorino o rendano “in tutto o in parte inservibili o non fruibili beni culturali” e altre sanzioni amministrative, da 10 a 40 mila euro per chi “deturpa o imbratta” questi beni o li destina “a un uso pregiudizievole per la loro conservazione”. Naturalmente, e non bisogna essere Franco Antolisei per saperlo, gli eventuali illeciti sono già punibili: si va dal più grave reato di danneggiamento (alterazione irreparabile o difficilmente riparabile della cosa) al più lieve imbrattamento (modifica reversibile o riparabile dell’oggetto).
La legislatura era stata inaugurata dalla repressione di un allarmante fenomeno, che non fa dormire la notte la maggioranza degli italiani: il rave party. Partecipare e organizzare i rave party ora è un reato specifico, rubricato all’articolo 434-bis del Codice penale e punibile con pene fino a sei anni di reclusione. Anche qui le norme c’erano: l’articolo 633, Invasione di terreni o edifici (“Chiunque invade arbitrariamente terreni o edifici altrui, pubblici o privati, al fine di occuparli o di trarne altrimenti profitto”, è punito con la reclusione da due a quattro anni “e la multa fino a 2.064 euro”, “si procede d’ufficio se il fatto è commesso da più di cinque persone”); e ancora il successivo 634 (Turbativa violenta del possesso di cose immobili) e il 637 (Ingresso abusivo nel fondo altrui).
Altra carne è al fuoco: un ddl di Fratelli d’Italia, attraverso modifiche all’articolo 580-bis del codice penale, vuole introdurre il nuovo reato di istigazione all’anoressia che prevede multe e sanzioni per chi, “con qualunque mezzo, determina o rafforza l’altrui proposito di ricorrere a condotte idonee a provocare o rafforzare i disturbi del comportamento alimentare”: reclusione fino a due anni e multe da 20 a 60 mila euro. È una vecchia idea (la prima proposta è del 2008) ma la formulazione è rischiosissima perché la determinazione dell’elemento soggettivo (dolo o colpa) e dell’elemento oggettivo (condotta, evento e nesso di causalità) del reato sono difficilmente determinabili e confinano pericolosamente con la libertà di espressione e di disposizione del proprio corpo. Il che nulla toglie all’emergenza che i disturbi alimentari rappresentano, ma la pratica di normare – e penalmente – ogni comportamento corrisponde alla terribile idea etica dello Stato, tra l’altro antistorica nell’età del tutto è permesso: la moltiplicazione ipertrofica e inutile delle fattispecie di reato è processualmente antigenica e si traduce in un’ortopedia sociale sempre più ossessiva (educare, sorvegliare, punire, vedi Foucault). Ma è chiaro che l’intervento penale è quasi sempre una demagogica esibizione muscolare di fronte a presunte emergenze (vedi i rave), quando naturalmente non è il tentativo di tacitare e criminalizzare il dissenso, come nel caso degli attivisti di Ultima Generazione e nel più grave dei processi contro i sindacalisti a Bologna e Piacenza. Resta una domanda: a che servono tutti questi, dettagliatissimi, reati se poi, Cartabia vigente, nessuno viene condannato?