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 2023  aprile 13 Giovedì calendario

Intervista a Giancarlo Giannini

Una Stella col suo nome sulla celebre “Walk of fame” di Hollywood, unico italiano con Rodolfo Valentino: Giancarlo Giannini, ottanta anni, ragiona, parla, vive e si nutre di una fantasia inesauribile, quella dei bambini. Ama la solitudine, difende la sua riservatezza, detesta i luoghi comuni, sopporta a fatica il peso della celebrità, inventa oggetti elettronici, adora il cibo e la cucina e il suo pesto “è nettare divino”. Attore di fama internazionale, regista, doppiatore, insegnante di recitazione. Gassman, Mastroianni, Sordi, la Melato i suoi amici e compagni di lavoro. Fellini, Monicelli, Risi e l’amatissima Lina Wertmüller i suoi registi. Ascoltarlo è un piacere.
Il titolo del suo libro di memorie: “Sono ancora un bambino (ma nessuno può sgridarmi)”: c’è il tema dell’età, ma anche il senso della libertà come valore. Ho capito bene?
«La libertà è una parola anche troppo abusata. Per me vuol dire avere tempo libero da dedicare a me stesso. Poter pensare, poter lavorare con le mani, fare il muratore, l’idraulico. Questa è per me una forma di libertà».
I bambini nei suoi racconti occupano un posto molto importante perché?
«Uno che fa l’attore deve mantiene questa forma infantile di racconto, della favola, il “fanciullino”, se no come fa a fare l’attore? D’altronde come si chiama questo mestiere? Juer, to play: giocare. Io sono ancora bambino, anche a ottant’anni».
A proposito, come vive la sua età?
«Come l’ho sempre vissuta. Io sono sempre molto curioso. Non mi piace fermarmi. Trovo sempre qualcosa da fare, perché in tutto ciò che mi colpisce io vedo la vita. È la fantasia che non mi fa mai star fermo. Un grande dono».
L’amicizia è un rapporto che riguarda tanti o gli amici si contano sulle dita di una mano?
«Ho pochi amici, li posso davvero contare sulle dita di una mano. È un privilegio avere un amico. Io ho un amico con cui ho fatto l’Accademia Silvio D’Amico insieme. Ci vediamo ancora, andiamo a cena. Un’amicizia che dura da quando avevamo 18 anni».
Qual è la cosa che considera più preziosa?
«Forse è la mia follia: se un uomo non ne ha un pizzico non vive bene. Avere un pizzico di follia è qualcosa di rigenerante che si rinnova ogni giorno. La follia è ciò che i folli chiamano la normalità. E poi ci può essere anche il contrario. Ma chi dice che la normalità non sia follia? Questo forse l’ha già detto qualcuno».
La celebrità le pesa molto? Lei è notoriamente riservato.
«Mi piace la solitudine. La celebrità, certo, per uno che fa l’attore è importante. Il lavoro dell’attore è un lavoro di scambio di dialettica tra l’attore il pubblico. Poi, fortunatamente, alle volte hai dietro Shakespeare o Pirandello e sei solo un tramite».
Che cosa è per lei il cibo?
«Il cibo è la mia sola e unica droga. Mangiare è una delle cose più importanti della vita. E la tavola è un momento intimo, personale. Il cibo racchiude i sapori che io ho vissuto nella mia infanzia, con una nonna che stava sempre in cucina. Questo ricordo mi rende triste».
Il suo piatto preferito?
«Io sono il re del pesto. Ha il sapore delle mie origini. Sono nato a La Spezia. È un capolavoro di odori e di sapori. È un nettare divino, se lo sai far bene. Se lo fai male è meglio che non cominci neanche».
C’è una caratteristica negli altri che considera insopportabile?
«Detesto coloro che pensano di sapere tutto. In realtà nessuno sa mai tutto».
Che cosa le fa paura?
«La paura vera io l’ho provata quando ero molto giovane. Vidi una famosa immagine di uno che spara a un vietcong alla tempia sul bordo di una fossa comune. Con quella foto ho scoperto la paura con la P maiuscola».
Qual è il valore più importante, per lei irrinunciabile?
«Non c’è nulla di irrinunciabile. Io sono un credente, quindi credo nel mistero. Alcuni mi chiedono: come fai ad essere così credente?»
Pensa a quell’episodio con Vittorio Gassman?
«Vittorio, una persona intelligentissima, timidissima, coltissima, straordinaria. Mi disse: “Come fai a credere? Che cosa vuol dire credere?”. Io gli spiegavo che cosa era la fede per me: “Dio ti ha dato la possibilità ogni giorno di scoprire tanti piccoli misteri. Accontentati di questo”. Insomma, io mi accontento. Anzi, sono felice di poter pensare, come ho detto, a qualcosa che non c’è».
 


Ad un ragazzo con aspirazioni di attore che cosa direbbe?
«Non intraprendere questa strada se hai il minimo dubbio. E tieniti di riserva un altro mestiere. Quando insegnavo al Centro sperimentale dicevo: “So che questo è un tarlo che avete e, se continuerete, ricordatevi di fare anche degli errori. Fare degli errori è bellissimo: se non è un errore è qualcosa che avete scoperto che servirà anche agli altri”. La cosa più importante che insegnavo era la gioia di vivere. Se uno non ha la gioia di vivere come si mette sul palcoscenico a raccontare le favole?»
La gioia di vivere? Che cos’è?
«Eccola: ogni giorno hai piccoli misteri da scoprire. Io ho trovato la possibilità di scoprire ogni giorno una nuova vita. È divertente».
Quando arriva il momento di attaccare i guantoni al chiodo e dire: “basta, da adesso mi riposo e non scocciate più”?
«”Non scocciatemi” io lo dico da parecchio tempo. Non rispondo più al telefono ai numeri che non conosco. Voglio avere il mio tempo, i miei spazi».
Se avesse la possibilità di scrivere la sua ultima lettera quali parole userebbe?
«Scriverei: “Io me ne sono andato… mi dispiace per voi”».
Cos’è l’invidia?
«Non sono invidioso se vedo degli attori più bravi di me. Mi ricordo di aver recitato con un bravissimo attore, che non c’è più, Giulio Brogi: ogni tanto sul palcoscenico recitava talmente bene che io rimanevo lì, non andavo avanti, diventavo spettatore della sua bravura».
Che importanza attribuisce allo sguardo?
«È lo specchio dell’anima. In Travolti da un insolito destino con Mariangela Melato avevamo una scena: io sto scuoiando un coniglio di notte, sulla spiaggia, e lì ci sono delle battute tra noi. Poi l’abbiamo girata soltanto con gli sguardi. Quella montata è quasi tutta quella senza parole: è la più bella».
C’è qualcuno a cui vorrebbe chiedere scusa?
«Facevo l’Istituto tecnico. In pausa si giocava a pallone e tutti avevamo una merenda. La mamma mi fece un panino con la frittata, l’avevo lasciato nella mia cartella in un angolo. Vidi un ragazzo molto giovane che guardava la partita seduto per terra, e si mangiava un panino con la frittata, il mio. Mi sono fermato e gli ho detto: “Scusa, ma perché me lo hai preso? Potevi chiedermelo”. E ho fatto un gesto terribile, di cui mi pento molto. Ho preso un po’ di frittata e gliel’ho spalmata in faccia».
Dustin Hoffman ha detto che la sua voce ha migliorato le sue interpretazioni. Lei è un grande doppiatore. Che cos’è la sua voce?
«Bisognerebbe chiedere a mia mamma che me l’ha fatta. Il doppiaggio o lo sai fare o no. Io ho imparato a farlo anche perché studiando molto l’elettronica, l’oscillografo ti fa vedere tutte quelle onde. Riesco ad andare in sincronia facilmente».
Lei è soddisfatto di sé, o c’è qualcosa che vorrebbe cambiare?
«Uno magari lo pensa quando è molto più giovane, ma poi si abitua a quello che è e si accontenta. Vivo la vita giorno per giorno, cercando di soddisfare le curiosità».
In cinque parole: chi è davvero Giancarlo Giannini?
«Un uomo a cui piacerebbe poter bere un caffè senza la tazzina: lo berrei con la fantasia».
E poi nessuno può sgridarla...
«Non si devono permettere di sgridarmi. Li avverto prima: Non rompete eh…»