il Fatto Quotidiano, 13 aprile 2023
Intervista a Sigfrido Ranucci
“Con l’entrata in vigore delle riforme sulla giustizia ci sveglieremo in un Paese “migliore”, ma solo perché non leggeremo più molte inchieste e i cittadini non sapranno ciò che accade. Con la legge sulla presunzione d’innocenza non si potranno fare nomi, né parlare nei dettagli dei reati senza una sentenza definitiva. E siccome il meccanismo dell’improcedibilità farà saltare metà dei processi, arriveremo alla desertificazione dell’informazione”. Sigfrido Ranucci, conduttore di Report, lancia l’allarme sugli effetti nefasti della riforma Cartabia.
Rischiamo la censura?
Quello di Bergamo è un caso emblematico. Di fronte all’indagine sulla più dolorosa tragedia del Dopoguerra, i nomi degli indagati – tra cui l’ex premier, ministri, il presidente lombardo – si sono scoperti solo grazie a giornalisti che sono andati oltre le notizie ufficiali. Questa non è presunzione di innocenza, ma oblio di Stato. Giornalisti e cittadini dovrebbero ribellarsi nella consapevolezza che la migliore arma per la dittatura è il segreto.
L’Italia va in questa direzione?
Un Paese senza libertà di informazione è come un’auto che circola senza certificato di garanzia. Un’altra piaga della riforma è l’accesso al diritto di oblio, se lo sommi al fatto che fino alla sentenza definitiva non puoi fare nomi, in un solo colpo cancelli passato, presente e futuro. L’effetto per un cittadino che vuole accedere all’informazione sarà come entrare in un cimitero, si troverà di fronte a lapidi che magnificano solo persone eccellenti, e si chiederà: ma i figli di buona donna dove li hanno seppelliti?
Tutto ciò è frutto solo della Cartabia?
La riforma è spacciata come una garanzia per i cittadini, in realtà tutela solo i politici e i potenti. L’erosione al diritto di cronaca però viene da lontano, dalle riforme Castelli e Mastella, dall’accentramento di poteri e comunicazione nelle mani dei procuratori. Nel frattempo abbiamo assistito alla progressiva restrizione dell’accesso agli atti giudiziari.
Che pericolo corre oggi un cronista?
Un tempo i giornalisti venivano ammazzati, poi delegittimati, oggi querelati e sommersi da richieste di risarcimento milionarie. La legge per limitare le liti temerarie giace da tre anni in Parlamento.
Fare inchieste è diventato più difficile?
È in corso un attacco alle fondamenta del giornalismo investigativo, come la tutela delle fonti. Sono stati acquisiti tabulati telefonici di giornalisti e assoldati investigatori privati per scoprire l’origine delle informazioni. Una sentenza del Tar voleva obbligarci a rendere pubblici documenti per svelare le nostre fonti. Un’insegnante è stata indagata per aver documentato all’Autogrill l’incontro tra Renzi e lo 007 Mancini, Carlo Bertini è stato licenziato da Bankitalia per aver raccontato quelle che per lui erano anomalie sulla truffa sui diamanti. Fare vero giornalismo d’inchiesta costa. Ci sono freelance sottopagati, minacciati e senza tutela legale: è come mandare in guerra soldati senza l’elmetto.
Qual è lo stato del- l’informazione?
Gli editori puri e indipendenti sono praticamente scomparsi, quanti giornali appartengono a un editore che è anche un politico o ha interessi con la politica o utilizza politici come direttori o responsabili editoriali? Quando pubblicano una notizia è per interesse pubblico o perché fa comodo alla loro agenda? E la pubblicità verso quale editore andrà? A chi fa un giornale libero o a chi ha alle spalle un partito che potrà determinare le sorti imprenditoriali di chi acquista spazi pubblicitari del suo giornale?