la Repubblica, 13 aprile 2023
Tutti i duelli che hanno lacerato i partiti italiani
Di solito la dissoluzione di un esperimento politico non dipende dai suoi nemici, ma dall’opera di quelli che ne rivendicano il possesso. Se poi i contendenti sono due, la faccenda si aggrava e infatti peggio di come sta deragliando il progetto terzopolista di Renzi-Calenda non si era mai visto.
O almeno: nel passato avveniva in modo più lento e incolore, mentre in questo caso l’esito era stato previsto prima ancora che la turbolenta coppia di strateghi, con i rispettivi aiutanti di campo, si ponesse il problema di dare un nome, trovare un simbolo e destinare il fatidico due per mille di quattrini. Quanto ai dualismi non c’è dubbio che ne fossero, altroché, debitamente fisiologici e ovviamente deleteri. Basti pensare alla rivalità inter democristiana fra Andreotti e Fanfani, che con l’aria di chi non vuole arrivavano a rinfacciarsi scandali di trent’anni prima; così come, riguardo alla generazione più prossima, ci si può interrogare su quanto abbia contribuito all’odierno sfascio della sinistra l’ininterrotta catena di duelli personali incessantemente combattuti fra Occhetto, D’Alema e Veltroni.
E però, tornando per un attimo allo spazio politico coltivato da Calenda e Renzi, forse entrambi ignorano che proprio in quell’area centrale oggi genericamente qualificata come liberal-democratica, da tempo immemorabile nessuno ha mai sopportato nessuno, come per una sorta di auto-maledizione terzaforzista e minoritaria. In altre parole, e andando parecchio in là nel tempo: Malagodi (Pli), La Malfa (Ugo, Pri) e Saragat (Psdi) tanto non si potevano vedere l’un l’altro che fu quasi un miracolo ritrovarseli su uno stesso palco, insieme con Nenni, alla chiusura della campagna elettorale per il referendum sul divorzio (maggio 1974). «Siamo una mezza dozzina di pazzi malinconici» sosteneva sconsolato Gaetano Salvemini.
Con il che anche in seguito i personalismi affondarono qualsiasi speranza, per la gioia di Dc e Pci. Fra i liberali era un continuo di liti fra Altissimo, Biondi e Zanone; e se, anche dopo Saragat, i cannibali socialdemocratici avevano l’usanza di mettere nel pentolone un segretario dopo l’altro, nel Pri non correva buon sangue fra Visentini e Spadolini e poi fra questo e il giovane La Malfa che Marco Pannella, da tutti considerato un pericolosissimo rompiscatole, chiamava “La Malfa le petit”.
Si dirà che è acqua passata: figurarsi che c’entrano tutti costoro con Renzi & Calenda e chissà cosa mai avranno in comune quelle storie con il destino di Azione, che magari semanticamente avrebbe voluto ricalcare il Partito d’Azione e i suoi tanti girovaghi sfasciafamiglie, o con Italia viva, di cui Prodi appena nata disse che gli ricordava il nome di uno yogurt.
In effetti la distanza è una vertigine che rende impossibile qualsiasi analogia; beato chi riesce a orientarsi nel dibattito delle “idee”: pensare che era atteso anche l’immancabile manifesto ideologico del nuovo soggetto! E ancor più beato chi saprebbe inoltrarsi nelle opzioni politiche calendiane o renziste, che pure a occhio sembrano del tutto sovrapponibili nella loro vaghezza. Resta perciò solo il nudo e crudo scontro di potere, già strabordante sul web in termini di meme, su chi debba primeggiare dei due, là dove ogni ipotesi di collaborazione o di diarchia, come ben si sapeva fin dall’inizio, è non solo fuori dalla realtà, ma del tutto inimmaginabile.
E così accade che per vie traverse il passato, quanto più negletto e buttato nel dimenticatoio, si vendichi sul presente e un po’ anche sul futuro riproponendosi con tanto di interessi, che nel caso specifico sono quelli oggi rappresentati da due giovani politici nati, battezzati e cresciuti a bagnomaria nel presenzialismo, nel protagonismo e nel narcisismo mediatico dei talk show e dei social; quindi al di là di ogni volontà individuale, privi di empatia e di spirito non si pretenderebbe qui di sacrificio, ma anche solo di temporanea rinuncia, parola che Calenda e Renzi non intendono proprio. Col risultato che questo loro immaginario Terzo Polo continua a essere un pollaio con troppi galli a cantare – e come nel proverbio non si fece mai giorno.