Corriere della Sera, 13 aprile 2023
Il rapporto tormentato tra Renzi e Calenda
«Tenetevi liberi per lunedì sera a Milano. In programma “reunion” storica. Seguiranno dettagli». Alle 9 del mattino del 16 maggio 2019, Carlo Calenda decide di regalare un po’ di brio al risveglio dei suoi tanti seguaci su Twitter. Neanche il tempo di chiedersi quale coniglio sarebbe venuto fuori dal cilindro che la sorpresa in persona, pronta a risalire sul palco insieme a lui a Milano, e cioè Matteo Renzi, rompeva la suspense, sempre sui social. «Addirittura una reunion storica? E che sarà mai, Al Bano e Romina?». Chiosa di Calenda: «Io sono Al Bano».
I fan del sovrannaturale spicciolo diranno che se «la sono tirata da soli», gli studiosi di antropologia politica diranno che «tutto era chiaro sin da subito», i cultori dei proverbi della nonna tireranno fuori i famosi «due galli nel pollaio». Ma quel che conta è che hanno avuto ragione loro, insieme, quantomeno su una cosa: Calenda e Renzi (l’ordine è alfabetico perché nessuno si offenda, sarebbe questo anche se venissero elencati coi nomi di battesimo) sono finiti come Al Bano e Romina, anche se con una carriera artistica – finora – decisamente meno longeva. Agli stracci, con panni sporchi lavati politicamente in pubblico, meglio ancora se su Twitter; e progetti politici, come il soggetto unico del Terzo polo, che magari nasceranno lo stesso, con l’accortezza di prevedere un divorzista nella segreteria politica.
La loro storia nasce quando Renzi chiama Calenda a fare il ministro dello Sviluppo al posto della dimissionaria Federica Guidi. E per un po’ filano d’amore e d’accordo, col secondo che riconosce al primo di essere stato «il miglior presidente del Consiglio dai tempi di De Gasperi» e addirittura gli appunta sul petto una sorta di medaglia d’oro al valore civile «per aver contestato Putin in sua presenza a San Pietroburgo e aver preso più applausi di lui».
Poi l’incantesimo si spezza. Occupano lo stesso spazio politico, si considerano entrambi cintura nera di riformismo e liberalismo; si condannano a stare nello stesso punto ma fondamentalmente no, non si piacciono. E la miccia si consuma. Quando Renzi abiura al comandamento «mai con i 5 Stelle» dando il via libera all’operazione Conte bis, Calenda è là che lo aspetta: «Voleva essere Macron ed è finito come Mastella».
Le strapagate sortite internazionali dell’ex premier in versione conferenziere offrono nuove polveri al fuoco del leader di Azione. Renzi va in Arabia Saudita da Bin Salman? «Inaccettabile, immorale, pericoloso». Fa un giretto a Wall Street? «Sbagliato». Per un annetto, tra il 2019 e il 2020, smettono di parlarsi. Poi la nascita del governo Draghi è il Cupido che fa scoccare la freccia di un dialogo possibile e le Comunali di Roma, con Calenda candidato a sindaco contro Virginia Raggi e Roberto Gualtieri, rimettono insieme la band, come i vecchi Blues Brothers che si ritrovavano uniti perché «in missione per conto di Dio».
La reciproca diffidenza, però, è sempre in agguato. «Scatenatevi!», è il grido di battaglia renziano, uscito dallo smartphone dei leader di Italia viva tutte le volte che è stata organizzata una campagna social contro Calenda. Quest’ultimo, una volta, s’è preso una giornata intera per affrontare maggiorenti, dirigenti e anche solo semplici simpatizzanti di Iv da solo, a mani nude, post dopo post, tweet dopo tweet, lite dopo lite. E di lite in lite, di guerra fredda in guerra fredda, s’è arrivati all’oggi, col rischio che il battesimo del figlioletto Terzo polo trovi i due genitori politici in preda a smanie di divorzio, con quel crescendo di accuse reciproche in cui si fa fatica, come nelle separazioni più cruente, a capire di chi sia la colpa, chi abbia iniziato prima, chi abbia fatto questo o quello e fondamentalmente anche perché. Forse perché le cose belle finiscono senza iniziare, per la storia dei due galli del pollaio, per la sindrome Al Bano e Romina. Anche se poi può capitare che si faccia pace quando nessuno se l’aspetta più. Forse.