La Stampa, 13 aprile 2023
Intervista a Giuseppe Tornatore
La serie Paradiso, basata sul film che gli ha fatto guadagnare l’Oscar nel 1990, è ancora oggetto misterioso di cui, scaramanticamente, preferisce non parlare. Però il fascino di quella cabina di proiezione «che mi attirava tanto perché non riuscivo a capire come funzionasse» è rimasto intatto, così come la convinzione che «il mondo del cinema non potrà mai sparire» e che certe previsioni pessimiste siano frutto di «schemi che non stanno in piedi». Ospite della prima edizione del Premio Film Impresa, presieduto da Giampaolo Letta, con Mario Sesti direttore artistico, Giuseppe Tornatore, premiato ieri dal vicepresidente di Confindustria Alberto Marenghi, parla del dopo-pandemia nelle sale, della persistenza del cinema, della sua ispirazione e di un antico progetto, poi divenuto libro, su cui potrebbe tornare a riflettere.
Un anno fa è arrivato in libreria All’Epica. C’era una volta la politica, in cui ricostruisce la storia e la funzione del Pci in Sicilia. È vero che avrebbe voluto trarne un film?
«Erano materiali di ricerca che avevo inseguito nel percorso che in genere mi porta a realizzare un progetto. L’idea di partenza era quella di fare un film sulla parte buona, positiva, della politica in Sicilia all’indomani della Seconda Guerra Mondiale. Avevo incontrato figure che erano state protagoniste di quel periodo e avevo raccolto le loro testimonianze. Tutte cose che non avrebbero dovuto avere nessuna cittadinanza letteraria né cinematografica, ma solo servirmi a riflettere e farmi venire idee. Ne nacque un soggetto che poi il produttore, Mario Cecchi Gori, non volle realizzare. Mi disse "è bello, però ci sono troppe bandiere rosse, lasciamo perdere". Quelle interviste sono rimaste in un cassetto per 30 anni, non ho mai pensato potessero essere pubblicate fino a quando un editore amico, Enzo D’Elia, ha insistito strenuamente e mi ha convinto, durante il lockdown, a riprendere in mano il materiale. È venuto fuori questo libro che ha avuto un bellissimo successo, del tutto inaspettato».
Potrebbe valutare il vecchio progetto cinematografico?
«Non so, non ci ho pensato. Se oggi dovessi affrontare quell’argomento lo farei, forse, in modo diverso. Ci dovrei riflettere».
Cosa rappresenta per lei ancora oggi Nuovo Cinema Paradiso?
«È un film molto personale, in buona parte autobiografico, dedicato a un mondo che ho vissuto fino in fondo e che ho conosciuto giovanissimo. Ho avuto la fortuna di mettere piede nella cabina di proiezione, un luogo misterioso, di cui non ero mai riuscito a scoprire il miracolo, all’età di 9-10 anni. Ho iniziato a frequentarlo sempre più spesso e a imparare il mestiere del proiezionista che ho poi fatto per molti anni. Ho conosciuto tanti personaggi di quell’epoca e anche di quella precedente, maschere, attacchini, cassieri, distributori. Quando il film uscì alcuni mostrarono riserve, convinti che non avessi l’età per raccontare quell’ambiente. Ho cercato di spiegare tante volte che l’avevo conosciuto bene, ma forse non ci sono mai riuscito del tutto. Quella fascinazione, quelle vicende, mi appartengono, personalmente, e attraverso le testimonianze di tanti».
Questi sentimenti saranno presenti anche nella serie?
«Se la serie si dovesse fare sì, il mondo è quello, l’epoca è quella, e quindi è ovvio che molti di quei ricordi personali e dei racconti raccolti nell’arco della vita, sarebbero parte della tessitura narrativa di quell’eventuale progetto di cui finora si parla più che altro sui giornali. Si vedrà... questa è un’epoca in cui, per tanti produttori, è più importante annunciare progetti che realizzarli davvero».
Quest’anno vari registi hanno firmato film intrisi di nostalgia del mito del cinema. da The Fabelmans a Empire of light a Babylon. Secondo lei perché?
«Ho visto quei film e mi sono piaciuti moltissimo, trovo che siano soprattutto pervasi da un sentimento di stupore, come se molti registi mostrassero tutta la loro incredulità davanti al pensiero che tutto questo possa mai venire meno. Anche nel film di Spielberg c’è soprattutto la sorpresa, il non voler pensare che questo mondo possa sparire come qualcuno teme. Io credo che il cinema possa avere stagioni di successo e altre più incerte, ma non si può negare che un luogo speciale come la sala cinematografica, con le alchimie emotive che sa suscitare, possa venire meno. Stiamo attraversando una trasformazione, è un mondo talmente straordinario, è ovvio che non possa sparire. Bisogna essere all’altezza dei tempi, fare bene il nostro lavoro, perché il pubblico è sempre più esigente e, negli anni, ha alzato il livello della qualità del prodotto cinematografico. Se facciamo sempre meglio, avremo sempre il pubblico al nostro fianco».