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 2023  aprile 13 Giovedì calendario

Il caso Alex Schwazer diventa una serie

«Sono e resto un atleta, la giustizia sarebbe stata farmi continuare a gareggiare». Lo dice misurando le parole Alex Schwazer alla presentazione romana della docu-serie in arrivo da oggi su Netflix, che ricostruisce in quattro puntate le tappe della vicenda sconvolgente, dal punto di vista sportivo, umano e giudiziario, del campione che vinse a 23 anni l’oro olimpico a Pechino nella 50 chilometri, salvo trovarsi catapultato negli inferi dopo la squalifica di tre anni e sei mesi ai giochi di Londra 2012 per positività all’eritropoietina, quindi ancora in pista dopo l’incontro con l’allenatore Sandro Donati in direzione di Rio 2016, dove arrivò il secondo stop per doping con la squalifica fino al 2024, nonostante l’ordinanza del gip del tribunale di Bolzano del 18 febbraio 2022: provette manipolate e archiviazione per non aver commesso il fatto.
Misura le parole ma il significato è preciso: Il caso Alex Schwazer, serie ideata e diretta da Massimo Cappello e scritta da Marzia Maniscalco, non è nelle intenzioni del protagonista una forma di risarcimento. Continua a considerarsi vittima di un’ingiustizia, un alteta interrotto ma pur sempre un atleta che ha colto al volo l’opportunità di spiegare la sua verità.
«Volevo mettere un punto, raccontare come sono andate davvero le cose. Non è stato troppo doloroso farlo, perché sono fatti con i quali ho chiuso. È il mio carattere, non sono uno che si ferma, né a godermi le cose belle né a farmi bloccare da quelle brutte. Ho accettato la serie perché in quattro puntate c’è il tempo necessario per spiegare bene ogni cosa nei dettagli. Ci tenevo molto». Non è stata una passeggiata neanche per uno abituato a macinare i chilometri. «Mi sono commosso vedendo immagini inedite molto belle e altre dure». Come quelle dei giorni di Rio. «Abbiamo tirato dritto fino all’ultimo giorno, pensando che potessi gareggiare. Ci ho riprovato per Tokio e non è stato possibile». La squalifica scadrebbe in tempo per Parigi 2024 ma ormai, dice, è troppo tardi. «La preparazione non è uno scherzo. Ed è troppo doloroso illudersi. Farò qualche garetta, magari di paese. L’ho detto, resto un atleta».
È il suo allenatore e amico Sandro Donati a trovare parole più dirette per dirlo. La storia di Schwazer, sostiene, è una sintesi tragica e straordinaria del corto circuito che domina lo sport. E ruota intorno al doping. «Tutta la storia del doping è una storia di complicità del Comitato olimpico internazionale, delle federazioni internazionali con il placet dei governi che si affidano a un potere extraterritoriale che nessuno controlla». Gli atleti, dice, non hanno voce in capitolo. «Dovrebbero poter conservare, per esempio, anche loro una provetta dell’urina controlli». Il suo legame con Schwazer, com’è noto, iniziò da una denuncia. «Alex fu trovato positivo perché io avevo segnalato quelle che mi sembravano anomalie del suo rendimento». Ricorda i momenti della carriera dell’atleta di Vipiteno. «Dopo il successo a Pechino Alex si ritrovò solo, cadde in depressione. È stato a quel punto che si è dopato. È stato abbandonato come capita spesso ai campioni: li si usa e li si getta via. La sua è la storia di un grande imbroglio, uno schifoso imbroglio. Questa docu-serie è un tributo alla verità».
Oltre alle versioni di Schwazer e Donati se ne sentono altre: i genitori dell’atleta (la madre ricorda uno dei momenti più duri, quando Alex gli confessò di essere stato sul punto di farla finita), Caroline Kostner, all’epoca sua fidanzata che ripete quello che ha sempre sostenuto, di aver mentito perché lui le chiese di farlo, il presidente del Coni Giovani Malagò, l’avvocato di Schwazer Gerhard Brandstätter, il gip di Bolzano Walter Pelino. In difesa delle ragioni della Wada, l’Agenzia mondiale antidoping, parla il dg Oliver Niggli. Mentre i capi della ex Iaaf, la federazione internazionale di atletica, non hanno accettato l’invito.
In quanto a Alex, lo sport resta la sua vita. A 38 anni fa il coach di atleti amatori. E azzarda un bilancio. «In tempi difficili ho incontrato una donna super (Kathrin Freund, ndr), ho due figli, a livello umano sono contento, sono un uomo migliore e completo. Ma come tutti ho qualcosa che mi rimane dentro».